La sfida della Cia condivisa dall’Anabio (Associazione delle aziende biologiche): letame contro petrolio. Su questa sfida si gioca la partita fondamentale per la fertilità del suolo. Da una parte la materia organica rinnovabile dall’altra la materia fossile che non è infinita. Per far vincere la prima, arginando così il fenomeno di desertificazione che erode oltre 10 milioni di ettari di terra arabile ogni anno, servono più animali nelle campagne allevati in modo sostenibile. In Italia, possono nascere almeno 15 mila “allevamenti bio” entro il 2020, incentivati da una domanda sempre crescente dei consumatori che aumentano in percentuali “a doppia cifra” di anno in anno.
La situazione di partenza in Basilicata vede al 2011 la presenza di 175 allevamenti “bio” che al di là del numero è significativo per il rapporto/abitanti (55,9 aziende per 100mila abitanti). Ci sono progetti che vedono l’Alsia promotrice per la costruzione di un modello di filiera in grado di rispondere alle esigenze della produzione e del consumo di carne biologica nella realtà lucana. L’obiettivo generale che si intende perseguire è quello di rendere disponibile in luoghi di consumo e/o canali distributivi individuati la carne biologica prodotta in Basilicata. Tra i maggiori collaboratori il ConProBio Lucano (Consorzio di Produttori Biologici) che ha già effettuato indagini di mercato e conosce i potenziali acquirenti.
La zootecnia, praticata in modo sostenibile, contribuisce all’abbattimento dei volumi di anidride carbonica e favorisce la produttività della terra. Quindi –sostengono Cia e Anabio- è nostro dovere promuovere e favorire l’insediamento di nuovi allevamenti e la riconversione di quelli convenzionali, arrivando in breve tempo a raddoppiare l’attuale produzione “bio” nel nostro Paese. Infatti, a fronte di una domanda sempre crescente di carni, salumi, latte e formaggi (più 11 per cento nell’ultimo biennio) in Italia operano circa 7.700 aziende, ancora poche, seppur cresciute di oltre 1000 unità negli ultimi 24 mesi. Il raddoppio delle aziende sostenibili è tutt’altro che utopistico considerando che sulla Penisola, solo per il comparto dei bovini, sono presenti circa 120 mila allevamenti convenzionali.
Dietro questo nostro impegno – proseguono Cia e Anabio- non c’è solo il legittimo business che può profilarsi per i nostri agricoltori in questo comparto (un potenziale di mercato stimato di oltre 2 miliardi di euro l’anno) ma anche una strategia di lungo respiro per presidiare e nutrire al meglio le campagne e quindi l’ambiente: dove non sono presenti l’allevatore e il bestiame che vive il territorio, c’è l’abbandono, il degrado, la cementificazione e la desertificazione.
In Italia, solo nel sud del Paese, il letame prodotto dagli allevamenti animali (ovino, bovino,suino) e utilizzato per fertilizzare i campi produttivi (cereali, legumi, frutta e verdura) ammontava ad oltre 100 milioni di quintali nel 1930. Nella stessa area geografica, ma nel 2000, il consumo dello stesso fertilizzante organico era quantificabile in sole 92 mila tonnellate. Di contro, dal 1950 al 2000 l’impiego di energia fossile è aumentata di 50 volte per produrre concimi, diserbanti, pesticidi e per muovere le macchine che lavorano il terreno.