Ogni giorno poco meno di due imprese agricole lucane sono cancellate. Lo scorso anno – secondo i dati Ismea-Unioncamere – 631 aziende sono scomparse, pur confermando che un terzo delle imprese iscritte alle Cciaa di Potenza e di Matera sono agricole (lo stock complessivo al 31 dicembre scorso è di 18.348). E dal 2009 al 2013 le aziende agricole che non sono più in attività sfiorano il 10%.
“E’ una fatica quotidiana quella a cui sono chiamati i nostri agricoltori anche se – commenta Antonio Nisi, presidente Cia Basilicata – la situazione è stabile nel comparto dell’industria alimentare con 1.043 piccole e medie imprese e la perdita di solo 4 unità in un anno. Costi di produzioni sempre crescenti, una burocrazia asfissiante, adempimenti sempre più ricorrenti, meccanismi di adeguamento farraginosi, controlli ricorrenti e oramai insostenibile – aggiunge -sono la foto di un agricoltura che nonostante l’anticiclicità e la sostanziale tenuta occupazionale e dei livelli produttivi, rischia di essere risucchiata fra i comparti in difficoltà e in regresso”.
E a proposito di foto, la VI Assemblea elettiva della Cia lucana ha aggiornato i dati: sono 50.000 le aziende censite dall’ISTAT in Basilicata, 40.000 quelle con fascicoli AGEA, 17.500 quelle iscritte alla Camera di Commercio, con oltre 8.000 posizioni INPS autonomi e 3.500 datori di lavoro. Il PIL è di 7 punti e il V.A. si attesta al 6% e gli occupati sono il 8% della popolazione attiva questi due dati sono il doppio della media nazionale. Sono oltre 30.000 gli addetti divisi equamente fra autonomi e dipendenti, sono oltre 6 milioni le gg lavorative e a questi due dati bisogna aggiungere giornate lavorative e i lavoratori relative alle grandi campagne di raccolta quali il pomodoro, la fragola, in quanto soddisfatte da manodopera prevalentemente extra comunitaria e extra-regionale.
“La sfida della Cia – evidenzia Nisi – è per un’ agricoltura essenziale, funzionale, sussidiaria, eticamente utile alla società, custode di beni e risorse anche immateriali. Intorno a queste questioni che sono nel contempo vincoli e opportunità, dobbiamo qualificare le produzioni, generare esternalità pubbliche d’interesse collettivo, riconoscere il settore primario quale comparto produttivo utile e di comunità, in questo senso affermiamo che l’agricoltura è bene comune. Oggi tramite l’impresa diffusa sul territorio l’agricoltura svolge funzioni plurime utili alla società, il punto dirimente riguarda le modalità e le forme di come vengono ripagate tali funzioni, di come si coniugano finalità generali, esternalità positive, benefici collettivi con un giusta. Per fare questo dobbiamo consolidare e innovare le imprese, qualificare e meglio organizzare le produzioni, rendere fruibili e salubri i luoghi di produzione contribuire a migliorare il territorio. Tutto ciò impone all’agricoltura un percorso obbligato d’innovazioni, volto ad elevare la qualità del fare imprese, e a porre in essere processi produttivi e pratiche agronomiche virtuose”.