La Ola, Organizzazione lucana ambientalista ed altre associazioni e organizzazioni italiane ed europee aderenti la campagna di informazione “No fracking” hanno avviato un percorso critico, che
intende coinvolgere i territori, i cittadini, le associazioni, i comitati, i movimenti politici, gli attivisti, gli esperti, le personalità per fare approvare dal Parlamento italiano una legge nazionale contro il fracking che contenga anche norme che rendono obbligatoria la pubblicazione dei piani ingegneristici da parte delle compagnie petrolifere, oggi secretati, con la perimetrazione delle aree marine e terrestri nelle quali vietare le attività industriali e di estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi.
Da qualche anno il pericolo di estrazione di idrocarburi viene infatti aggravato in tutto il mondo ed anche in Italia dalle nuove tecniche minerarie, quali il fracking. Questa tecnica mineraria consiste
nell’iniettare acqua e sostanze chimiche in pressione nel sottosuolo, allo scopo di estrarre più agevolmente ed in modo consistente il petrolio e il gas. Il fracking si è affacciato anche in Europa, in
primis Norvegia e Polonia, ai cui giacimenti estraibili – stimati in quasi 400 miliardi di metri cubi – sono interessati anche Eni e Sorgenia.
Mentre la Francia, la Bulgaria, la Romania, la Repubblica Ceca, l’Austria, la Germania, la Svezia, i Paesi Bassi ed il Regno Unito hanno sospeso lo sfruttamento dei propri giacimenti per motivi
ambientali o hanno intensificato il dibattito interno, l’Unione Europea pensa di varare una direttiva che regolamenti il fracking. E in Italia? È un argomento quasi tabù assieme a tutte le altre tecniche
utilizzate dalle compagnie minerarie, anche in Basilicata. Manca infatti un dibattito politico ed anche il neo premier Enrico Letta considera lo “shale gas” il futuro energetico del nostro Paese, in
linea con quanto affermano le compagnie minerarie.
Queste tecniche invasive di estrazione di idrocarburi come l’acidificazione, già praticata in Val d’Agri, e il francking, nonostante le rassicurazioni delle compagnie petrolifere hanno aperto
un dibattito circa gli effetti sull’acqua, sull’aria e sulla terra, per l’uomo, per gli animali, per la flora: in una parola per il nostro ambiente, includendo anche il rischio sismico e la contaminazione delle falde causata da una miscela chimica. Un dibattito però ancora circoscritto e limitato, nonostante i seri impatti ambientali che tali metodiche comportano.
L’acqua utilizzata per l’estrazione del greggio e per la tecnica della fratturazione idraulica delle rocce (quasi 29 mila metri cubi all’anno per ogni singolo pozzo) viene, infatti, addizionata a diverse sostanze
pericolose. Si parla di oltre 260 agenti chimici cancerogeni o altamente tossici, tra i quali naftalene, benzene, toluene, xylene, etilbenzene, piombo, diesel, formadeldeide, acido solforico, tiourea,
cloruro di benzile, acido nitrilotriacetico, acrilamide, ossido di propilene, ossido di etilene, acetaldeide, di-2-etilesile, ftalati. Senza dimenticare sostanze radioattive come cromo, cobalto, iodio,
zirconio, potassio, lanthanio, rubidio, scandio, iridio, krypton, zinco, xenon e manganese. Fino all’80% di questi fluidi iniettati per la fratturazione idraulica ritorna in superficie come acqua di
riflusso. Il resto rimane nel sottosuolo e rischia di costituire una minaccia futura per l’acqua potabile.
Per dire di no a queste tecniche invasive ed impattanti di estrazione di idrocarburi come il fracking e per difendere l’acqua, l’aria, la terra e la salute è possibile aderire alla campagna “No Fracking
Italy” compilando l’adesione on line al seguente indirizzo internet: http://www.nofracking.it/campagna-italia/