L’avvocato materano Carmine Ruggi ha inviato una nota sulla condanna definitiva di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset e le conseguenze che sono scaturite sul piano politico alla luce di questa decisione della Magistratura. Di seguito la nota integrale.
Berlusconi: ipocrisia del problema.
Il PDL, a gran voce, rivendica sia la non applicazione della sentenza di condanna definitiva della Cassazione subita dal proprio leader Berlusconi, in ragione della sua rappresentanza politica di milioni di cittadini; sia la sua ulteriore candidabilità e la non decadenza dalla carica di Senatore della Repubblica prevista dalla Legge Severino.
Tali rivendicazioni non si prestano ad alcuna condivisione sul piano giuridico, postulando la fattispecie una valutazione soltanto politica.
La esecuzione della sentenza penale, – come qualunque altra civile od amministrativa,- nonché l’osservanza della legge non sono eludibili a richiesta di singoli, poiché la “certezza del diritto è presupposto fondamentale di ogni “stato moderno”. Disapplicando ovvero disconoscendo tale principio si cadrebbe immediatamente nel caos civile, con deriva verso la dittatura.
Tuttavia, se tale principio impone la necessaria esecuzione di ogni sentenza e l’osservanza di ogni legge, ciò non esclude la legittima critica e la stima di “ valore giuridico” popolare della sentenza e della legge applicabile al singolo caso concreto.
La nostra Costituzione, modellata secondo lo “stato di diritto”, ha adottato il principio della separazione dei poteri in legislativo (Parlamento), esecutivo (Governo) e giudiziario (Magistratura), fermo restando, comunque e sempre, la volontà sovrana del popolo,- la quale, tuttavia, può essere espressa soltanto in forma di consultazione elettorale o referendaria. La “piazza” può essere, al più, l’esternazione di un dissenso democratico, giammai soggetto deliberante ed eversivo dell’ordine vigente.
I citati Poteri Costituzionali, invece, hanno l’obbligo di “concorrere”, in forma solidale, alla creazione del benessere e della felicità sociale disegnata dallo stato di diritto.- Per contro i singoli soggetti, materialmente chiamati ad esercitare tali poteri, non hanno alcun titolo autoreferenziale, essendo solo mandatari dei predetti poteri dello Stato.
La piena attuazione democratica della Costituzione nel nostro Paese, infatti, è sostanzialmente impedita dalla costante tendenza dei titolari pro-tempore dei detti Poteri ad esercitarli secondo tornaconto personale o di parte.
Trattasi di una inaccettabile distorsione culturale, prima che morale e giuridica.
Tale distorsione, tuttavia, non può correggersi attraverso la “supplenza” reciproca dei medesimi Poteri. E’, invece, esigenza democratica che ciascuno Organo Costituzionale impedisca che singoli soggetti agiscano in violazione dei poteri loro delegati dallo Stato.
Per tal ragione è interesse democratico che l’attività censoria sia soprattutto interna a ciascun organo costituzionale o di gestione pubblica, con ricorso al Giudice nei soli casi previsti dalla legge. Ciò eviterebbe che altri organi costituzionali assumano funzioni supplenti non di propria competenza, autonomamente giustificate da considerazioni opinabili di forza maggiore.
Giustificazione, questa, già sostenuta dai magistrati del pool “mani pulite”, rilevatasi nel tempo autoreferente ed affatto solidale all’interesse generale, come poi è risultato palese dalla ricollocazione di quasi tutti i protagonisti di quella stagione, in posizioni privilegiate di natura politica od istituzionale.
Quella parte assolutamente minoritaria della magistratura, politicamente orientata, erede di quella stagione, da un ventennio si è assunto questo ruolo “vigilante” dell’attività politica ed amministrativa, condizionando pesantemente il Parlamento e l’Amministrazione pubblica.
Attività di supplenza attuata, peraltro, con mezzi culturali impropri alla gestione di questi Poteri, con ulteriore danno alla vita sociale, soprattutto laddove si solleciti, con spirito partigiano, anche il consenso populista dei più diseredati e degli indignati della casta politica (vale anche il caso Taranto) contro gli altri Poteri dello Stato.
La comunità nazionale, invece, non è affatto bisognosa della ritorsione sociale operata in via di supplenza, ma del concorso attivo e solidale di tutti i Poteri dello Stato per il buon governo della vita democratica, finalizzata unicamente al benessere della comunità nazionale.
La percezione della natura di tale attività supplente della Magistratura, quindi, è stata ben compresa dalla sensibilità civile del nostro Paese, sia quando la sua genesi (“mani pulite”) fu il richiamo alla correttezza della vita politica, sia quando singoli magistrati, invece, con imprevista metamorfosi, si sono resi sostenitori, in modo palese o surrettizio, dei giochi dei partiti politici, prestando il sostegno del proprio ruolo istituzionale, in nome di una asserita parità nell’esercizio e nella esternazione dei propri convincimenti politici. Di tale realtà politica è testimonianza da molti anni sia la pervicacia accusatoria, sia la opinabilità delle decisioni giudiziarie nei confronti del “berlusconismo politico” (Craxi-Berlusconi).
Anche quest’ultima sentenza della Sezione Feriale della Cassazione, riguardante la condanna di Berlusconi per il reato di evasione fiscale, non sfugge alla percepita valutazione generale che trattasi di attività di supporto, tendenzialmente a favore di determinati soggetti politici del bipartitismo attuale.
A nulla vale, pertanto, il garantismo del triplice grado del procedimento penale sottolineato dagli esponenti della sinistra a sostegno dell’opera di quella magistratura, se la sentenza definitiva di condanna appare fortemente sorretta dagli opinabili “convincimenti” di giudici politicamente praticanti o manifestamente orientati.
Non è cosa negativa che un giudice abbia le sue opinioni politiche, poiché, non avendole, sarebbe inidoneo al ruolo giudicante per difetto di conoscenza della realtà in cui deve operare. E’ inammissibile, invece, che metta la propria attività di Giudice a servizio di una propria opinione politica, palesemente coltivata e praticata.
Le esternazioni del Presidente della Cassazione, dott.Antonio Esposito, in ordine alla condanna di Berlusconi, pertanto, non sono soltanto abnormi per la loro estemporaneità, ma sono, soprattutto, un’ulteriore conferma del substrato culturale di quel tipo di magistrato, “intollerante” dei limiti del potere di giudicare secondo legge, con vocazione a straripare nel giudizio politico e sociale di altrui competenza.
Per tal ragione riesce logicamente non comprensibile il presupposto “in fatto” della condanna di Berlusconi, che mentre esclude la responsabilità del legale rappresentante della Società Mediaset, operante la evasione fiscale, conferma la responsabilità penale altrui, – quindi, di Berlusconi,- formalmente estraneo alla gestione operativa della società. La Società operante, infatti, è munita di “propria personalità giuridica” il cui responsabile è nominativamente individuato attraverso gli atti formali di costituzione della società. Non è convincente, quindi, la responsabilità di Berlusconi per il citato reato, ove non sussista il concorso materiale, da lui ”oggettivamente” effettuato. La estensione del reato a Berlusconi,- che non aveva titolo alla “formale deliberazione” nella società, – per tal ragione è legittimamente percepita dalla pubblica opinione come una opinabile inclinazione alla formulazione accusatoria,- ben oltre la interpretazione della norma,- politicamente orientata a favorire una delle parti del dibattito politico.
Infatti, il dott. Esposito, presidente della Corte di Cassazione, che ha emesso la detta opinabile decisione, ha ben “tradotto” l’iter logico seguito nella decisione (ancora senza motivazione) con il noto broccardo pseudo-giuridico che Berlusconi “non poteva non sapere”.
Il palese travolgimento del principio del libero convincimento del giudice,- che, comunque, deve essere sempre in buona fede,- nel caso concreto lascia spazio ad una stima di valore della decisione non rispettosa del principio costituzionale di legalità della responsabilità personale del reo “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Ai fini della condanna di Berlusconi appare chiaramente utilizzata una “ giolittiana “ ambivalente interpretazione della norma, che la comunità nazionale ha ben percepito come evento giuridicamente grave, funzionalmente teso ad alterare il libero confronto politico e democratico del Paese.
La critica a siffatte sentenze, costituisce per i magistrati impegnati,- piccola minoranza rispetto alla generalità dei magistrati che operano in silenzio e parlano attraverso sagge sentenze,- occasione per sollevare la loro viva lamentela per assunto attentato alla indipendenza della Magistratura.
Costoro, sembrano ignorare che la indipendenza della Magistratura è un bene geloso del Popolo italiano, sanzionato solennemente nella Costituzione che si è liberamente data. Non è, invece, diritto di singoli Giudici di esercitare il proprio ruolo, sia in via di supplenza, sia oltre i parametri del ” ragionevole oggettivo”, né quello di tutelare essi la indipendenza della Magistratura.
L’attuale considerazione popolare che sia urgente la ristrutturazione del sistema penale, sorge per effetto delle citate storture culturali, cui è del tutto indifferente la grande maggioranza dei magistrati, sicuramente estranea al gioco politico.
L’ipocrisia di non voler vedere criticamente che la decisione della Suprema Corte, con la quale è stata sanzionata la condanna di Berlusconi, non sia figlia di questa realtà politica, è, invece, il principale il limite deleterio delle attuali rappresentanze della sovranità popolare, incapaci di interpretare i fatti e porre solidalmente argine a tali indebite supplenze.
Tuttavia, il ripensamento popolare, in sede di nuova consultazione elettorale, – ora sentitamente invocata dall’elettorato, ma tenuta sospesa dal Colle e dalla coalizione di governo per non secondarie ragioni riguardanti l’economia generale, – appare altamente prevedibile.
Conseguentemente Berlusconi, senza condizioni e senza indebite implorazioni al Colle ed all’avversa parte politica, – perseguite tutte le vie difensive concesse, – metta pure in conto di consegnarsi spontaneamente alla esecuzione della pena comminata da una sentenza, che, più a torto che a ragione, ha definitivamente subito.
Ciò consentirà di legittimare non solo il suo diritto di cittadino ad ogni critica, ma anche di rafforzare il suo ruolo riconosciuto di leader politico.
L’onere di rivendicare il ripristino della vita democratica ed, implicitamente, la sua tutela politica e personale, secondo lo stato di diritto, appartiene soltanto alla volontà ed alla sovranità popolare costituzionalmente espressa.
Questo omaggio Berlusconi lo deve ai milioni dei suoi elettori, perché attraverso la loro azione politica possa ripristinarsi, con l’azione sovrana del nuovo Parlamento, il naturale argine costituzionale dei Poteri, per eliminare ogni arrogante straripamento fondato su ipocrite ragioni di assunta necessità di supplenza.
Carmine Ruggi
Non sono così dotto come l’ Avvocato Ruggi, però di una cosa sono certo: Se avesi subito una condanna d i 4 anni dalla cassazione a quest’ora sarei in galera a scontarmi il mio bravo annetto.
Il fatto di essere capo di un partito politico non rende nessuno diverso da me, se mettiamo in discussione questo principio siamo alla fine di tutto.
Se la parole democrazia ed eguaglianza hanno un significato tutto quest discutere è aria fritta.
Avvoca’ Berlusconi non ha bisogno di avvocati ne ha già troppi. Non ti agitare.
un pentolone di vecchi e nuovi arrivisti trombati.