Sull’Arca del Gusto di Slow Food, iniziativa presentata a Cheese, la rassegna specializzata dedicata alle produzioni lattiero-casearie di qualità, che si tiene a Bra, in provincia di Cuneo, sino a lunedì 23 settembre, hanno trovato posto anche quattro formaggi lucani: Pecorino di Filiano, il Canestrato di Moliterno e la Manteca podolica. A promuoverli è la Condotta Slow Food di Potenza.
Ma poiché l’obiettivo centrale dell’Arca del Gusto è quello di mettere in piedi una imbarcazione simbolica che ha lo scopo di “navigare” in giro per l’Italia e il mondo per scovare negli angoli più sperduti i prodotti di eccellenza gastronomica minacciati dall’omologazione industriale, dalle leggi iperigeniste, dalle regole della grande distribuzione, dal degrado ambientale, il Centro Studi Turistici Thalia sta lavorando ad un progetto più complessivo per la realizzazione di itinerari enogastronomici, nello specifico nelle aree di produzione dei formaggi e la creazione di Laboratori di Resistenza Casearia. Un primo passo sperimentale sarà compiuto nel Marmo-Melandro dove ci sono formaggi e produzioni lattiero-casearie che possono contare su un’esperienza tramandata da generazioni a generazioni di allevatori zootecnici e sapienti artigiani caseari. Ad esempio formaggi ovi-caprini che rischiano di scomparire se non si mettono al riparo sull’Arca. Punto di forza del progetto itinerari turistici-laboratorio è la realtà agrituristica del Marmo-Melandro e poiché presso l’Azienda agrituristica La Taverna del Pastore di Bella è già a buon punto l’istituzione del presidio Slow Food dedicato alla carchiola – uno degli alimenti contadini più antichi e in via di estinzione derivante dalla coltivazione del mais bianco impiantato in origini lontane con l’obiettivo di rendere produttivo un territorio montuoso e arido, tra l’Aviglianese e il Marmo-Melandro – si punta ad ampliare l’intervento di tutela e valorizzazione dell’alimentare di qualità. In Basilicata sinora i presidi riconosciuti e affiliati a Slow Food sono quattro: caciocavallo podolico della Basilicata, Fagiolo rosso scritto del Oantano di Pignola, Oliva infornata di Ferrandina, Pezzente della Montagna Materana. Gli attuali 225 Presìdi italiani sono il risultato di un lavoro di dieci anni che ha affermato con forza valori fondamentali: la tutela della biodiversità, dei saperi produttivi tradizionali e dei territori, che oggi si uniscono all’impegno a stimolare nei produttori l’adozione di pratiche produttive sostenibili, pulite, e a sviluppare anche un approccio etico (giusto) al mercato.
Per chi fa agriturismo allo scopo di valorizzare a tutto il territorio – sottolinea Marisa Gabriele co-titolare de La Taverna del Pastore – gli itinerari enogastronomici collegati a laboratori di produzioni alimentari sono strumenti essenziali. Si pensi al percorso dei formaggi prima in stalla e al pascolo lungo i tratturi della transumanza e poi in laboratorio dall’esperto casaro quale opportunità per l’ospite dell’azienda di conoscere, vedere, assaporare, contribuire o provare a fare il formaggio. Un modo di fare turismo rurale con tutti i sensi, dalla vista, all’olfatto, alla gola, al tatto.
Grazie a tali interventi si ottiene l’obiettivo – in linea con la strategia di Slow Food – di richiamare interesse ed attenzione per la salvaguardia e la valorizzazione delle attività contadine, di riavvicinare, persone sensibili e attente alle problematiche culturali e ambientali, al mondo dell’allevamento tradizionale e alla sua ricchezza di valori ed umili sentimenti e di sviluppare la filiera agroalimentare.
Chi apre un agriturismo – evidenzia Sandro Doino, titolare de La Taverna del circuito Turismo Verde-Cia – spesso cerca di integrare un ulteriore reddito nell’azienda agricola e trasforma magari un vecchio cascinale di campagna in una struttura accogliente in grado di soddisfare quelli che cercano una vacanza al riparo dalla confusione cittadina, a contatto con la natura, ma con i comfort della vita civile. Tutto questo può essere offerto da un bel agriturismo. Quanto ai Laboratori di Resistenza Casearia sono pensati per i più giovani e per tutti coloro che sono interessati al mondo della pastorizia e della produzione casearia. Un secolo fa, i pastori di montagna vivevano dalle nostre parti tramandando gli insegnamenti dei propri genitori e dei loro avi, lavoravano nel naturale rispetto della terra e dell’animale, inconsapevoli di quanto il loro mestiere fosse fondamentale alla tutela del patrimonio ambientale e umano. I giovani che decidono di intraprendere questa strada oggi, spesso non hanno un legame biologico con il territorio ma sono pronti a tutto per rimanere in una terra che gli appartiene di diritto e hanno bisogno di incoraggiamento specie per provare che l’allevatore, il pastore, il casaro non sono mestieri di povertà.