Dove finirà l’allevamento di suini in Basilicata? Quali prospettive future hanno gli allevatori? Queste le domande che si pone la Cia-Confederazione italiana agricoltori di fronte a dati economici drammatici per il settore. Solo nel febbraio scorso i prezzi dei suini da macello pesanti hanno registrato, rispetto al mese precedente, un calo del 7,2 per cento (1,40 euro/Kg). Peggiorata anche la redditività dell’allevamento suinicolo itali
ano rispetto a gennaio (meno 6,0 per cento), mentre migliora quella della macellazione (6,1 per cento). In questo contesto rischia di diventare dilagante il fenomeno della chiusura di allevamenti suinicoli.
Per la suinicoltura lucana – oltre 100 mila capi allevati in 3500-4000 aziende, per i tre/quarti a conduzione familiare e con una trentina di aziende-allevamenti organizzati attraversa “filiera”, una “nicchia” di razze autoctone tra cui il suino nero che comunque non superano il migliaio di capi – è sempre più emergenza. E’ arrivato, quindi, -afferma la Cia- il momento di rispondere in modo efficace ai gravi problemi che condizionano pesantemente i nostri allevatori, alle prese non solo con il drammatico calo dei prezzi, ma anche con elevati costi produttivi, burocratici e contributivi. A questi si aggiungono un credito con il contagocce che sta mettendo in grave difficoltà molte aziende e un’agguerrita e sleale concorrenza estera che da tempo pone sotto assedio il prodotto “made in Italy”.
Ormai -avverte la Cia- è una vera “invasione”. L’assalto del “suino straniero” può mettere in discussione lo stesso futuro dei nostri produttori. Tre prosciutti (cotti e crudi) su quattro sono esteri. La concorrenza dei prodotti provenienti dall’estero, di minore qualità, ma fortemente competitivi nei prezzi di produzione ha raggiunto -sottolinea la Cia- livelli record: l’Italia importa oltre il 40 per cento del proprio fabbisogno di carne suina anche perché manca qualsiasi sistema obbligatorio di indicazione della provenienza che informi il consumatore rispetto al luogo di produzione e macellazione delle carni.
Da qui l’impellente esigenza dell’etichettatura d’origine che deve essere attuata in tempi brevi. In tale maniera e con l’accordo di tutte le parti della filiera, dalla stalla alla distribuzione, sarà possibile -avverte la Cia- difendere e valorizzare tutta la nostra produzione suinicola tipica e di grande qualità.
La Cia rinnova, pertanto, il suo appello per una nuova e più efficace politica per superare una situazione di estrema difficoltà, con gli allevatori pressati da problemi sempre più complessi e impossibilitati a svolgere un’adeguata attività imprenditoriale.
Il Comitato di prodotto -proposta sostenuta dal coordinamento Agrinsieme, con il sostegno del mondo della cooperazione agricola e degli allevatori- è il primo impegno operativo. La consistenza degli allevamenti è seriamente compromessa dall’art. 62 del decreto liberalizzazioni che, in concreto, in Basilicata di fatto blocca 50 mila capi suini destinati all’ingrasso. Di qui la sollecitazione a risolvere la questione insieme ad alcune emergenze tra le quali una maggiore collaborazione allevatori-organismi addetti ai controlli e verifiche nelle stalle, la semplificazione di adempimenti onerosi ed eccessivamente burocratici, la creazione di un Fondo auto per l’adeguamento delle strutture di allevamento e per l’acquisto del mangime. A medio periodo la Cia propone la definizione di un Piano suinicolo regionale all’interno della nuova Pac 2014-2020 per superare l’handicap dell’assenza dalle precedenti programmazioni Feasr-Psr Basilicata.