Non mi ha sorpreso il risultato del sondaggio promosso sul sito del Quotidiano della Basilicata con il 37% che chiede al futuro Governatore della Regione, come priorità, l’introduzione del reddito minimo garantito.
I dati diffusi dall’Istat sulla povertà ci dicono che non è più rinviabile l’introduzione in Basilicata come nell’intero Paese del provvedimento che è tutt’altra cosa della “social card” proposta dal Governo Letta e molto simile alla “carta per i poveri” di memoria berlusconiana.
Il Reddito Minimo Garantito rappresenta infatti un’idea diversa di Welfare rispetto a quella avuta dagli ultimi Governi, che non costituisce mero assistenzialismo ma un vero e proprio investimento sulle persone, specialmente coloro che questa crisi la stanno pagando sul serio (e sono sempre gli stessi).
E’ uno dei modi più efficaci per contrastare la povertà che vede la Basilicata al primo posto tra le regioni italiane per disagio sociale e per promuovere l’integrazione sociale: per questo, in forme simili, è presente in tutta Europa tranne, guarda caso, in Italia e in Grecia.
Il nostro Paese è tra i pochissimi Paesi europei a non avere alcuna forma di tutela di ultima istanza ed è inadempiente rispetto all’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tale provvedimento, inoltre, non costituirebbe un onere insostenibile per lo Stato, visto che economisti e docenti universitari ne hanno provato l’applicabilità e la fattibilità, anche perché la sua attuazione è prevista solo all’interno dell’intera revisione degli ammortizzatori sociali, in modo da introdurre un sussidio unico di disoccupazione esteso a tutte le categorie di lavoratori a prescindere dall’anzianità contributiva o dalla tipologia contrattuale.
Dunque il reddito minimo in una realtà come quella lucana dove si registra, rispetto al resto del Paese, un incremento esponenziale del fenomeno del lavoro nero e sottopagato, può rappresentare un argine contro la negazione delle professionalità e della formazione acquisita. Significa in buona sostanza non vendersi sul mercato del lavoro alle peggiori condizioni possibili.
Specie dopo la proroga del programma Copes, attraverso l’impiego di 4 milioni di euro dal bilancio regionale, dobbiamo continuare l’impegno introducendo quegli elementi necessari per andare oltre la corresponsione del sussidio a circa 2.200 cittadini che vivono una condizione di forte disagio. Mi riferisco in modo particolare a tutta la parte riguardante la formazione, perché una cosa è lavorare per recuperare alla vita sociale, politica, civile questi cittadini e altra cosa è utilizzare risorse consistenti per mantenere in piedi un sistema formativo che va riformato. C’è dunque un insieme di misure ed interventi che necessitano di un profondo ripensamento.
L’emergenza sociale va oltre i cittadini beneficiari del Copes e coinvolge settori sempre più ampi tra i quali i lavoratori con mobilità in deroga, con Cig in deroga, ecc., con una platea complessiva che oramai sfiora le 8 mila unità. Perciò è necessario pensare di realizzare progetti mirati sul tema della riqualificazione urbana, della utilizzazione di questo personale per l’assistenza alle persone che ne hanno bisogno, un progetto speciale sul tema della raccolta differenziata. E’ proprio l’Istat a rilevare che nel Sud sono il 46,2% le famiglie a rischio povertà ed esclusione sociale, di cui il 38,5% non possono permettersi spese impreviste per 800 euro, il 12,3% un pasto almeno ogni due giorni e il 17,9% un adeguato riscaldamento in casa”.
Il reddito minimo garantito perciò ha lo scopo di contrastare il rischio di povertà e di marginalità, di garantire la dignità della persona e di favorire la cittadinanza attraverso un sostegno economico. Ed è davvero incredibile, che nel nostro Paese vi sia ancora chi si oppone all’introduzione di questo provvedimento con l’adesione di oltre 50.000 firme in calce alla proposta di legge d’iniziativa popolare, alla quale anche SEL in Basilicata ha contribuito attraverso i banchetti di raccolta.