Riceviamo e pubblichiamo una riflessione sul dibattito avviato in questi giorni dopo la presentazione di una proposta di legge sulla martenità a cura della giornalista Teresa Russo. Di seguito la nota integrale.
Teresa Russo: “Non è solo una questione di genere. le donne, il lavoro, il tempo libero e il tempo liberato”.
La proposta di legge regionale sulla maternità, al centro delle polemiche in questi giorni, ha forse un merito: quello di aver riportato le “politiche di genere” al centro del dibattito politico e sociale in questa regione. Una regione in cui, sebbene, viva con vivacità la presenza di quote rose sia all’interno dei partiti che nel terzo settore non riesce a dare a queste la possibilità di essere parte attiva dell’azione politica regionale. Sarà per questo, forse, che la proposta di legge più che “fuori luogo” risulta essere lontana dalle donne, dalla loro vita, dal modo unico ed esemplare di riuscire a coniugare tempi della famiglia a quelli del lavoro a quelli del tempo libero e del tempo liberato.
Probabilmente, e questo è un punto di vista molto personale, il dibattito sulle questioni di genere è partito dal secondo step. Prima di parlare di donne e maternità sarebbe stato opportuno conoscerle un po’ meglio; chi sono, cosa fanno, se lavorano, se veramente vengono da venere ecc ecc. per poter meglio mettere in atto policy di sviluppo ed incentivazione lavorativa e sociale.
In Basilicata, il tasso di disoccupazione femminile è più del doppio di quello maschile (tasso di disoccupazione al +36% rispetto a quello maschile al +17,9%- dati isfol). Secondo la ricerca “Valorizzare le Donne Conviene”, il 76% del lavoro domestico ricade sulle spalle delle donne, che spendono in media 5 ore e venti minuti al giorno in queste attività (contro 1 ora e 35 minuti dei loro compagni).
Sempre secondo una ricerca condotta dall’Isfol in merito alla questione di genere nel mercato del lavoro, la donna lavoratrice lucana è una donna con un’elevata scolarizzazione rispetto ai colleghi maschi, che però trova maggior difficoltà a entrare o ri-entrare nel mondo del lavoro per motivi di carattere strutturale (composizione del tessuto produttivo, contesto socio- economico locale, carenza di servizi, modelli culturali predominanti). Per le donne lucane, specialmente quelle nella fascia di età 25-44 anni, la difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro o fare carriera è spesso connessa all‘esperienza della maternità. Da rilevare, infatti, come sia proprio nella fascia d’età 25-34 anni che si registra il maggior numero di rapporti di lavoro cessati (11.292). Alla luce di questi dati, il tema delle politiche di sostegno al reddito diviene prioritario in una regione dove, nonostante le potenzialità, lo sviluppo è in perenne fase beta e in cui la coesione sociale è mantenuta ormai esclusivamente da politiche di welfare verticale. Ed è proprio nel welfare, dal superamento della verticalizzazione degli interventi, che può risiedere la chiave di volta per pensare e redigere una legge sulla maternità e di sostegno alle donne che non si riduca ad un mero sussidio ma costituisca un valido strumento family- friendly.
In una recente ricerca condotta da Patrizia Di santo e Claudia Villante ricercatrici presso la società di ricerca, formazione e consulenza Studio Come, affrontano la questione del work-life balance e di come l’attuazione di politiche atte all’incentivazione del ruolo della donna può risultare vincente. Dalla ricerca emerge un dato interessante, come un luogo di lavoro women-friendly aumenta la produttività e riduce i costi per l’azienda, migliora la condizione economica delle donne e la soddisfazione di tutti i dipendenti. Dalla ricerca emerge, altresì, che nonostante ciò “le donne fanno fatica ad arrivare a livelli di responsabilità”. Le due autrici denunciano le corte vedute della politica: il programma Italia 2020, per esempio, siglato dagli allora ministri Maurizio Sacconi (Lavoro) e Mara Carfagna (Pari Opportunità), “fa molto più riferimento alla questione della conciliazione lavoro-famiglia delle donne, piuttosto che alla condivisione delle responsabilità familiari tra i sessi”.
Esattamente all’opposto della direzione intrapresa dall’Unione Europea. E’ tempo insomma di soffermarsi sui contenuti e sull’impatto delle politiche: il rischio altrimenti è perdersi in proclami o, ancor peggio, rafforzare i ruoli tradizionali di genere, con buona pace delle nuove esigenze (lavorative e di cura) di uomini e donne.
Le questioni di genere e relativi a temi così delicati non può, ovviamente, ridursi a dati e ricerche, ma questi costituiscono certamente una chiave di lettura interessante per cominciare a ragionare sulla definizione di politiche di sviluppo e sostegno della maternità, incentivazione a sviluppare forme di lavoro alternative – part-time, flex-time, banca delle ore, ecc.; di congedi (integrazione dello stipendio da parte dell’azienda, paternità obbligatoria), di servizi per l’infanzia (nidi o voucher) e di azioni di “empowerment” e formazione al management.