Se malauguratamente dovesse chiudere un’azienda come l’ILVA, dalla quale dipende il 40% dell’intera produzione nazionale di acciaio, sarebbe come se un nemico esterno fosse venuto a bombardarci.
Lo afferma una nota della Cna nella quale si esprime grandissima preoccupazione per il futuro del più grandi impianto siderurgico d’Europa, che vale, per l’Italia, un punto di Pil ogni anno.
Al di là dei sacrosanti diritti dei lavoratori e dei quadri di quell’impresa, è arrivato il momento di mettere sul piatto della bilancia anche il dramma che stanno vivendo, in queste giornate, tutte le aziende dell’indotto.
Non si contano più le telefonate di preoccupazione, i messaggi di allarme che arrivano alla Cna nazionale e alle sedi periferiche, dove operano le imprese della carpenteria metallica, della lavorazione di lamiera, fino a quelle specializzate nelle minuterie metalliche e nella componentistica. Tutte piccole imprese manifatturiere che sono legate a doppio filo all’Ilva per l’approvvigionamento delle materie prime.
C’è chi incomincia a diversificare i fornitori. Ma a questo punto può bastare pochissimo per far diventare drammatica la situazione. Intere filiere produttive potrebbero trascinare nel baratro le comunità locali nelle quali operano.
Mag 30