La gestione di pagamenti comunitari di piccole entità, il cui importo è spesso superiore all’ aiuto al reddito, sembra più un espediente per tenere in piedi oltre 50 sigle sindacali, la maggior parte delle quali vuote, burocratiche e autoreferenziali, e non il tentativo serio di aiutare chi vive unicamente di agricoltura. Lo ha dichiarato Saverio De Bonis, coordinatore Fima, federazione italiana movimenti agricoli.
I dati forniti da AGEA – aggiunge – riferiti all’anno 2013, parlano chiaro. La distribuzione per classi di contributo è la seguente: in Italia risultano 491.664 percettori di contributo PAC di importo inferiore a 500 euro, che assorbono aiuti per 131 milioni di euro; 226.624 percettori di contributo PAC di importo compreso tra 500 e 1000 euro, che ricevono aiuti per 161 milioni di euro; infine, 494.739 percettori di contributo PAC di importo superiore a 1000 euro, che ottengono aiuti per 3.780 milioni di euro.
Posto che il costo medio per la predisposizione del fascicolo aziendale necessario ad accedere al pagamento è di circa 250 – 300 euro, logica vorrebbe che al fine di valorizzare l’ utilità delle risorse comunitarie, sarebbe meglio concentrare gli aiuti sui percettori di importi significativamente superiori ai costi amministrativi. Sicchè, – prosegue – almeno le prime due soglie andrebbero completamente abolite, anche se molte forze politiche e organizzazioni sindacali perderebbero così il loro consenso.
Del resto, – fa notare la Fima – di fronte allo scenario che si prospetta, pensare che 718.288 agricoltori (cioè il 60% dei percettori di contributi!) possano definirsi agricoltori attivi svolgendo la loro attività con cinquecento o mille euro di aiuti, appare molto improbabile. E’ praticamente impossibile vivere con quelle risorse limitate e definirsi agricoltori. Sorge il dubbio – sottolinea il coordinatore – che quelle pseudo-aziende, abbiano invece un’altra funzione preziosa: quella di tenere in piedi un sistema burocratico fatto di oltre un 60% di centri servizi inutili che, attraverso i loro 200 milioni di euro di contributi amministrativi percepiti dagli agricoltori per la tenuta dei loro fascicoli, configurerebbero una Pac rivolta più ai Caa che agli agricoltori!
Secondo la Fima, invece, la progressiva diminuzione delle erogazioni comunitarie, anche per l’ incapacità negoziale dei nostri europarlamentari e delle troppe sigle sindacali, imporrebbe una coraggiosa scelta che premi davvero gli agricoltori attivi e non altre figure ibride, marginali o pensionate. La soglia pertanto non può essere di 300 euro come in diversi hanno affermato facendo finta di voler riformare il sistema.
Oggi, non ha più senso tenere in piedi un sistema marginale secondo il quale il 60% dei percettori di contributi Pac percepisce appena il 7% del valore complessivo degli aiuti, fa rilevare ancora la Fima. E si domanda: come pensiamo di rendere competitivo il nostro settore, in un mondo globalizzato e spietato, con una simile struttura aziendale vecchia e frammentata? Sviluppando servizi burocratici che non sono strategici per il nostro futuro? La priorità secondo la federazione, va data al comparto economico di base cioè al primario e non ad un terziario sanguisuga, che sino ad oggi ha lucrato sugli agricoltori succhiando inutilmente le loro risorse.
Ne è prova ulteriore il fatto che i Centri di Assistenza Agricola (CAA) dovrebbero prestare a titolo gratuito i loro servizi per l’ attività inerente la costituzione/aggiornamento dei fascicoli aziendali e la compilazione/presentazione delle domande uniche di pagamento, senza cioè oneri ulteriori a carico degli agricoltori, in quanto i costi sono sostenuti direttamente dagli organismi pagatori. Di fatto, invece, sembrerebbe che gli agricoltori sostengano costi amministrativi aggiuntivi, che non sarebbero dovuti. Così mentre i CAA incassano due volte: la prima volta dall’ organismo pagatore, e la seconda dall’ agricoltore, anche se marginale, i nostri agricoltori devono sopportare tempi più lunghi dei concorrenti europei per incassare gli aiuti. In definitiva il vero business è quello della tenuta dei fascicoli aziendali, non quello di produrre !
Questa peculiarità tutta italiana – ribadisce la nota Fima – oltre a non renderci competitivi sui mercati internazionali, non ci rende neppure credibili in Europa e da il senso di una politica agricola italiana incentrata sulle carte, non sui servizi strategici utili ad aumentare il valore aggiunto del prodotto italiano sui mercati internazionali!
Non sarebbe forse meglio – conclude il coordinatore – cominciare ad introdurre una soglia minima di almeno mille euro, per massimizzare l’ impatto delle risorse comunitarie? In tal modo, si comincerebbe ad avviare contemporaneamente quel necessario processo di fusione e semplificazione, anche delle rappresentanze, che sino ad oggi è stato elemento di ostacolo ad un vero ammodernamento del settore e al suo rilancio competitivo. Un atto dovuto del nuovo corso della politica italiana e, speriamo, di un nuovo Ministro. Un operazione verità che avrebbe il duplice vantaggio di metterebbe a nudo i veri numeri di alcune sigle tanto blasonate, che ancora albergano in Via XX Settembre.