“Nonostante i dati del Sinab (sistema informatico nazionale agricoltura biologica), rielaborati su quelli forniti dagli Organismi di controllo al Mipaaf, registrano in Basilicata, al 31 dicembre 2012, un calo di operatori bio del 12,5%, il comparto del biologico, con circa l’ 11% della superficie agricola utilizzata destinata (poco meno di 90 mila ettari), nella nostra regione si conferma vitale per redditi e produzioni”. E’ il commento di ANABIO-CIA (Associazione Nazionale Agricoltura biologica) lucana. Alla fine dello scorso anno gli operatori bio in Basilicata sono 1.180 (contro i 1.348 del 2011) così suddivisi per tipologia: 1033 produttori esclusivi, 77 preparatori esclusivi, 70 produttori-preparatori. Il limite che si continua a verificare – sottolinea Anabio-Cia – è l’assenza di importatori che svolgano anche attività di produzione e preparazione (complessivamente in Italia sono 297). Rispetto alla situazione di crisi complessiva dell’agricoltura sono incoraggianti i dati sui consumi: nel primo quadrimestre 2013, una spesa bio ancora in espansione (+8,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). I dati, riferiti agli acquisti di prodotti biologici confezionati presso i punti di vendita della grande distribuzione organizzata, rivelano in valore andamenti particolarmente favorevoli per i biscotti, i dolciumi e gli snack e gli ortofrutticoli freschi e trasformati, in entrambi i casi in aumento superiore al 12% rispetto al primo quadrimestre 2012. Consistente la concentrazione degli acquisti su poche categorie, con le prime tre (ortofrutta fresca e trasformata, lattiero-caseari ed uova) che coprono quasi due terzi della spesa totale. Accade infatti che se è il sud a produrre è il nord ad acquistare: è nelle regioni settentrionali che si concentra il 73% della spesa bio degli italiani.
Per Anabio-Cia, l’evoluzione degli operatori interessati a questo metodo di produzione è imputabile a vari fattori: il principale, quando gli incentivi economici derivanti dall’applicazione della Politica Agricola Comunitaria non sono interessanti, è l’opportunità che offre la certificazione biologica di mantenere o conquistare nuovi spazi di mercato. La distribuzione territoriale delle aziende e è abbastanza ramificata e coinvolge tutto il territorio regionale, con concentrazioni maggiori dove le possibilità di commercializzazione e valorizzazione delle produzioni sono più frequenti (es. nel Metapontino) ed in quelle aree ove il sostegno finanziario della Nuova Politica Agricola Comunitaria al metodo biologico ed a particolari colture sono maggiori, come è stato, ad esempio, il caso dei cereali nelle colline Materane. Si evince, quindi, il passaggio alla fase di “maturità”, sia dei produttori che del mercato, con una selezione “fisiologica” di chi garantisce le migliori prestazioni. Alcuni imprenditori lucani si sono resi conto che il mercato del bio non è più una piccola nicchia e rappresenta l’unico segmento dell’agroalimentare italiano con tendenza alla crescita.
La proposta di riforma della Pac che accompagnerà il mondo agricolo comunitario fino al 2020 – sostengono i dirigenti Anabio-Cia – tende ad accrescere la rilevanza degli aspetti ambientali nel sostegno al settore primario, rafforzando di fatto anche il ruolo dell’agricoltura biologica.
Quest’ultima, infatti, rappresenta un sistema di produzione agricolo finalizzato a garantire la tutela dell’ambiente e la salvaguardia delle risorse naturali, tra cui un elevato livello di biodiversità, la salute dei consumatori e il benessere degli animali allevati. Si tratta, pertanto, di un metodo produttivo pienamente coerente con gli obiettivi previsti dalla nuova programmazione Pac che, oltre
a tutelare l’ambiente e il mondo rurale, ha l’intento di far fronte alla domanda di prodotti contraddistinti da elevati standard qualitativi e igienico-sanitari.
Il rafforzamento della tendenza verso una produzione agricola attenta agli aspetti ambientali viene esplicitata nei due pilastri della Pac tramite due diverse forme di sostegno. La nuova architettura del sostegno comunitario prevede, infatti, dei pagamenti diretti che tendono, più che nel passato, a remunerare la produzione di specifici beni pubblici, prevalentemente ambientali, e che meglio si pongono in sinergia con le tradizionali misure previste in materia nell’ambito del secondo pilastro.
Lug 09