Fenice aziona il freno d’emergenza
L’inceneritore Fenice preoccupa la multinazionale EDF ed a prescindere dalle rassicurazioni che da e raccoglie “allegramente” dagli uffici regionali cerca di mettere la carte a posto.
E’ il 12 Novembre del 2010 quando Fenice S.P.A. costituisce con 50 mila Euro (il costo di due autovetture di classe media) Fenice Ambiente- SRL. con sede a Rivoli (To) ed iscritta nel registro delle imprese di Torino; la predetta società ha la sua sede operativa presso l’inceneritore.
Alla società, appena costituita, viene assegnato un ramo d’impresa: l’inceneritore di S. Nicola di Melfi. La nascita della scatola cinese serve, una volta fatte le valige,a partire senza pagare pegno.
E’ un copione già visto nelle rinnovabili.
La richiesta VIA per le fonti energetiche rinnovabili: fotovoltaico o eolico normalmente è fatta da una Società S.r.L. con poco capitale, la stessa una volta ottenute le autorizzazioni, effettuati gli impianti, percepiti i congrui contributi, decorso un po’ di tempo abbandona le enormi distese di pannelli o le ingombranti pale eoliche -alte spesso più di 100 metri- ed il ripristino ambientale da impianti divenuti obsoleti o non funzionanti, non essendoci risorse sulle quali rivalersi, spetterà alla collettività
Copione classico: privatizzazione degli utili e pubblicizzazione delle perdite.
Altre volte la società richiedente è una S.p.A. di rilevanza nazionale, essa è più credibile e la maggiore affidabilità facilita l’iter delle approvazioni, appena le si ottengono nasce la scatola cinese e la grossa società nazionale o multinazionale passa il testimone ad una sua società S.r.l. con poco capitale.
Fatta questa divagazione, attuale perché è di questi giorni il fatto che gli uffici regionali, sono letteralmente invasi da notevoli richieste di VIA (Valutazione di Imbatto Ambientale) per le fonti energetiche rinnovabili, riprendiamo il discorso su Fenice.
Secondo un principio sacrosanto negli Stati Uniti ed in Europa chi inquina paga; paga il ripristino dei luoghi.
E’ un principio che prima o poi potrebbe essere applicato anche in Italia ed allora è meglio frazionare il rischio creando la scatola cinese.
E’ di certo una ipotesi molto remota, non a caso Eni continua ad operare in Basilicata, elargisce alla popolazione i fondi colorati delle bottiglie e domani lascerà aree inquinate a perenne ricordo così come è accaduto nella Val Basento nell’area diaframmata.
Il primo atto che fa la novella S.r.l. che gestisce Fenice quale è? Regolarizzare le quantità di rifiuti urbani già incenerito e chiede la VIA per poter lavorare 39 mila tonnellate nel forno a griglia, quello riservato ai rifiuti urbani.
E’ da premettere che già nel rapporto Ispra pubblicato nel 2010 e che fa riferimento ai rifiuti trattati nel 2008, Fenice si evidenzia come aveva trattato 39 mila tonnellate di rifiuti urbani, mentre la sua autorizzazione era di 30 mila.
La Regione Basilicata esaminerà una istanza che è semplicemente irricevibile essendo l’inceneritore in regime di prorogatio perché l’ istruttoria di A.I.A. (Autorizzazione Integrata Ambientale) è in corso sin dal lontano 31 Marzo 2006. Sono passati davvero tanti anni. L’inceneritore , dopo oltre dieci anni di esercizio, continua allegramente la fase il rodaggio ed inquina..
Dire che la Basilicata sia terra di colonia è scoprire l’acqua calda.
A Forlì uno studio dell’Isde-Italia, una associazione internazionale di medici per l’ambiente, è stato presentato nello scorso mese di aprile e parla di analisi fatte sulle uova, sul pollame e sul latte materno. L’oncologa Gentilini, intervistata, parla di valori oltre il doppio di quelli previsti dai limiti di legge in polli allevati a 800 metri dagli inceneritori, la situazione diviene normale solo a venti chilometri; anche per il latte materno, la mamma che abita più in prossimità dell’inceneritore, accumula una quantità più elevata di diossina rispetto alla mamma che abita ad una distanza maggiore. Per il latte materno- dice l’oncologa- non sono previsti valori limiti per ovvi motivi e non già perché la diossina nel latte materno sia innocua. I dettagli delle dichiarazioni rese al giornalista della sede regionale emiliana della Rai sono rintracciabili su Youtube.
Il comitato Diritto alla Salute di Lavello, preoccupato per le insorgenze tumorali nel comune in cui opera e che dista appena 6 chilometri dall’inceneritore scrisse un accorato appello all’assessore Martorano nel Settembre del 2010, la richiesta è rimasta inevasa; stessa misera fine è toccato all’appello rivolto dal Sindaco di Lavello, Annale, nel mese di Novembre dello stesso anno. Anche egli si disse preoccupato per l’aumento dei decessi tumorali nell’area e chiedeva un monitoraggio non già solo ambientale ma clinico ed epidemiologico. L’amministratore locale faceva riferimento a quanto fosse accaduto in Val d’Agri con il progetto “Salute & Ambiente”. Pensava che quanto riportato dalla stampa per l’area del bacino petrolifero fosse più di un progetto.
Associazione Città Plurale di Matera