Domenica 19 giugno 2011 è stata inaugurata a Matera presso Palazzo Lanfranchi, la mostra di Mario Cresci Forse fotografia. Attraverso l’Umano.
L’esposizione rappresenta il terzo episodio di un progetto – ideato da Luigi Ficacci e condiviso dalla Soprintendenza BSAE della Basilicata – che ha già visto la realizzazione, nell’arco degli ultimi otto mesi, di due precedenti appuntamenti: uno a Bologna presso la Pinacoteca Nazionale e uno a Roma all’Istituto Nazionale per la Grafica. Ogni mostra ha presentato un nucleo di lavori inediti, realizzati specificatamente dall’artista in rapporto a ciascuna sede espositiva e una parte retrospettiva comune alle tre edizioni.
A Matera la mostra, che presenta oltre cento fotografie, è a cura di Marta Ragozzino, Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Basilicata.
La peculiarità della tappa conclusiva di questo progetto, che non a caso si tiene nella straordinaria città dei Sassi, patrimonio mondiale dell’umanità dal 1993, dove Mario Cresci ha vissuto e lavorato per più di vent’anni, è che il nucleo retrospettivo comune alle due precedenti esposizioni è stato in questa occasione ampliato per documentare nel modo migliore la ricerca e la produzione di quell’importante periodo, così determinante nell’ambito dell’intero percorso dell’artista.
Con questa mostra Matera offre il meritato riconoscimento ad uno dei suoi più importanti protagonisti. Si tratta di un’occasione bellissima per la città, vero e proprio fiore all’occhiello del mezzogiorno, che si candida a diventare capitale europea della cultura nel 2019.
Mario Cresci è uno dei più rilevanti interpreti della ricerca fotografica in Italia degli ultimi quattro decenni del XX secolo e, contemporaneamente, una figura di punta dei nostri giorni. Nel suo lavoro più recente, infatti, Cresci porta un rigore e una curiosità sperimentale che si uniscono a una leggerezza ludica e dissacratoria, tipici dell’avanguardia italiana di fine anni Sessanta e Settanta, cui egli appartiene per generazione e poetica. Nel panorama italiano attuale questi aspetti del suo linguaggio artistico assumono una pungente originalità.
L’intera operazione ha ricostruito l’eccezionale rilevanza complessiva dell’opera di Cresci.
In questa ultima tappa si mette a fuoco principalmente il lavoro incentrato sulla figura dell’uomo (da qui il titolo della mostra “Attraverso l’umano”) cominciato alla fine degli anni Sessanta nell’ambito di campagne di ricerca socio culturale nel meridione e soprattutto in Basilicata e sempre connotato da una forte componente grafica che deriva dalla formazione dell’artista (dalle tracce dell’aratro sulla terra, ai segni della sega nelle cave di tufo, al tutto pieno dei Sassi allora abbandonati).
Proprio nella città dei Sassi Cresci ha condotto, nel corso dei successivi decenni e attraverso il suo particolare sguardo di attento conoscitore della realtà sociale e antropologica, un’approfondita ricerca fotografica sull’’umano’ e sul peculiare ambiente culturale della regione, usando l’obiettivo come mezzo per documentare le molteplici trasformazioni della società e, quindi, del paesaggio lucano. Un viaggio “dentro” il Sud, un viaggio intimo, quasi immobile all’interno di luoghi di fortissime persistenze e lentissime trasformazioni, fatto di innumerevoli particolari significanti da scoprire. Un viaggio che affonda dentro alle immagini, anche per cercarne le ‘corrispondenze’ (sia estetiche che sentimentali) e rivelare, da questa intimità svelata, quanto l’immagine emotivamente può invece nascondere.
Per la sede di Matera il lavoro “site specific” di Mario Cresci si è ispirato all’attività di restauro della Soprintendenza, suggestivamente colto come luogo della cura dell’arte. Questa sezione della mostra è stata allestita nella Sala Pascoli, con l’intento di offrire al visitatore una sorta di anteprima e si configura come una mostra nella mostra.
La parte centrale dell’intervento specifico ha riguardato le collezioni esposte nel Museo Nazionale con le quali l’artista ha instaurato un serrato dialogo a partire dal tema antropologico conduttore: attraverso l’umano. Nelle sale espositive sono collocate le installazioni fotografiche che interagiscono creativamente con le opere d’arte.
In occasione della mostra di Matera sarà pubblicato il catalogo generale dell’intero progetto espositivo.
La mostra resterà aperta fino al 6 novembre 2011.
Forse fotografia, attraverso l’Umano. Recensione a cura di Marta Ragozzino, Soprintendente per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Basilicata
“Io vorrei una Storia degli Sguardi” scriveva Roland Barthes, nel suo ultimo penetrante libro dedicato all’evidenza della fotografia, affrontata in un corpo a corpo quasi sentimentale a partire da due concetti chiave, lo studium, inteso come costruzione artistica dell’immagine e il punctum, quell’elemento sensibile, anche incongruo e sempre casuale, capace di creare meraviglia e, dunque, attrarre lo sguardo nel profondo di un’immagine.
Anche il progetto Forse Fotografia che qui si presenta, la prima completa avvincente operazione espositiva dedicata a Mario Cresci, fotografo, grafico e artista che a lungo ha vissuto e operato a Matera, potrebbe avere questo sottotitolo. La Storia di uno Sguardo. O, per dirla con Barthes, la storia del rapporto che si crea tra l’io che guarda e l’oggetto guardato. Un rapporto sempre decisivo e centrale anche nel lungo percorso creativo di Cresci, che viene raccontato nelle tre tappe di questo progetto che si snoda attraverso l’Arte, nella Pinacoteca nazionale di Bologna; attraverso la Traccia, nell’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma; e, infine, attraverso l’Umano, nel Museo nazionale d’arte medievale e moderna della Basilicata di Matera, città antropologica per eccellenza, data la presenza continua e millenaria dell’uomo negli insediamenti rupestri che tanto particolarmente caratterizzano la nostra città e il suo territorio.
Inesorabilmente, il percorso di Forse Fotografia non poteva che concludersi qui, tra i Sassi di Matera: un viaggio, anche il più avventuroso o potentemente attrattivo, come quello nel campo della fotografia di Mario Cresci, riporta necessariamente al punto di partenza. E, vent’anni dopo, la città dei Sassi finalmente riserva ad uno dei suoi più importanti protagonisti il meritato riconoscimento di una grande mostra, che magicamente ricuce, con lo Sguardo del presente, tutti i temi e i luoghi attraversati dall’artista nel corso del tempo: a partire dall’umano appunto, argomento che anima l’installazione creata ad hoc per il nostro Museo, rintracciato e prelevato nelle opere d’arte esposte ma anche negli spazi deputati alla loro cura, dunque, come spiega Cresci, nel laboratorio di restauro della nostra Soprintendenza.
Forse fotografia è molto di più di una semplice esposizione retrospettiva itinerante: è un progetto ambizioso di coproduzione e committenza pubblica, ideato da Luigi Ficacci e fortemente sostenuto dal Ministero per i beni e le attività culturali. Un progetto che ha coinvolto, a partire dallo scorso novembre, tre prestigiose sedi del Mibac, nelle quali Mario Cresci si è confrontato con aspetti diversi del proprio Sguardo, a contatto con il patrimonio e i luoghi, con i segni e i significati, con gli uomini e le cose e dando vita a tre iniziative site specific, diverse e del tutto autonome, ma collegate da un nucleo retrospettivo sostanzialmente comune per quanto riguarda la scelta e la cronologia delle sezioni che a Matera assume particolare rilevanza e spessore (anche numerico). Proprio nella nostra città Cresci ha infatti elaborato la sua produzione artistica centrale e ha sviluppato la sua speciale visione, allargando l’obiettivo sull’intera Basilicata, non solo per cogliere le componenti analogiche e segniche del paesaggio (che mai l’artista, nel rifiutare una fotografia di tipo “retinico”, raffigura come desolato o poetico) o la complessità stratificata dei Sassi, allora ruderi spettrali, di cui egli riesce a cogliere il progressivo ed ideologico disfacimento, bensì la tradizione di cultura materiale rituale e magica delle genti della nostra regione, come la mostra ben ricostruisce.
Tagli o inclinazioni differenti di quello Sguardo, di quel rapporto tra soggetto guardante e oggetto guardato, in fondo circolare e eternamente ritornante: in una continua, metodica e sempre creativa ‘messa a punto’; così caratteristica nell’opera di Cresci, ossessionato quasi, fin dai suoi primi passi nel territorio lucano, dalla dimensione della verifica e della misurazione, derivate dalla sua formazione di grafico e artista visuale prima che di fotografo.
Da allora, la riflessione di Cresci sempre si è appuntata sul mezzo, sullo specifico fotografico, che mai è specifico assoluto, avulso dal contesto e dagli altri strumenti di comunicazione. La sua è una poetica complessa, che parte da una fondamentale esperienza di ricerca formale sui metodi della visione; e attraverso questa speciale “disposizione di sguardo” analizza, soprattutto in Basilicata, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Novanta, il paesaggio culturale, l’ambiente sociale e umano, la cultura materiale della negletta civiltà contadina. Una forte, radicale riflessione critica, sgorgata a contatto di un maestro degli studi sociali meridionalisti come Aldo Musacchio, insieme ad uno straordinario gruppo di lavoro interdisciplinare, impegnato a Tricarico in una importante ricerca sul campo. Ma anche allora, agli albori della sua carriera di fotografo e di artista, agli inizi della sua frequentazione con la Basilicata, nel cuore di una campagna di documentazione e rilievo portata avanti con urbanisti, sociologi ed antropologi, il mezzo fotografico ha per Cresci una verità oggettiva, una neutralità efficace: mai effetto, mai enfasi, mai interpretazione e neppure pura visibilità di retina; nemmeno davanti alle scene di vita delle classi subalterne, di cui in quegli anni si scoprivano e narravano, neorealisticamente o esteticamente, le sorti. Come nei Sassi di Matera, luogo di affezione, che Cresci riprende in maniera straordinaria, senza giudizio o volontà di risarcimento o redenzione, per un libro (Matera. Immagini e documenti) che è quasi un capolavoro di critica, dove il punctum e lo studium di Barthes si possono incontrare. La fotografia, per Cresci, può scandagliare le trasformazioni della società con un intento obiettivo, di continua misurazione, che tutto porta in primo piano, allo stesso modo. E che permette il confronto o cerca l’analogia, di forma e quindi di contenuto. In questi termini, che affondavano le radici negli studi fenomenologici e nella psicologia della percezione, Cresci a Matera è stato un geniale precursore che ha avviato processi, soprattutto formativi, e lasciato esempi concreti, come fotografo, grafico e operatore culturale, aprendo delle strade moderne, che oggi permettono all’antichissima città dei Sassi, patrimonio mondiale dell’Umanità, di fare un passo avanti nel futuro e di candidarsi a diventare la capitale europea della Cultura.
Marta Ragozzino
Soprintendente per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Basilicata
Forse Fotografia. Dove abita l’umano, di Mario Cresci
“Siamo fatti per rispondere all’emozione
con un’emozione, di solito percepiamo il messaggio”.
Paul Ekman
Ogni luogo ha una sua specificità che sopravvive all’abbandono di coloro che lo hanno abitato e che in esso hanno accumulato le esperienze di vita e la memoria delle cose.
Nelle cose, scrive Remo Bodei, “ si depositano idee, affetti e simboli di cui spesso non comprendiamo il senso. Più siamo in grado di recuperarlo e di integrarlo nel nostro orizzonte mentale ed emotivo, più il mondo si allarga e acquista profondità.”
Così, le cose, attraverso le vite degli altri che si intrecciano con le nostre, lasceranno nel tempo i segni della loro presenza in un continuo avvicendarsi di esperienze e di saperi.
In questo senso Matera, nella sua unicità, rappresenta ancora oggi il territorio umano e geografico più calzante per riflettere su questi problemi.
Pensando forse a Pasolini e al suo “Vangelo secondo Matteo” per Giorgio Celli “Matera è insieme un santuario e un laboratorio” e come lui, letterati, artisti e poeti hanno amato a prima vista la Città dei Sassi, come luogo d’affezione a forte impatto scenografico.
Nell’estate del 1967 Matera divenne anche per me non solo un luogo d’affezione, ma soprattutto un luogo d’esperienza dove avrei vissuto per quasi vent’anni cogliendo gli aspetti più profondi e intriganti della sua struttura sociale. Un tessuto umano senza il quale non avrei potuto realizzare oggi questa mostra a Palazzo Lanfranchi. Essa, oltre che rappresentare un omaggio alla Città vuole essere un atto di affetto per agli amici che mi sono rimasti vicini.
Il focus della mostra, che parte dalle fotografie realizzate a Tricarico alla fine degli anni Sessanta, sino alle immagini delle Cave di tufo di Matera del 2002, è rappresentato da una serie d’interventi site-specific nelle antiche stanze, progettate dal vescovo committente Vincenzo Lanfranchi che nella seconda metà del XVII secolo trasformò il preesistente Convento del Carmine, ampliandolo e inserendo l’annessa chiesa nella facciata dell’edificio.
L’attuale Museo è quindi un luogo di “energia spirituale dedicata”; ex Seminario vescovile prima, divenuto poi Liceo, esso vide tra i suoi insegnanti anche il giovane Pascoli. In questo contesto ambientale ho colto la memoria e la presenza del sacro come tema da sviluppare negli spazi del Museo.
Mi sono avvicinato a tutto ciò che mi veniva incontro: dai gesti e dagli sguardi delle opere esposte, alle statue lignee, ai dipinti di Carlo Levi e a quelli della collezione D’Errico, tra cui i piccoli e stupendi dipinti su vetro del pittore napoletano Cenatiempo dai quali ho “liberato” in grandi disegni digitali storie fantastiche e mitologiche, ingigantendo ed enfatizzando il dato minimale con il massimo della visibilità.
In sintesi, la serie degli interventi che ho predisposto nelle varie stanze di Palazzo Lanfranchi è il risultato di un pensiero che vede la fotografia, già da molti anni, prendere le distanze dai luoghi comuni della rappresentazione veritiera della realtà. L’arte fotografica, coinvolgendo cognitivamente ed emotivamente l’immaginazione, ne moltiplica le esperienze. Le opere realizzate nel Museo convivono con i loro referenti se, come scriveva Bruno Munari: “da cosa nasce cosa”, ogni site-specific apre ulteriori passaggi all’immaginazione dello spettatore che avverte il senso di una proposta estetica, che seppur visibile in forma di fotografia, non si ferma solo all’aspetto retinico dello sguardo, ma tende a “liberare” le immagini e i pensieri che appartengono alla soggettività più profonda di ognuno.
Mario Cresci
Mario Cresci – Cenni biografici
Mario Cresci è nato a Chiavari nel 1942. Dal 1963 al 1966 studia design e fotografia al “Corso Superiore di Industrial Design” di Venezia, anche sotto la guida di Italo Zannier, e ben presto si interessa di sperimentazione nell’ambito della grafica e dei diversi linguaggi visivi in un’ottica di analisi e interscambio delle varie forme espressive.
Nel 1966 entra nel gruppo di architettura e design “Il Politecnico”, con il quale avvia una ricerca etno-fotografica che si svolgerà a Venezia e poi soprattutto a Matera dove, dal 1970 alla fine degli anni Ottanta, Cresci lavorerà stabilmente, usando la fotografia come strumento di relazione concettuale tra lo sguardo e il proprio personale coinvolgimento nella realtà e nelle problematiche dei luoghi in cui vive. Qui, accanto alle proprie ricerche come fotografo, impegnato in una grande rilevazione ambientale e culturale che sfocerà nel libro Matera, immagini e documenti (Matera, Meta, 1975), inizierà anche una importante attività come operatore culturale, promuovendo iniziative attente soprattutto alle tematiche del territorio, che svilupperà poi nell’arco di tutta la sua carriera artistica, partecipando a diverse mostre in Italia e all’estero, e realizzando numerose pubblicazioni.
Alla fine degli anni Sessanta inizia una stretta collaborazione con artisti quali Kounellis, Pascali, Mattiacci e, nel 1968, a Roma, incontra i torinesi Paolini, Pistoletto, Boetti e collabora con Fabio Sargentini all’Attico, con Mara Coccia all’Arco d’Alibert, oltre che con la rivista di arte contemporanea “Cartabianca”. Successivamente è a Parigi e poi a Milano dove, nell’ambito del suo impegno tra politica e arte, realizza, alla Galleria Il Diaframma, uno dei primi environnement fotografici in Europa.
Dal 1974 partecipa a diverse edizioni della Biennale di Venezia e a molte esposizioni d’arte e di fotografia in Italia e all’estero. Dal 1975 unisce all’attività di ricerca fotografica (condotta in particolare sui temi della memoria, l’identità, l’architettura e il paesaggio), un’attività di sperimentazione didattica nelle scuole di design dell’Italia meridionale e in ambito etnografico e antropologico.
Nel 1977 riceve il Premio Bolaffi per la Fotografia e nel 1984 collabora con Luigi Ghirri per la mostra “Viaggio in Italia” (cfr. M. Cresci, Mettere al mondo il mondo, in R. Valtorta, a cura di, Racconti dal paesaggio. 1984-2004 A vent’anni da Viaggio in Italia, Milano, Museo di Fotografia Contemporanea-Lupetti, 2004, pp. 188-194).
Nel 1989 si trasferisce a Milano e, per alcuni anni, insegna Comunicazione visiva e fotografia all’Istituto Europeo di Design. Dal 1992 al 2000 dirige l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo e dal 1996 al 1999 il Festival di fotografia di Savignano. Nel 1995 viene organizzata la prima rassegna della sua produzione artistica alle Stelline di Milano e nel 1998 cura per i “Rencontres de la photographie” di Arles una rassegna di giovani fotografi italiani. Insegna Storia della fotografia presso l’Università di Parma (2000-2003), e nel corso di Design della Comunicazione al Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura (2003-2004). Attualmente insegna presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, nei corsi di specializzazione post-laurea e di “Teoria e metodo della fotografia”.
Tra le principali mostre a lui dedicate, si ricorda l’antologica “Le Case della fotografia: Mario Cresci 1966-2003” (alla GAM di Torino, 2004) e la recente “Sottotraccia. Bergamo. Immagini della città e del suo territorio” (Bergamo, Elleni Gallerie d’arte, 2009).