Martedì 23 luglio 2013 alle ore 21 Vinicio Capossela presenta al parco del Castello Tramontano “Musica per Sposalizi”, un nuovo straordinario evento del cartellone della XIV edizione di Festival Duni, una tappa del minitour con cui il poliedrico musicista sta presentando il suo ultimo CD “Primo ballo”. Biglietto al botteghino: posto in piedi 18 euro e posto a sedere 23 euro, più 1 euro di prevendita. Informazioni Cartolibreria Montemurro, via Delle Beccherie n. 69, Matera (0835.333411) e Grieco Abbigliamento in via Lucana n. 66 o in via Stigliani n.82 (0835.331458), o www.orchestramagnagrecia.it.
Lo dice Vinicio Capossela: «la musica che un tempo accompagnava lo sposalizio, era musica umile, da ballo, adatta ad alleggerire le cannazze di maccheroni e a “sponzare” le camicie bianche, che finivano madide e inzuppate, come i cristiani che le indossavano. Un repertorio di mazurke, polke, valzer, passo doppio, tango, tarantella, quadriglia e fox trot, che era in fondo comune nell’Italia degli anni ’50 e ‘60, un periodo nel quale lo “sposalizio” è stato la principale occasione di musica, incontro e ballo”.
Per riscoprire questa musica Vinicio Capossela è ritornato nuovamente a Calitri, il paese dell’alta Irpinia del padre, dove ha scoperto la “Banda della Posta”, un gruppo di anziani musicisti calitrani che un tempo suonavano alla feste di sposalizio.
Al paese di Calitri e a questa musica, la colonna sonora di migliaia di matrimoni nell’Italia del dopoguerra, Vinicio Capossela dedica “Primo ballo”, il suo ultimo lavoro discografico, e il minitour “Musica per sposalizi” in cui presenta sul palco la “Banda della Posta”.
In questo straordinario concerto Vinicio Capossela e i musicisti della “Banda della Posta” faranno rivivere la vecchia “Musica per Sposalizi”, trasformando magicamente la serata in una “festa di paese” fuori tempo massimo, un viaggio alla ricerca della melodia perduta, in cui saranno riproposti i “ballabili” che accompagnavano i matrimoni nell’Italia del dopoguerra.
Vinicio Casossela spiega che «a Calitri, qualche anno fa, un gruppo di anziani suonatori ha preso l’abitudine di ritrovarsi davanti alla Posta nel pomeriggio assolato, montando la guardia per controllare l’arrivo della pensione. Quando l’assegno arrivava tiravano fuori gli strumenti dalle custodie e si facevano una suonata. Il loro repertorio fa alzare i piedi e la polvere e fa mettere ad ammollo le camicie sui pantaloni. Ci ricorda cose semplici e durature. Lo eseguono impassibili e solenni, dall’alto del migliaio di sposalizi in cui hanno sgranato i colpi»
Festival Duni, organizzato in collaborazione con Orchestra Magna Grecia e MonacelleCultura, è l’unica manifestazione di questo tipo in Basilicata ad essere riconosciuta di valenza internazionale dal Ministero dei Beni e le Attività Culturali con contributo del Fondo Unico dello Spettacolo
Festival Duni si realizza grazie ai contributi di Mibac, Comune di Matera, Regione Basilicata, Provincia di Matera, Camera di Commercio di Matera, Fondazione Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania, FESR Basilicata 2007/2013, UBI Banca Carime, Shell, Bawer, Italcementi Group oltre ai servizi offerti da Vivere Italiano e Grieco abbigliamento.
Festival Duni contribuisce alla candidatura di “Matera2019 Capitale europea della Cultura”.
“Musica per sposalizi” di Vinicio Capossela
Lo sposalizio è stato il corpo e il pane della comunità. Il mattone fondante della comunità. Veniva consumato con il cibo e con la musica. Una specie di eucarestia in cui la nuova coppia veniva ingerita dalla comunità che gli si stringeva intorno avvolgendola di stelle filanti nell’ultimo, infinito ballo dei “ziti” (che così si chiamano tanto gli sposi quanto la pasta). La musica aumentava vorticosamente di ritmo fino ad assorbire la coppia che finiva per girare avvolta come uno spiedo in una girandola colorata di fili di carta. A quel punto era digerita e pronta per generare e rinnovare la comunità.
Questa musica che accompagnava il rito era musica umile, da ballo, adatta ad alleggerire le cannazze di maccheroni e a “sponzare” le camicie bianche, che finivano madide e inzuppate, come i cristiani che le indossavano.
Un repertorio di mazurke, polke, valzer, passo doppio, tango, tarantella, quadriglia e fox trot, che era in fondo comune nell’Italia degli anni ‘50, ‘60, e che si è codificato come una specie di classico del genere in un periodo nel quale lo “sposalizio” è stato la principale occasione di musica, incontro e ballo. Poi le tastiere elettroniche hanno preso il sopravvento e gli sposalizi sono diventati matrimoni. L’aria condizionata è entrata in un altro genere di ristorazioni in cui la musica è diventata una specie di dessert più parente del liscio che dell’epoca mitica dei mantici, dei violini e delle farfisa.
A Calitri, in alta Irpinia, negli anni in cui è esistita una comunità, che è poi finita frantumata nelle migrazioni che sono state il sangue vivo dello sviluppo, questa comunità si è rinnovata e celebrata in un luogo cardine del paese: la “casa dell’Eca”. Nei racconti della mia infanzia si è trasformata in “casa dell’Eco”. La casa dove nasceva l’eco. Eco della musica, degli schiamazzi, delle burle, delle feste, luogo del pantheon dei personaggi mitici che fanno una comunità in cui si viene ribattezzati e realmente ri-conosciuti, nel soprannome che la comunità stessa impone, in luogo della chiesa.
Da qualche decennio la casa dell’Eco tace, e l’unico eco che si spande è quello dei racconti. Se ci si appendessero dentro le fotografie di tutte le coppie sarebbe un sacrario di guerra. Giovani con la divisa nuziale che andavano ad affrontare, sparacchiando, la vita, dopo la sparecchiatura dei tavoli della casa dell’Eca.
Qualche anno fa, un gruppo di anziani suonatori di quell’epoca aurea non priva di miseria, ha preso l’abitudine di ritrovarsi davanti alla posta nel pomeriggio assolato. Avevano l’aria di vecchi pistoleri in paglietta. A domandargli cosa facessero appostati davanti a quell’ufficio postale, rispondevano che montavano la guardia alla posta, per controllare l’arrivo della pensione. Quando l’assegno arrivava, sollevati tiravano fuori gli strumenti dalle custodie e si facevano una suonata.
Il loro repertorio fa alzare i piedi e la polvere e fa mettere a ammollo le camicie sui pantaloni. Ci ricorda cose semplici e durature. Lo eseguono impassibili e solenni, dall’alto del migliaio di sposalizi in cui hanno sgranato i colpi. Hanno nomi da gloria nella polvere: Tottacreta, Matalena, il Cinese, Parrucca. Il più impassibile di loro non aveva nemmeno bisogno di un soprannome, tanto era lapidario il nome originale: Rocco Briuolo. Ora Rocco è andato a suonare “due Paradisi” tra i santi che ha dipinto come fossero suoi compari. Tra santo Canio e santo Liborio. Ora può, come nella vecchia canzone, dire a san Pietro guardando giù, che “il Paradiso nostro è questo qua”. E con ragione, perché la sua umanità, il suo violino e il suo pennello, hanno portato un poco di divino in noi, che l’abbiamo conosciuto. La sua “Banda della Posta” lo accompagna con la filosofia nella quale è vissuto: un lavoro ben fatto, che non si prende mai sul serio.
A lui è dedicato questo disco e questo tour fatti di racconti in musica, cic’ tu cic’ e bottaculo.
A quadriglie, a cinquiglie, fino all’incontrè.
Capossela, che ha prodotto «Primo ballo» con il chitarrista Asso Stefana, porta sul palco e su disco la Banda della Posta: Giuseppe Caputo «Matalena» (violino), Franco Maffucci «Parrucca» (chitarra e voce), Giuseppe Galgano «Tottacreta» (fisarmonica), Giovanni Briuolo (chitarra, mandolino), Vincenzo Briuolo (mandolino, fisarmonica), Giovanni Buldo «Bubù» (basso), Antonio Daniele (batteria), Crescenzo Martiniello «Papp’lon» (organo), Gaetano Tavarone (chitarre), Vito «Tuttomusica» (strumenti vari).
Vinicio Capossela ha dedicato il cd e il suo tour «alla memoria di Rocco Briuolo, uomo che ha fatto ogni cosa per bene, non prendendola mai sul serio». Rocco che soltanto a settembre strappava applausi al pubblico di «Pomigliano jazz» tra le basiliche paleocristiane di Cimitile e ha lasciato ai figli il compito di scatenarsi, anche al posto suo, nella ex sala per ”sponzali” La Ruspa, dove il cd è stato registrato».
Banda della Posta:
Giuseppe Caputo , “Matalena” – violino
Franco Maffucci , “Parrucca”- chitarra e voce
Giuseppe Galgano, “Tottacreta”- fisarmonica
Giovanni Briuolo- chitarra , mandolino
Vincenzo Briuolo- mandolino , fisarmonica
Giovanni Buldo , “Bubù”- basso
Antonio Daniele- batteria
Crescenzo Martiniello, “Papp’lon” – organo
Gaetano Tavarone , “Nino”- chitarre
Vito “Tuttomusica”- strumenti.
Canio Zarrilli- fotografie e proiezioni
ospiti : Vinicio Capossela, Asso Stefana
Vinicio Capossela…Allora è possibile sopravvivere all’abbandono di Battiti live!