L’intervento del segretario generale Cgil Matera Manuela Taratufolo all’attivo della Cgil promosso presso l’hotel San Domenico per annunciare le ragioni dello sciopero generale previsto il 6 maggio 2011.
Saluto tutti i delegati e le delegate oggi presenti al nostro attivo, lavoratori e lavoratrici dei diversi settori lavorativi, pensionate e pensionati della nostra provincia che oggi sono qui, insieme a tutto il gruppo dirigente della CGIL, a fare il punto sulle ragioni dello sciopero generale del 6 maggio e sulla nostra piattaforma rivendicativa.
Lavoratori e lavoratrici, pensionate e pensionati, che vivono una fase drammatica e difficile, una sofferenza che rende ormai complicata la sopravvivenza.
Il contesto che ci circonda dal punto di vista lavorativo non è idilliaco; quasi ogni giorno, nel 2010, arrivava, puntuale, un bollettino di guerra che ci annunciava una chiusura o una crisi; dall’inizio del nuovo anno quel bollettino non c’è più: i lavoratori della chimica, del mobile imbottito, del metalmeccanico, delle piccole aziende artigiane sono, nel frattempo, diventati cassintegrati o licenziati in mobilità; ora la guerra si combatte per ottenere la proroga del sussidio di mobilità o della cigs.
Siamo al paradosso, eppure è vera realtà: nell’anno precedente abbiamo lottato per difendere il lavoro e per scongiurare le chiusure che purtroppo sono avvenute; nel 2011, ci battiamo affinchè almeno il sussidio possa accompagnare e sostenere chi ha perso il posto di lavoro o chi auspica che possa esserci la ripresa del lavoro, momentaneamente sospeso per crisi.
Storie di miseria, di sacrifici, di massima difficoltà a cui noi diamo voce e ascolto in maniera unitaria.
Sì perché nei territori le vertenze sono seguite, laddove possibile, unitariamente e la parola difesa del lavoro e dei lavoratori è pronunciata a voce unica da CGIL CISL UIL.
Anche questa, rispetto al contesto nazionale, una pesante contraddizione che però ci fa comprendere che di fronte alla crisi serve un sindacato unitario, di fronte alle difficoltà di chi abbiamo il dovere di difendere, non ci si può permettere di essere divisi e spaccati.
Ieri, abbiamo svolto un’assemblea animata, carica di tensione in Ferrosud: è l’ultimo stabilimento storico metalmeccanico presente nel materano.
150 lavoratori, giovani e meno giovani, col fiato sospeso a causa di un imprenditore scellerato che ha saccheggiato quella fabbrica, impoverendola.
La sua incapacità oggi la pagano 150 lavoratori con altrettante famiglie a cui noi abbiamo il dovere di assicurare una tutela convinta, provando il tutto per tutto.
In quella assemblea CGIL CISL UIL hanno parlato la stessa lingua e vi assicuro che ascoltare anche loro parlare di diritti e tutele, affermare anche loro che il lavoro e la sicurezza sono intoccabili, è stato un vero piacere.
E’ quello che dovremmo insieme sostenere sempre, non solo in periferia.
Vorrei che alle nostre vertenze e trattative BONANNI e ANGELETTI partecipassero per capire che, se anche a livello nazionale si fosse evitato di cadere nella trappola della spaccatura e della divisione sindacale, oggi, probabilmente, non avremmo avuto gli accordi separati di Mirafiori e Pomigliano, non avremmo avuto l’accordo separato nel pubblico impiego né quello nel terziario, non avremmo avuto il collegato al lavoro, non avremmo avuto le proposte oscene di istituire lo statuto dei lavori o del lavoro.
Bisogna che CISL e UIL si chiedano cosa ha portato di positivo ai lavoratori il procedere separatamente sui temi del lavoro: nelle assemblee che stiamo svolgendo in preparazione dello sciopero, la risposta se la danno da soli i lavoratori. Questo modo di procedere non ha portato nulla di buono, anzi zero assoluto cioè abbassamento del livello dei diritti e delle tutele, nessuna conquista, ma solo impoverimento della classe operaia, dei lavoratori tutti.
Un sindacato che può avere opinioni diverse ma che è unito nelle battaglie e negli obiettivi di difesa del lavoro, di pretesa di un fisco equo, di riforma degli ammortizzatori sociali, è un sindacato vincente che rafforza i lavoratori e non li indebolisce, anzi li fortifica scongiurando gli attacchi ultimi con cui si riportano i lavoratori verso un’epoca paleolitica.
Quell’unità non deve sembrare un miraggio ma un auspicio da realizzare, poiché quando essa si pratica il risultato positivo è un beneficio per i lavoratori, è una sconfitta per le controparti.
Lo dimostrano le ultime vicende positive che hanno visto CGIL CISL UIL siglare unitariamente l’accordo di rinnovo contrattuale nelle poste e di rinnovo delle RSU nel pubblico impiego.
Fatti questi da evidenziare e di cui andare orgogliosi poiché dimostrano che quando si pratica la strada della difesa del lavoro, e non della sua precarizzazione, quando si guarda ai lavoratori non come merce da svendere e barattare ma come soggetti pensanti che devono potere partecipare attivamente alla vita del posto di lavoro, la CGIL non pone veti, non dice NO ma sigla, insieme a CISL UIL, accordi che, in tal caso, non sono al massimo ribasso ma di estrema coerenza col nostro ruolo di sindacato confederale che deve assicurare tutela, diritti, partecipazione, democrazia, rispetto della dignità, esigibilità dei diritti universali.
Viviamo in un’epoca terribile dove è più facile mettere in discussione che garantire e riconoscere; si preferisce negare perché è più semplice; concedere significa confrontarsi, concertare e a questo Governo, rivelatosi palesemente, con le sue dichiarazioni e azioni, filofascista e accentratore, non piace dialogare poiché avere il confronto può significare dovere argomentare e questi del Governo sono capaci ad essere parolai, ma non in grado di entrare nel merito poiché non posseggono le argomentazioni.
Lo dimostra il documento di economia e finanza che hanno preparato e che coerentemente col loro cliché ormai consolidato è solo arte del puro galleggiamento, è assenza di programmare e realizzare un vero piano di crescita. In quel documento non compaiono due questioni fondamentali che non sono mai comparse, insieme a tante altre, nell’agenda politica di questo Governo : riforma del fisco e lavoro, alleggerimento della pressione fiscale e rilancio dell’occupazione.
Sì perché se davvero si volesse attuare una politica economica e industriale che porti beneficio al Paese, la prima cosa da fare è una riforma del fisco con cui rendere meno aspra la pressione fiscale sui lavoratori, sui pensionati e sulle imprese realizzando una nuova modalità di tassazione delle grandi ricchezze e delle rendite finanziarie, così come già accade nel resto d’ Europa.
Anzi il nostro Paese continua ad essere il primo in Europa per tasse elevate su salari e pensioni e l’ultimo per la tassazione sulle rendite. E’ inaccettabile che un reddito da lavoro dipendente pari a 15.000euro sia tassato al 23% e una rendita da centinaia di mila euro sia tassata al 12.5%.
Come la definiamo questa: parità o disparità di trattamento rispetto al fisco fra cittadini di uno stesso Paese? Di fronte ad una domanda così semplice, il Governo non risponde, nicchia, appunto galleggia, nega il confronto poiché qui non ci sono effetti speciali che tengano per giustificare che la disparità esiste, è palese, è evidente ed è intollerabile e grave.
Eppure la ns. Costituzione in uno dei suoi articoli afferma il principio dell’equità fiscale; l’art.53 sancisce infatti la corresponsione delle tasse in base alla capacità contributiva di ciascuno: chi guadagna di più, deve pagare più tasse; la nostra Costituzione afferma anche che le tasse devono essere pagate poiché da esse si ricavano risorse con cui finanziare tutta una serie di servizi utili alla collettività, ma soprattutto si riesce a garantire un principio importante quello della solidarietà: garantire diritti e utilità a chi può meno di altri.
Ma nei fatti oggi ciò non accade; non accade non solo sul fronte delle tasse ma su tutta una serie di aspetti fondamentali per la nostra Nazione, per il nostro Stato.
A me pare sinceramente che questo Governo si sia dato una missione: attuare la nostra Costituzione in senso inverso. Agire secondo la direzione opposta a quella tracciata per più di 60 anni dalla carta costituzionale.
E di ciò ne ho prova tangibile non solo io ma tutti noi.
Se la Costituzione prevede l’equità fiscale, anziché determinare misure che realizzino tale principio, si introduce lo scudo fiscale per agevolare chi già paga poche tasse o le evade; anziché mettere in campo un piano con cui fare emergere tanta economia sommersa che sfugge al fisco e sottrae entrate allo Stato, questo Governo non elabora strumenti per accrescere controlli ma svolge l’azione inversa, avalla l’evasione, non la combatte seriamente ma la occulta.
E ciò non accade solo sul versante del fisco.
Se noi prendiamo in esame, a campione, alcuni articoli della Costituzione, notiamo che sono tutti con convinzione disattesi.
Le donne devono avere parità salariale e di opportunità nel lavoro? La costituzione lo dice all’art. 37.
Bene, pronti i provvedimenti con cui fare capire a chiare lettere che questo non è paese per donne che vogliono sentirsi realizzate come lavoratrici, madri, mogli, cittadine e donne.
Viene immediatamente eliminata, appena questo Governo si insedia, la legge che impediva l’imposizione delle dimissioni in bianco al momento dell’assunzione, legge che tutelava soprattutto le donne le quali sono automaticamente fatte fuori dai posti di lavoro nel momento in cui decidono di vivere il diritto alla maternità; senza poi parlare di quanto complicata sia l’attuazione della conciliazione poiché manca la destinazione di risorse da parte dello Stato a quei fondi che servono a finanziare la creazione delle rete di servizi a sostegno dei genitori, ma soprattutto delle donne che vogliono anche lavorare oltre ad essere madri e mogli.
Se ci spostiamo sul fronte dei giovani, il discorso non cambia anzi, anche rispetto alle nuove generazioni, il comportamento è tale da affermare che il nostro non è un Paese per giovani.
La nostra Costituzione afferma negli art. 1,3,4 un principio importante: il diritto al lavoro deve essere riconosciuto e garantito a tutti i cittadini rimuovendo quegli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di quel diritto.
Bene, anche in questo caso il Governo si impegna con tutta la sua forza ad ostacolare il lavoro e i lavoratori, e più i lavoratori sono giovani, più la loro vita è complicata.
Questo Governo ha avuto la capacità di creare ben 45 forme di lavoro atipico con cui snaturare la forma principe del lavoro: il contratto a tempo indeterminato.
Più sei giovane e più questo Governo consente le proposte più indecenti di lavoro: co.co.co., staff leasing, job sharing,lavoro a chiamata, etc.
Forme di lavoro che hanno una costante: fare perdere al lavoro il suo valore sociale, rendere il lavoro flessibile e perciò precario, annullare le tutele, negare diritti ma soprattutto rendere i giovani lavoratori piccoli schiavi da sfruttare all’occorrenza con salari risicati, spesso al di sotto del minimo delle tariffe sindacali.
E la pletora di forme di lavoro atipico mica lo si argina? no, anzi, il collegato al lavoro consente di sbizzarrirsi nel peggiorare le condizioni di lavoro, già pessime, poiché nella stipula dei contratti individuali, certificati da soggetti compiacenti, il datore potrà porre condizioni assurde e il lavoratore, debole e ricattato, dovrà solo firmare accettando condizioni di peggior favore. Altro che libertà di non firmare. Lì si afferma l’obbligo di firma, altrimenti tu non lavori.
Ci rendiamo conto cosa si sta riservando alle giovani generazioni? un non lavoro comunque legalizzato e certificato e quindi praticabile.
Ma questo non è un paese per giovani, non è un paese per donne, non è un paese per anziani, è un paese per chi?
Per i prepotenti che badano ad interessi di nicchia e che hanno dimenticato l’interesse collettivo e generale e che amministrano questo Paese e la sua popolazione con disprezzo come se fossero padroni delle ns. vite e dei nostri pensieri? Questo Governo governa per sé e non per la collettività.
No, questo film dell’orrore noi dobbiamo stopparlo; non possiamo consentire che la macchina da presa vada oltre i limiti dell’indecenza già raggiunta.
Sì perché a tutto quanto ciò che si è appena rappresentato, si aggiunge dell’altro che è ancora più grave e pericoloso.
Dicevo, questo non è un Paese per anziani. In Italia dopo che hai lavorato e fatto sacrifici immani, non ti è dato nemmeno di invecchiare sereno: gli anziani devono assolvere al ruolo di ammortizzatori sociali delle famiglie dei loro figli e nipoti.
Sì proprio così. Ci rendiamo conto di cosa si sta verificando?
I nostri anziani, bisognosi di cure, spesso con pensioni minime e basse, sono costretti a fare ancora sacrifici e a non ricevere l’assistenza di cui necessitano sia perché le risorse per il fondo della non autosufficienza sono state tagliate sia perché si vuole smantellare lo stato sociale.
Se hai problemi, ti devi arrangiare come meglio puoi. E così, di fronte ad un figlio che non lavora, ad un nipote cassintegrato, ad una figlia pluriprecaria che non può permettersi nido o baby sitter, sopperiscono i nonni che diventano il welfare a costo zero della famiglie.
Se dovessimo raccontare tutto ciò all’esterno dei nostri confini nazionali, questa sembra una storia irreale e invece è pura realtà, vissuta ogni giorno sulla pelle viva dei nostri giovani, dei nostri pensionati, dei nostri lavoratori.
Lo Stato sociale viene smantellato, il lavoro negato, i giovani hanno già pegni e ipoteche sul loro futuro occupazionale e non ne parliamo su quello contributivo, i lavoratori vengono assimilati a merce di scambio, i pensionati considerati stampelle di sostegno al reddito di chi perde lavoro.
Insomma ma dove è finito quel Paese con leggi ad hoc sull’assistenza sociale, sull’equa redistribuzione fiscale, sul diritto/dovere di lavorare tutti?
Vorrebbero che quel Paese diventi una chimera.
Addirittura mettendo mano a valori, principi che mai nessuno, in Italia, da quando si è instaurata la forma della Repubblica democratica, aveva osato intaccare.
Si è avuto il coraggio barbaro, indecente e malsano di mettere mano alla stabilità della democrazia, dell’uguaglianza, della solidarietà, della giustizia.
Quando si arriva a considerare il dovere di accogliere un migrante, in cerca di sostegno, poiché nel suo paese sono in corso guerre civili, come un peso da scaricare ad altri paesi o quando si arriva a legiferare il reato di clandestinità per non praticare l’inclusione e l’integrazione dei migranti o l’accoglienza degli stessi, significa che si sta intaccando uno degli aspetti che caratterizza il cuore della nostra costituzione : la solidarietà e l’uguaglianza.
Prova di questo disegno perverso è la maniera sprezzante con cui uomini del Governo si permettono di esprimersi. Bossi a proposito dell’immigrazione e di come affrontarla dice: “bisogna chiudere i rubinetti e svuotare la vasca”; mentre Castelli ancora meglio specifica dicendo che bisogna respingere gli immigrati ma non possiamo sparargli, almeno per ora.
E cosa vogliamo dire a proposito dell’ennesimo attacco alla scuola pubblica?
Dopo avere negato risorse per la funzionalità degli istituti di ogni livello e grado, per la stabilizzazione dei precari, per il rinnovo del CCNL, si punta a indebolire il ruolo principe che la scuola pubblica ha in una società civile.
Quello di essere laica e uguale per tutti, di formare le menti e le coscienze, di accrescere il sapere, di determinare il futuro di un Paese.
La scuola pubblica invece per questo Governo è una zavorra di cui liberarsi a vantaggio di quella privata.
E ogni occasione è buona per evidenziare falsi limiti della scuola pubblica. Ci hanno provato affermando che gli insegnanti non contribuiscono alla buona educazione degli alunni che vengono allontanati dai principi educativi impartiti nelle loro famiglie; hanno poi costruito la polemica sui libri di testo affermando che alcuni di essi mancano di oggettività e che plagiano e indottrinano.
La verità è che si vuole distruggere la scuola pubblica; per questo Governo, l’istruzione deve essere un privilegio e non un diritto accessibile a tutti, in barba all’art. 34 della Costituzione.
Si vuole disinvestire sulla crescita culturale, si vuole azzerare la coscienza critica per avere sudditi asserviti, senza pensieri né idee, ma allineati ad un pensiero unico, quello di chi detiene attualmente i poteri dello Stato.
Ma la cosa più incredibile che si sta verificando, tanto assurda da essere assimilata ad una di quelle tragedie greche dove i valori si ingarbugliavano per giungere poi però a dare un insegnamento che qui non c’è, è che un potere dello Stato attacchi ferocemente un altro potere dello Stato definendolo brigatista. Ovviamente non mi riferisco ai manifesti apparsi in Milano ma alle affermazioni patologiche e irresponsabili del primo ministro del Governo che, pur di garantirsi l’impunità e il sottrarsi dai giudizi di una serie di processi, definisce la magistratura eversiva, estremista, brigatista.
Questo è gravissimo poiché si tenta di delegittimare un potere dello Stato che è garante dell’amministrazione della giustizia e dell’affermazione della legalità.
Al primo ministro sfugge che l’Italia è il Paese Occidentale col numero più alto di magistrati, ben 26, ammazzati per mafia e terrorismo; né è cosa decente che il Capo del governo possa parlare in maniera sprezzante di chi ogni giorno è al servizio dello Stato per il rispetto delle sue leggi e perché esse si applichino in maniera eguale a tutti i suoi cittadini senza differenza di ceto o di ruoli rivestiti nella società.
La tragedia più grande è che si voglia fare passare il principio secondo cui un uomo potente si possa difendere dal processo e non nel processo e che si voglia fare dimenticare che la colpa è di chi commette i reati e non di chi li rileva, di chi persegue la legalità o il rispetto delle leggi.
Si tratta di accuse pesanti verso un corpo dello stato che contribuisce all’affermazione della democrazia, dell’uguaglianza, della giustizia nel ns. Paese.
Ma ciò è inaccettabile da parte di chi, il Capo del Governo, appunto, sta usando la politica per trasfigurare la realtà.
IL Parlamento in questa fase ha solo una premura : non la crisi dell’economia e del lavoro nel nostro Paese, ma tutelare le necessità del primo Ministro e anche questo è molto pericoloso poiché ancora una volta si sta contravvenendo ad importanti e fondamentali garanzie costituzionali.
Questo è sintomatico dell’assenza totale, in questa maggioranza, di etica pubblica ma soprattutto di propensione a compiere qualsiasi atto, pure contrario alla Costituzione, per brama di potere assoluto.
Eversiva non è la Magistratura; eversivo è chi cerca di piegare il potere per fini personali e contrari alla ns. carta costituzionale.
Si sta tentando di attuare un progetto perverso che è la riforma dell’architettura dello Stato italiano, della sua giustizia, del suo sistema democratico: si vogliono annullare libertà, giustizia, partecipazione, democrazia e sovvertire le basi su cui si fonda la nostra Repubblica.
Non possiamo non condividere le parole del Presidente Napolitano che, rispetto alle polemiche sull’amministrazione della giustizia, ha affermato che si sta toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni.
IL Presidente ha invitato tutti al senso della misura e della responsabilità e ha deciso di dedicare le celebrazioni della Giornata delle vittime delle stragi e del terrorismo, prevista per il 9 maggio, ai servitori dello stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni.
Una risposta forte all’ignobile provocazione del manifesto affisso in Milano nei gg. scorsi, recante la scritta “via le BR dalle procure”, manifesto che è una grave offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non.
Da un lato le parole del Presidente Napolitano, dall’altro l’importante sentenza contro la Thyssen.
Per noi, rappresentano entrambe fonte di forza a non demordere, a non indignarci semplicemente, poiché, come dice il titolo di un recente libro di Pietro Ingrao, “indignarsi non basta” e noi della CGIL non possiamo limitarci in questa fase semplicemente ad una reazione flebile.
La nostra reazione deve essere forte tanto quanto forti sono gli attacchi a quei principi per cui tanti lavoratori e lavoratrici nel passato si sono battuti.
Deve essere forte perché noi alla democrazia teniamo così come teniamo alla tenuta delle ns. Istituzioni e delle regole democratiche che abbiamo conquistato dopo il fascismo.
Mai come in questo momento è necessario parlare ai lavoratori , come siamo abituati a fare, guardandoli negli occhi e spiegandogli in maniera chiara il rischio che ogni cittadino, ogni uomo, ogni donna, ogni lavoratore sta in questa fase correndo: vedersi negare le libertà fondamentali della persona, vedersi negare le garanzie di giustizia e democrazia. Tali negazioni ovviamente avrebbero pesanti ripercussioni nel mondo del lavoro, peggiori di quelle già messe in atto.
La sentenza della Thyssen è per tutto il mondo del lavoro l’affermazione di un principio secondo cui la sicurezza, al pari del lavoro, è un diritto e se esso viene negato dolosamente, tale comportamento costituisce reato.
Questa sentenza ci anima, ci ripaga di tanti scempi realizzatisi negli ultimi tempi a danno del diritto del lavoro.
Ma v´è un aspetto di questa sentenza che va al di là del senso di restituzione di qualcosa che era dovuto alle vittime, ai loro compagni, ai familiari.
E lo vorrei dire facendo mia una riflessione di Luciano Gallino.
Negli ultimi anni il mondo del lavoro ha pagato un prezzo elevatissimo in termini di compressione dei salari, peggioramento delle condizioni di lavoro, erosione dei diritti acquisiti, oltre che di vittime di incidenti e malattie professionali che la legge sulla sicurezza nei posti di lavoro dovrebbe limitare, se negli ultimi anni non fosse stata indebolita in vari modi dal legislatore.
Questa sentenza riafferma che è il lavoro a creare benessere per tutti.
E´ la base su cui si regge sia la ricchezza privata che quella pubblica.
IL lavoro merita un ampio riconoscimento sociale così come dice la Costituzione.
Perciò né il lavoro né il lavoratore dovrebbero essere trattati come una merce che si usa se serve, si butta da parte se non serve, si cerca di pagare il meno possibile, e non importa poi troppo se chi presta il lavoro ci rimette la vita perché l´impresa, in nome della globalizzazione e del mondo che è cambiato, deve anzitutto far quadrare il bilancio.
La sentenza di Torino rafforza le nostre posizioni e ci carica di quella forza necessaria a sostenere la ns. piattaforma rivendicativa dello sciopero che mette al centro i giovani come risorsa da cui partire; giovani il cui tempo è adesso, la cui vita non aspetta, giovani a cui vanno date risposte concrete e non precarie, giovani con cui costruire, insieme, senza dividere generazioni diverse, un presente e un futuro migliori; il lavoro come nucleo fondamentale della ripresa della ns. economia; i diritti, base da cui non prescindere per rimettere in moto il paese poiché non è risparmiando sui diritti che si crea occupazione stabile e duratura; il fisco equo, giusto in grado di garantire entrate certe e maggiori con cui assicurare al Paese servizi aggiuntivi e non tagli lineari e indiscriminati a sanità, scuola, giustizia che rappresentano pilastri fondamentali per la tenuta del ns. Paese; mezzogiorno, non concepito come parte a sé del Paese ma parte del Paese da valorizzare e non da discriminare con un federalismo che accresce le differenze fra nord e sud, non le attutisce nè determina le condizioni per una crescita paritaria.
La CGIL, oggi più che mai, è un’organizzazione viva e responsabile che proclama lo sciopero generale perché necessario, il tempo è maturo; la reazione è necessaria.
Le difficoltà di questo periodo non possono farci cambiare la nostra identità né possono mettere in discussione i valori fondanti della nostra organizzazione: non possiamo trasformarci in un sindacato di soli servizi né in un sindacato che sia la stampella dei padroni. Noi siamo e restiamo un sindacato confederale, orgoglioso della sua confederalità, un sindacato che garantisce a tutti gli iscritti sia l’assistenza contrattuale e collettiva che la tutela individuale.
Il nostro sciopero generale è un messaggio solidale e di speranza per tutti coloro che temono di non farcela a veder rispettati i loro diritti, per coloro che temono che dal tunnel della crisi non si esca più, per il dramma che vive chi ha 50 anni e ha perso il lavoro ed è troppo giovane per la pensione e per chi ne ha 40 e non lo ha ancora trovato.
E’ uno sciopero con cui pretendere che questo Governo smetta di negare la crisi, di raccontare bugie, di deprimere il ns. Paese ed apra una discussione vera per affrontare i temi della crescita, del lavoro, del fisco, dello sviluppo.
Questo sciopero deve dare voce a tutti: garantiti e non garantiti, stabili e precari, disoccupati e cassintegrati, giovani e meno giovani.
Le nostre ragioni sono state rappresentate, o lo saranno, nelle circa 250 assemblee, che si sono, in parte svolte e che si svolgeranno sui posti di lavoro e nei comuni, ed oggi con questo attivo intendiamo con forza ribadire a tutto il gruppo dirigente ed a tutti voi delegati che è urgente reagire perché la nostra provincia è in ginocchio ma non ci possiamo rassegnare: dobbiamo pretendere una ripresa economica che parta dall’agricoltura, dalle fonti energetiche rinnovabili, dal turismo sostenibile, dal terziario, dai servizi.
Dobbiamo garantire un futuro ai nostri giovani, e la CGIL sarà al loro fianco per realizzare le basi di una ripresa che il ns. territorio merita di ricevere. Oggi col ns. attivo. IL 29 aprile colla marcia per il lavoro in Scanzano, il 6 maggio collo sciopero generale in Matera.
Concludo ricordando un episodio molto caro a tutti noi.
Nel 1921, un bracciante del sud viene eletto al parlamento.
Nel suo primo discorso espone il suo sogno dicendo: “questa mattina qualcuno presente in quest’aula per dimostrare il suo disprezzo per la mia presenza qua, ha mormorato “ecco un cafone in Parlamento”. Sappiate che questo titolo non mi offende, anzi mi onora. Se io valgo qualcosa e sono qua lo devo a tutti quei braccianti analfabeti che hanno dormito insieme a me nelle cafonerie e con me hanno mangiato pane e olio e che hanno lottato per i diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori perché la fame, la fatica, il sudore non hanno colore e il padrone è uguale dappertutto. C’è un sogno che mi ha portato qui ed è quello di vedere un giorno i braccianti del sud cogli operai del nord camminare fianco al fianco, lottare per gli stessi diritti e per questo sogno io sono disposto a lottare fino all’ultimo dei miei giorni”.
Quel bracciante/cafone era Giuseppe Di Vittorio, il suo discorso è sorprendentemente attuale. Quel sogno lui riuscì a realizzarlo determinando le basi per grandi conquiste a difesa della dignità e dei diritti dei lavoratori tutti.
Oggi tocca a noi realizzare quello stesso sogno, senza se e senza ma, colla convinzione reale che noi possiamo e dobbiamo cambiare lo stato attuale delle cose restituendo al lavoro e ai lavoratori la dignità e costruendo un presente e un futuro migliori, garantisti per noi e per chi verrà dopo di noi.
Ci hanno insegnato a non toglierci il cappello davanti ai padroni, a non abbassare la testa, ma soprattutto a formare la coscienza di classe, a diffondere la necessità della solidarietà fra lavoratori.
Tocca a noi tutti, svolgere, con responsabilità alta e rinnovata passione, la ns. nobile missione di sindacalisti: dell’oggi e del domani noi, al fianco di lavoratori, giovani, pensionati, dobbiamo essere protagonisti attivi e non spettatori passivi, per lasciare il nostro mondo un po’ meglio di come ci è stato consegnato.
Cambiare si deve, si può.
Il 6 maggio lo sciopero deve essere generale affinchè la democrazia non sia sospesa, affinchè i diritti e la dignità non siano sterminati, affinchè il lavoro sia garantito, sicuro e non precario, affinchè non ci si accontenti di un lavoro purchè sia ma si affermi il diritto al lavoro, quello previsto dall’art. 1 della nostra Costituzione.
Si riparte proprio da lì, oggi, e non domani, L’ITALIA è una REPUBBLICA fondata sul LAVORO. IL nostro sciopero ne rivendica l’attuazione oggi, domani, sempre!
Manuela Taratufolo