Impossibile intervistare i protagonisti del nuovo spettacolo teatrale inserito nella rassegna teatrale promossa al Duni dall’associazione Incompagnia. Ai lettori di SassiLive possiamo regalare questa volta la fotogallery, che pubblichiamo in basso e le note che sintetizzano la matrice di questa produzione nella quale sono protagonisti Ambra Angiolini e Piergiorgio Bellocchio, per la regia di Marco Bellocchio e che vede impegnati altri tre attori, per completare la famiglia composta da una madre e da quattro figli, tre maschi e una femmina, interpretata dall’ex ragazzina-prodigio di “Non è la Rai”, oggi affermata attrice sia di teatro che nel cinema: l’ultimo successo nel quale si è fatta apprezzare è il film Immaturi del regista Paolo Genovese. 34 anni da compiere il prossimo 22 aprile, Ambra può considerarsi a tutti gli effetti una bambina prodigio della televisione italiana, grazie all’enorme successo ottenuto quando era ancora quindicenne in Bulli e Pupe, programma condotto da un giovanissimi Paolo Bonolis e sopratutto dal fortunato format Non è la Rai. Successivamente ha continuato a condurre programmi televisivi (come Generazione X, Super e il Dopofestival di Sanremo 1996) e ha sperimentato diversi altri ruoli nel mondo dello spettacolo, in qualità di conduttrice radiofonica, attrice teatrale e cinematografica, riscuotendo spesso un buon successo e vincendo diversi premi, tra cui spiccano un Telegatto (nel 1994, a 17 anni) e un David di Donatello (per “Saturno Contro” di Ferzan Ozpetek, nel 2007, come migliore attrice non protagonista). Con Pugni in tasca, la versione teatrale della pellicola cinematografica opera prima di Marco Bellocchio, girata nel 1965 all’età di 25 anni ha scoperto anche la città di Matera grazie al ruolo che il regista ha deciso di affidarle per questo impegnativo lavoro teatrale. “Pugni in tasca” racconta la storia ambigua e travagliata di una famiglia composta da una madre e quattro figli; violenze fisiche e psicologiche culminano in una serie di omicidi, e tra le mura domestiche si consuma una tragedia di ordinaria follia in cui l’innata predisposizione dei personaggi alla contestazione anticipa i temi del conflitto generazionale che nel ’68 sarebbe sfociato nelle rivolte studentesche, di cui il filmo di Bellocchio è spesso identificato come preludio culturale.
Difficile è stato il percorso di adattamento della sceneggiatura originale, che il regista ha voluto rileggere in chiave moderna, puntando l’attenzione sulle vicende familiari prendendo definitivamente le distanze dal contesto socio-politico dell’esordio. Ambra Angiolini vi si affianca con rispetto e riesce a convincere Bellocchio, dopo un’iniziale resistenza, sulla possibilità di condividere la scena con suo figlio Piergiorgio – attore, regista e produttore. Le musiche sono quelle originali del film, firmate da Ennio Morricone. I costumi sono di Giorgio Armani.
La fotogallery di SassiLive dedicata allo spettacolo teatrale “I pugni in tasca”
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Riportiamo di seguito il testo con cui l’autore del film Marco Bellocchio ripercorre la scelta che ha portato Ambra a teatro per questa fortunata commedia ispirata al film omonimo uscito nel 1965.
Il primo incontro di Ambra Angiolini con Marco Bellocchio per un provino non si può definire esattamente felice. “Non capisco come una con quella faccia abbia quella voce”, fu il commento del regista, che però le diede un’altra possibilità “ma fu un disastro, perché non riuscivo a smettere di piangere. Piansi per tutto il viaggio di ritorno a casa”, ricorda Ambra Angiolini. Ma “Marco è una persona priva di pregiudizi, ricco di una sana curiosità e si è fatto sorprendere: mi ha richiamato al festival di Bobbio, abbiamo girato un cortometraggio e soprattutto mi ha coinvolto nella versione teatrale di I pugni in tasca”. Scritto dallo stesso Bellocchio , regia di Stefania De Santis, Ambra nel ruolo che fu di Paola Pitagora, Piergiorgio Bellocchio in quello di Lou Castel.
I pugni in tasca, considerato in seguito anticipatore della contestazione, è un film del 1965, Ambra è nata 12 anni dopo. Ma “è una storia di grande impatto anche per chi il ’68 non l’ha vissuto. Più che nel contesto politico, che resterà lo stesso nella versione teatrale, il fascino è in quello familiare. È una famiglia che non riesce a controllare le distanze e in cui c’è qualcosa di torbido che è anche modo di comunicare. Ho letto una corrispondenza tra Bellocchio e Pasolini, che definiva I pugni in tasca “un cinema di prosa che ogni tanto sfocia nella poesia”. Mi sembra una riflessione perfetta per tutto il cinema bello”. Una vicenda come quella del film di esordio di Bellocchio “sarebbe difficile da proporre oggi. Non si potrebbe tenere nascosta la malattia o l’abuso, oggi finirebbero su Internet. Con il risultato che la famiglia, che dovrebbe essere sostegno e protezione diventa prigione e causa di autodistruzione. In un tempo in cui se ne parla tanto mi sembra giusto ricordare che ci sono ancora tante famiglie di questo tipo. Basta leggere certi casi di cronaca”.
“Perché dopo 44 anni ho pensato a una versione teatrale de I pugni in tasca?
In tutti questi anni mi sono state proposte varie riduzioni teatrali del film, ma in nessuna mi pare vi fosse un’idea nuova, un tentativo almeno di fare del film un’altra cosa, di reinventarlo almeno un po’. I dialoghi originali erano fedelmente riassunti col solo scopo di contenere la rappresentazione dentro la casa, cioè il palcoscenico a scena unica. Le azioni poi erano le stesse e si svolgevano in quei tempi lontani, prima del ’68 ecc ecc. Ho rinunciato senza troppa fatica, perché gli stessi autori di quelle “riduzioni” non erano veramente convinti e neppure tanto entusiasti.
Ora che la possibilità di portare a teatro I pugni in tasca diventa concreta, per la disponibilità di Stefania De Santis, regista che stimo molto e con cui lavoro, per la possibilità di un cast molto originale, per l’interesse di un produttore teatrale, Roberto Toni, che non ha bisogno di referenze, tocca a me scrivere il copione e sperare di non cadere negli stessi errori che ho trovato nelle versioni teatrali che ho letto finora.
I pugni in tasca deve innanzitutto rinunciare alla sua fama di film preannunciante il ’68, il film della rivolta contro le istituzioni, la famiglia, la scuola, la religione ecc ecc. È vero che il film girò il mondo divenne un film di culto e colpì molti giovani, ma è acqua passata, nessun rimpianto, nessuna nostalgia. Io oggi penso a I pugni in tasca come a un dramma della sopravvivenza in una famiglia dove l’amore è del tutto assente. Si vive in un deserto di affetti senza nessuna prospettiva per il futuro, una situazione di immobilità assoluta che fa pensare a un carcere o a un manicomio senza speranza di guarigione, rieducazione, riabilitazione, rinascita ecc ecc.
Manicomio o carcere interiori perché non ci sono sbarre e le porte sono aperte.
Ogni fratello cerca a suo modo di sopravvivere, tranne il fratello apertamente folle che urlando ricorda continuamente il suo passato, la sua rabbia, il suo odio, il suo dolore… È una famiglia in cui c’è una madre che sembra buona, caritatevole (la “santa” de L’ora di religione), ma che in realtà imponendo a tutti i fratelli la pazzia terrorizzante del primogenito coerentemente con i principi della sua religione educandoli alla sottomissione e alla rinuncia alla sofferenza ecc ecc li ha ridotti ad essere come degli animali notturni che escono e si muovono soltanto quando il pazzo dorme (un po’ come l’orco della favola). E perciò annoiati sfaccendati non fanno nulla, sprecano così la loro giovinezza. ……. Non lavorano, non studiano, inventandosi una malattia organica che li obbliga all’inattività, all’ozio, assecondati dalla madre (il padre è del tutto assente. Fuggito, morto in guerra?), l’unico che lavora è Augusto il quarto fratello che amministra male un patrimonio terriero che rende poco e permette alla famiglia una vita confortevole ma senza alcun lusso. Immobilità, inerzia, ripetitività.
Ma come in tutti i drammi ad un certo momento Alessandro farà una cosa. Le continue fantasticherie a cui si abbandona tutto il giorno quasi per caso gli offriranno una possibilità concreta. La possibilità di compiere un delitto. Si accende un motore e da quel momento la sua vita prenderà velocità e come nell’apprendista stregone il guidatore perderà ogni controllo e finirà per sfracellarsi. Se i due delitti devono rimanere anche nella versione teatrale (rappresentati fuori scena?) è chiaro che immaginando una scena unica seppure in una struttura complessa molte azioni così efficaci nel film (pensiamo ai dettagli, ai primi piani, al gran ritmo del montaggio ecc ecc) devono trovare degli equivalenti teatrali e per esempio anche i tempi delle varie azioni saranno a teatro più lunghi, più reiterati, più esasperati, il ritmo cinematografico sarà sostituito da una tensione che poi di volta in volta esploderà in un gesto clamoroso…
Niente di noioso ma lo stesso tempo (immagino una rappresentazione che corrisponde al tempo medio di un film o anche meno) con un altro battito (riutilizzando le stesse musiche di Ennio Morricone).
Nel dramma la famiglia, che le istituzioni dello Stato e della chiesa continuano a sostenere come cellula fondente della società ecc ecc, dovrebbe essere rappresentata come un relitto, una zattera in balia delle onde, che prima o poi si schianterà contro qualche scoglio, e finirà per sempre.
Una tragedia? Un dramma? Poco importa I delitti de I pugni in tasca, se si fa un minimo sforzo di immaginazione, possiamo leggerli o vederli tutti i giorni sui giornali e in televisione in cui immancabilmente i vicini di casa dell’assassino non riescono a spiegarsi come quella tal persona così normale un giorno improvvisamente abbia fatto una strage e poi, ma non sempre, si sia suicidato…
Marco Bellocchio