Domenica 2 marzo 2014, alle ore 18.30, in Castronuovo Sant’Andrea, nelle sale del MIG. Museo Internazionale della Grafica e nella Biblioteca Comunale “Alessandro Appella”, si inaugura la mostra dedicata a Ossip Zadkine (Smolensk, Bielorussia, 1890 – Parigi 1967) e Achille Perilli (Roma 1927), che continua il lavoro di informazione iniziato il 20 agosto 2011 con la storia della grafica europea e proseguito con le personali di Mirò, Degas, Renoir, Bonnard, Matisse, Dufy, Picasso, Calder, Ben Shann, la Secessione di Berlino e Pechstein, accompagnati, rispettivamente, dalla mostra di Renoir in poi, dalla presenza in controcanto di un artista italiano: Gentilini, Strazza, Accardi, Ciarrocchi, Consagra, Melotti, Maccari e Bucci.
Poiché il MIG convive con la Biblioteca, ogni incontro è all’insegna di “un libro, una mostra”. Questa volta tocca a due volumi: “Les Travaux d’Hercule” di Euripide, corredato da 28 illustrazioni e 3 litografie messe insieme da Christoph Czwiklitzer nel 1960 ma realizzate in America nel 1941, e “Sept Calligrammes” di Guillaume Apollinaire (1967) con 10 acqueforti che chiariscono come il cubismo e l’adesione alle nuove idee fossero per Zadkine solo un punto di partenza, un mezzo di misurare le proprie capacità e liberarsi da ogni manierismo delle avanguardie, disciplina compresa. La sua scultura non doveva essere un ragionamento ma un modo armonioso di capire il mondo. Non, dunque, deformazioni gabellate per ritmi plastici ma movimenti di forme pronte a sollecitare emozioni.
Le illustrazioni per “Les Travaux d’Hercule” sono una testimonianza di quanto la mitologia greca abbia sempre ispirato Zadkine. Il viaggio in Grecia, del 1933, poi raccolto in un libro nel 1955, sollecita il ricordo di figure leggendarie. Ercole, il personaggio dotato d’una forza primitiva, capace di trionfare su fatiche quasi insormontabili, diventa il simbolo dei suoi più segreti pensieri. Il disegno, letterario e allegorico, discostandosi dal suo stile abituale, diventa un atto d’accusa contro l’assurdità della guerra. Proprio come accade in scultura, dove la materia grezza (il blocco di pietra o il grande tronco d’albero) gli suggerisce la forma da liberare con grande semplicità di atteggiamenti.
La stessa semplicità che risulta alla fine della vita con il particolare testamento dei “Sept Calligrammes” di Guillaume Apollinaire, dove segno e parola uniscono le forze per rendere la tenerezza dei ripetuti sguardi distesi sul corpo umano, contraddicendo le abitudini cubiste portate a distruggerne o a negarne la bellezza. Eleganza di gesti e di profili muove le figure femminili che definiscono, ancora una volta, i fattori che compongono la forma: la curva sostituisce la linea retta, la cavità le sporgenze, la luce l’ombra, fino a scavare ampie aperture nella massa compatta, a sovrapporre piani che alimentano molteplici punti di vista.
Scriveva Apollinaire, e Zadkine lo conferma con le sue immagini: “Per me un calligramma è un insieme di segno, disegno e pensiero. Esso rappresenta la via più corta per esprimere un concetto in termini materiali e per costringere l’occhio ad accettare una visione globale della parola scritta”.
Per tracciare un percorso preciso dell’evoluzione espressiva di Zadkine, la mostra sarà accompagnata da un bronzo del 1935, “Torse de femme”, e da una litografia inedita del 1942, “La conversation”. Immagini e documenti di corredo (fotografie, lettere, cataloghi, testimonianze critiche, manifesti), invece, analizzano fin dal suo arrivo a Parigi, nel 1909, il metodo utilizzato per entrare nel vivo delle ricerche artistiche del tempo, tra il cubismo appena nato e l’École de Paris in formazione, mediante il lavoro di Chagall, Lipchitz, Modigliani, Picasso, van Dongen e altri.
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La vita di Zadkine comincia nel 1890, in una piccola cittadina russa dove già da bambino mostra le sue inclinazioni. Il padre, professore di greco e latino, lo manda presso alcuni parenti in Inghilterra. Qui frequenta la Scuola d’Arte e al tempo stesso si dedica all’apprendimento delle tecniche incisorie presso un ebanista. Nel 1909, dopo una breve parentesi londinese segnata dalle numerose visite al British Museum, decide di stabilirsi a Parigi. Lascia presto l’Accademia di Belle Arti, dove si era iscritto per iniziare a lavorare seriamente come scultore, infuocato dall’atmosfera delle avanguardie. In un primo momento si stabilisce a La Ruche, la storica residenza dove gli artisti provenienti dall’Europa orientale (Brancusi, Chagall, Soutine…), profondamente affascinati dalla cultura occidentale, soggiornano in una sorta di comunità ideale. L’ansia di conoscenza gli fa abbandonare presto il quartiere per stabilirsi a Montparnasse, vicino agli artisti che in quegli anni vivacizzano la vita culturale parigina. Possiamo solo immaginare la bellezza di quei momenti, con gli amici artisti e letterati, (Modigliani, Picasso, Braque, Apollinaire…), la ricchezza di quelle conversazioni negli atelier, le parole che “nessuno pronuncerà mai più”. In quel fermento prende vita e si rinnova la sua arte, inizialmente ispirata alla linearità e delicatezza di forme di Brancusi e successivamente rafforzata dalla lezione cubista di Archipenko e Lipchitz, fino a giungere alla maturazione legata allo stile di Juan Gris. La diverse porzioni di una stessa realtà, le diverse visioni dello stesso oggetto, si intersecano senza perdere la loro identità. Scrive: “Il linguaggio della scultura è un nulla pretenzioso se non è composto di parole di amore e di poesia”.
Durante il primo conflitto mondiale si arruola volontario, come fanno d’altronde molti artisti dell’epoca tra cui Apollinaire, morto in seguito ad una ferita di guerra. L’orrore vissuto è presente nelle sue opere successive. Riformato a causa di una ferita, si stabilisce in via Roussellet a Parigi, dove fa la conoscenza della pittrice Valentine Prax che diventerà sua moglie. L’arte ingloba la sua vita. Nel 1920 espone 49 sculture, più acquarelli e disegni, nel suo laboratorio di Roussellet. È la sua prima mostra personale. Inizia così ad essere notato ed apprezzato in molte parti d’Europa, espone in molte gallerie d’arte europee (Olanda, Belgio, Italia ecc.) e prende parte a molti concorsi di scultura in diverse parti del mondo. Nel 1921 “Valori plastici” pubblica la prima monografia sul suo lavoro, con testo di Maurice Raynal. Nel 1928 ha la prima retrospettiva a Londra. L’anno dopo espone gouaches all’Art Club di Chicago. Ma l’incubo della guerra si avvicina e anche le leggi razziali che l’accompagnano. A causa delle sue origini ebree è costretto a fuggire negli Stati Uniti dove insegna alla Art Student League di New York e al Black Mountain College in Arizona.
Al suo ritorno in patria visita la città olandese di Rotterdam completamente distrutta dalle bombe. Ne rimane profondamente colpito, tanto da diventare fonte di ispirazione per la sua opera più famosa: La città distrutta (1947 – 1951 ca). Il monumento sarà eretto nel porto della città nel 1953. Da questo momento è tutto un susseguirsi di successi, a partire, nel 1950, del Gran Premio della scultura alla XXV Biennale di Venezia. Tra il 1955 e il 1961 realizza un omaggio a Vincent Van Gogh. Le sculture verranno collocate nel giardino della casa di Vincent Van Gogh in Olanda nel 1963. In questo periodo le sue opere vengono esposte in una mostra itinerante in Canada, a Seattle, a San Francisco e in sei città del Giappone, oltre alla grande esposizione alla Tate Gallery di Londra. Muore il 25 novembre 1967. La sua casa-atelier, a Parigi, in rue d’Assas 100 bis, nel 1982 diventerà il “Musée Zadkine”.
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In controcanto, come è già avvenuto per Renoir – Gentilini, per Bonnard – Strazza, per Matisse – Accardi, per Dufy – Ciarrocchi, per Picasso – Consagra, per Calder – Melotti e per Pechstein – Bucci, il MIG, mediante una scelta di opere grafiche datate 1966 – 2010, si propone di segnalare, con Achille Perilli (Roma, 1927), quanto gli italiani abbiano studiato gli artisti europei. Dopo Consagra e Carla Accardi, il MIG apre le porte ad un altro membro del gruppo Forma 1 che, fondato nel 1947 anche con l’apporto di Pietro Dorazio, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato, proclamava nel suo manifesto un deciso rifiuto dell’arte realistico-figurativa. Pur nella grande varietà di soluzioni adottate sarà questo il filo conduttore della ricerca artistica di Perilli sin dagli anni 50, quando alle prime aperture nei confronti dell’arte europea subentrano orientamenti verso il costruttivismo sovietico, il concretismo e l’astrattismo. Proprio gli anni ’50, infatti, sono per l’artista romano quelli della scoperta della forma e delle sperimentazioni sul colore. Perilli parte da una forma primaria, costruita anche attraverso la tecnica del collage e poi distrutta in una esplosione di segni che alla fine rigenerano una struttura. I colori di questi anni sono luminosi e accesi. Nel 1957 inizia a pubblicare con Gastone Novelli “L’esperienza moderna”, una rivista di cultura contemporanea. In questo contesto, Perilli comincia a sperimentare l’incisione e il linguaggio della stampa, vuole costruire una “comunicazione nuova” nella quale i rapporti con gli spettatori si fanno complessi. A partire dalla fine del decennio, l’opera di Perilli inizia a smarrire ogni preciso riferimento all’esistente, come se fosse pressato dagli “smottamenti che la memoria produce sui dati della percezione visiva”. Sono gli anni degli scritti teorici, il Manifesto della Folle Immagine nello Spazio Immaginario (1971) e Machinerie, ma chère machine. Tra gli anni novanta e il 2000 inizia la serie degli “Alberi”, i “Distorti”, i “Bianchi” e le “Ceramiche”. L’esperienza maturata nel corso degli anni con preziosi libri d’artista, trova sbocco negli anni 90 in una vera e propria collana: la “Librericciuola”, 20 libri con testi di poeti, scrittori, fotografi, musicisti, architetti, illustrati esclusivamente da sue incisioni. I 20 libri saranno esposti al MIG per questa occasione.
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Le mostre, attraverso le opere grafiche, i cataloghi e i film disponibili in Biblioteca, mettono in relazione il lavoro degli artisti con l’attività didattica che, mediante una serie di iniziative e laboratori, il MIG intende svolgere, dedicandola ai bambini e ai ragazzi dei paesi gravitanti nel Parco del Pollino e di quelli limitrofi.
Le mostre, patrocinate e sostenute dal Comune, dalla Pro Loco di Castronuovo Sant’Andrea e dall’Ente Parco Nazionale del Pollino resteranno aperte fino al 28 giugno 2014, tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 17 alle 20 (la mattina per appuntamento). L’ingresso è gratuito.
Con preghiera di pubblicazione!
Prossima mostra:
29 giugno – 20 settembre 2014
Èmile Bernard, Les Fleurs du mal di Charles Baudelaire, xilografie, Ambroise Vollard Èditeur, Paris 1916.
In controcanto: L’opera grafica di Antonietta Raphaël, 1948-1975.