Lo stato di salute “tastato al polso dei lucani” dall’Annuario statistico 2013 Istat è un’ ottima base di partenza per il lavoro che attende la nuova Giunta e il nuovo Consiglio Regionale e in particolare il nuovo assessore alla Sanità per accrescere livelli di prestazione e servizi di prevenzione e tutela della salute.
Intanto i numeri: con il 64,1% della popolazione lucana che godrebbe di buona salute, ci sono il 38,9% con una malattia cronica o più, il 20,7% con due malattie croniche o più, il 31,3% di cronici che grazie alle cure sono classificati in buona salute. Quanto alle patologie: il 6,7% è affetto da diabete, il 17% da ipertensione, il 7,1% da bronchite cronica, il 18,8% da artrosi, artrite, il 9% da osteoporosi, il 4,3% da malattie del cuore, il 9,5% da malattie allergiche, il 3,6% da disturbi nervosi, il 4% da ulcera gastrica ed infine il 39,7% ha consumato farmaci nei due giorni precedenti l’intervista realizzata dall’Istat.
L’Istat, nel raffronto alla situazione nazionale, ci segnala che le situazioni peggiori di condizione di salute degli italiani si registrano in Basilicata e Calabria che, al 2010, quasi il 50% dei decessi (2.257) nella nostra regione sono avvenuti per malattie del sistema circolatorio; a seguire i tumori (1.449) e le malattie del sistema respiratorio (407).
La sanità privata lucana che – conferma l’Atlante Istat è rappresentata da ambulatori e laboratori accreditati pari ad 8,3 ogni 100mila abitanti, vale a dire il 24,5% di tutti gli ambulatori e laboratori in attività nel SSR – intende dare il suo contributo riprendendo il confronto interrotto con le elezioni regionali, in verità con pochi risultati di ascolto da parte dei precedenti consiglieri, a cominciare dalla modifica dell’attuale “sistema” di assegnazione dei tetti di spesa, facendo salvo il limite dell’attuale spesa complessiva, e realizzando così un metodo di finanziamento del SSN, che ne enfatizzi le componenti di solidarietà dal lato della copertura dei bisogni e quello della responsabilità sul piano del riconoscimento delle inefficienze e degli sprechi; la valorizzazione della competizione virtuosa e della libertà di scelta; la ristrutturazione veloce dell’appropriatezza di sistema; la costituzione di un organismo autenticamente terzo di vigilanza e controllo.
Per sintetizzare sono tre le macro-questioni che poniamo in un confronto al punto in cui si è interrotto: l’importanza di lasciare campo libero alla autodeterminazione per garantire l’innovazione, in un ambito tanto cruciale come quello delle cure mediche e della salute delle persone. Il potenziale dell’innovazione non deve e non può essere frenato dalle ingerenze della politica e delle amministrazioni; la necessità di superare i problemi indotti da un sistema che si basa sul pagamento a piè di lista è che è gravemente sperequato al proprio interno (in cui quindi una “domanda sussidiata” non necessariamente corrisponde ai bisogni effettivi); la necessità di ottenere il massimo dell’efficienza e della trasparenza nei fondi pubblici impiegati, utilizzando anche in quest’ambito strumenti partecipativi ed innovativi.
Ancora, l’attenzione alla garanzia dei diritti a tutti i cittadini (pari livelli di servizi e pari possibilità di accesso) richiede un’azione programmatoria completamente diversa rispetto a quella in essere (con partenza dall’analisi dei bisogni della gente e di come è misurata l’efficienza costi/benefici di questi ultimi e non di certo un cieco e spietato approccio contabilistico).
Un riposizionamento rapido, incisivo, serio, fortemente orientato alla risoluzione veloce dei punti di sperequazione e di ingiustizia largamente noti e conosciuti, non è più rimandabile, salvo a doversene pentire amaramente.
Se non si vuole sterzare con una determinazione che prevede coraggio e competenza, il rischio di trovarsi, entro breve, nelle condizioni di partecipare al collasso diviene una certezza, una catastrofe annunciata e sottovalutata.
Le continue evoluzioni scientifiche e tecnologiche, i mutati bisogni, il sistema, sempre più multi-professionale e multi-disciplinare, necessitano di una rivisitazione dei modelli organizzativi e degli approcci di cura e assistenza, con il superamento dei vecchi schemi arcaici e autoreferenziali, a favore di nuove soluzioni, orientate all’integrazione, alla libertà di intraprendere, al lavoro di gruppo, alla comunicazione continua, agli audit per il confronto tra obiettivi e risultati.
Ancor piu’ grave sarebbe rischiare di compromettere la qualita’ delle cure e spingere un gran numero di cittadini ad abbandonare prestazioni di primaria importanza che nulla hanno a che vedere con il mercato dell’effimero e del superfluo.
La ricetta, se così la vogliamo chiamare, non si fonda semplicisticamente su di una “questione delle strutture sanitarie”, anzi sarebbe tragicamente insufficiente metterla in questo modo. Si fonda sulla presa in carico di un problema più grande che chiede un approccio interdiscilpinare, fatto di reale semplificazione amministrativa, di formazione professionale, di investimenti nell’implementazione di nuove tecnologie, di innovazione dei processi aziendali, di integrazione con altri mondi produttivi..
Michele Cataldi e Giuseppe Demarzio di Sanità Futura Basilicata