La lectio magistralis del professor Umberto Curi sul tema “Il Vangelo secondo Pasolini” ha ufficialmente inaugurato gli eventi inseriti nel cinquantenario del film prodotto a Matera dal regista Pier Paolo Pasolini, “Il Vangelo secondo Matteo”. L’evento, che rientra nel programma “Cinquant’anni Pasolini (1964 – 2014)” è stato promosso e organizzato da Comune di Matera, Soprintendenza ai beni artistici e storici ed etnoantropologici della Basilicata, Matera 2019, Arcidiocesi Matera Irsina, Lucana Film Commission, e ha visto la partecipazione di Don Basilio Gavazzeni, pronto ad analizzare nel corso della sua relazione i due film che hanno scosso il cinema Cristologico, The Passion di Mel Gibson e Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini.
Particolarmente apprezzata quella che è stata definita un’esegesi del Vangelo secondo Matteo di Umberto Curi da don Filippo Lombardi.
Umberto Curi è professore emerito di Storia della Filosofia presso l’Università di Padova e docente presso l’Università San Raffaele di Milano. Visiting Professor presso le Università di Los Angeles (1977) e di Boston (1984), ha tenuto lezioni e conferenze presso le Università di Barcellona, Bergen, Berlino, Buenos Aires, Cambridge (Massachussets), Cordoba, Lima, Lugano, Madrid, Oslo, Rio de Janeiro, San Paolo, Sevilla, Vancouver, Vienna.Ha pubblicato circa 40 volumi. Fra le sue numerose pubblicazioni, Endiadi. Figure della duplicità e La cognizione dell’amore. Eros e filosofia (entrambi presso Feltrinelli, 1995 e 1997), Pensare la guerra. L’Europa e il destino della politica, Dedalo, Bari 1999; Polemos. Filosofia come guerra e La forza dello sguardo (presso Bollati Boringhieri, 2000 e 2004); Filosofia del Don Giovanni (Bruno Mondadori, 2002); Variazioni sul mito: Don Giovanni (Marsilio, Venezia 2005); Miti d’amore. Filosofia dell’eros, Bompiani, Milano 2009 (tr. spagnola, Siruela, Madrid 2010).
Il libro pubblicato presso Bollati Boringhieri, nel 2008, dal titolo “Meglio non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche”, ha vinto il premio nazionale Capalbio per la filosofia 2009 e il Praemium Classicum Clavaranse. Col volume Straniero (Raffaello Cortina, Milano 2010) ha vinto il Premio nazionale Frascati di filosofia 2011. La sua opera Via di qua. Imparare a morire, Bollati Boringhieri, pubblicata alla fine del 2011, è giunta alla quarta edizione ed è stata finalista per il Premio Viareggio. Dal 15 maggio è in libreria il suo libro Passione, Raffaello Cortina Editore. La sua pubblicazione più recente è L’apparire del bello, Bollati Boringhieri, 2013. Collabora al supplemento “La lettura” del “Corriere della sera”.
Riportiamo di seguito l’intervento di Don Basilio Gavazzeni.
Da Matera i due film che hanno scosso il cinema Cristologico.
Mentre Hollywood passa alla nostra televisione un altro kolossal biblico culminante in un altro Cristo, interpretato dal portoghese Diogo Morgado, ricorrono il cinquantesimo anniversario del pasoliniano Il Vangelo secondo Matteo (1964) e, insieme, il decimo anniversario del gibsoniano The Passion of the Christ (2004), ambedue girati in gran parte a Matera, altera Bethlehem e altera Jerusalem. Bisogna riconoscere che la scia del possente rompighiaccio di Gibson è tornata utile alla riscoperta del film di Pasolini che, per i cinefili, è il meglio del genere cristologico, ma non è mai stato apprezzato come è giusto da Sa Majesté le Public. Con il talentoso predecessore Gibson ha il merito di aver divulgato con tale larghezza la grazia fatta paesaggio cristologico, naturalmente cinematografico di Matera da propiziarle una fama planetaria e un concorso sempre crescente di visitatori.
Chiedo ai lettori di tollerare senza pretese questo disordinato e incompleto parallelismo fra i due registi e i loro film che spiccano come pietre miliari del cinema cristologico.
All’inizio sia per Pasolini sia per Gibson vi sono una illuminazione e un intenso confronto con la persona di Gesù Cristo. Da ciò scaturisce per ambedue l’impulso missionario (sic!) di tradurne agli altri la vita e il messaggio che li ha ustionati nel profondo. Sono uomini della decima arte, chi li può trattenere? Si mettono alla ricerca dei luoghi e dell’umanità più idonei a ricreare le stagioni del profeta di Nazareth. Pasolini arriva a Matera per primo: una lezione indimenticabile. Come pensare che Gibson dall’occhio rapace non lo pedini? Stessa location preponderante: Matera e dintorni. Stesso soggetto: nel film del primo la vita di Gesù, da Maria che ne è incinta alla Risurrezione; in quello dell’altro le ultime dodici ore del Martire. Comune ai due la necessità di rivoluzionare il cinema cristologico divenuto ripetitivo e stucchevole. Il film di Pasolini resta anche un documento di antropologia culturale, poiché ci serba facce e tipi umani ormai estinti dopo tante omologazioni. Gibson presenta facce soverchiate dall’ostensione filologicamente accurata dei costumi. In ambedue c’è un sommo rispetto per i testi sacri. Pasolini li adottò quasi come una “sceneggiatura di ferro”; Gibson, ossessionato dal bisogno di veridicità, fa addirittura esprimere gli attori in aramaico e in latino, piegandosi ai sottotitoli. Il Gesù di Pier Paolo Pasolini è soprattutto il predicatore in polemica contro i poteri e le ipocrisie del tempo. Lo impersona Enrique Irazoqui, poco più che adolescente: un Cristo irto, corrusco, alacre, non senza qualche dolcezza e qualche taumaturgia. Umano e, insieme, divino. La fronte alta, gli occhi sotto vaste arcate sopracciliari, ombreggiate da “ali di corvo” alla Frida Kahlo si potrebbe dire in questi giorni. Jim Caviezel è il Cristo di Mel Gibson: solenne, forte, resistente, anche lui tutto sguardo, dalle fattezze sindoniche, dalla splendida maturità che deflagra con un pulvinio di sangue nella turpissima flagellazione romana. Pasolini, non-credente, grazie a un contorsionismo interiore impossibile a chiunque altro, gira il film da credente. Lo dedica alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII il cui inaspettato cristianesimo l’ha conquiso. Gibson, credente un po’ troppo agonistico, si rifà al testo di Isaia sul Servo di YHWH. Incarna uno strenuo intento testimoniale: la “verità” della perfetta sofferenza vicaria di Cristo, quello scandalo in-finito, non deve affondare nell’oblio né essere censurata.
Alla madre di Cristo è riservato un ruolo importante sia da Pier Paolo Pasolini sia da Mel Gibson. Nel Vangelo secondo Matteo il ruolo è interpretato prima da una silente e ineffabile Margherita Caruso, poi dall’anziana madre del regista, Susanna, una Mater dolorosa memore delle figurazioni e del teatro popolari. Per farla entrare nella parte, sembra che Pasolini le riproponesse le lettere del figlio Guido, partigiano ucciso dagli scherani di Tito. Maia Morgenstern impersona la Madonna di Mel Gibson, adeguatamente più giovane (in quell’anno 30 d.C. la Madre non aveva ancora cinquant’anni!) di quella pasoliniana, figlia di Sion, discepola pronta alla sequela estrema, datrice del corpo sacrificato, raccoglitrice del preziosissimo Sangue, vigile madre del bambino Gesù, sposa nella ferialità della bottega nazaretana, Madre Coraggio e, infine, Mater Ecclesiae. Gibson riprende da Pasolini il dettaglio dell’inchiodamento di una mano del Cristo: come per recitare il mea culpa, volle calare lui stesso, quella prima e devastante martellata. Entrambi dedicano poco tempo alla Risurrezione: un paio di minuti per l’evento, potente e segreto, riservato solo a Cristo, nel film di Gibson; Pasolini, invece, trascorre dalle bende e dal sudario candidi abbandonati nella tomba al tripudio en plein air delle donne e dei discepoli stupefatti cui si associa la plebe accorrente dai campi con gli arnesi in pugno. Citazioni figurative sono evidenti nell’uno e nell’altro film. Il citazionismo di Pasolini è quello di un intellettuale-testimone poliedrico e onnivoro. Cita i maestri del cinema, i maestri della pittura Piero della Francesca, Masaccio e Duccio di Buoninsegna. Gibson ricorre anche a Caravaggio e a Mantegna, e, non ignora Holbein e soprattutto Grünewald e i Cristi della pietà popolare. La musica elaborata da John Debney per The Passion non può sostenere il confronto con quelle di Bach, Mozart, Prokofiev e Weber convocate nel Vangelo secondo Matteo. Tutta da ammirare e ponderare la qualità e l’efficacia diverse del film in bianco e nero e di quello a colori, tutti da misurare i ritmi, i rallentamenti e le accelerazioni di entrambi. Si ricordi: quello di Pasolini dura 137 minuti, quello di Gibson 126. Non mette conto qui rilevare le cadute e le inconsistenze dell’uno e dell’altro, l’eccesso di verbosità nelle parte centrale del primo e l’iperrealismo del secondo. Alla fine vale la sostanza. Entrambi hanno ben lavorato per la causa del cinema e di Cristo, e, insieme, hanno reso celebri la città di Matera e il suo paesaggio.
I due film sono separati da uno iato di quarant’anni: l’evoluzione del linguaggio, delle macchine e dei costi della cinematografia è stata travolgente. Pasolini ha contato su mezzi poveri, Gibson non ha lesinato sulle strumentazioni e sugli effetti speciali. Cristo, segno di contraddizione, ha attirato nella sua cifra drammatica sia Pasolini sia Gibson. Polemiche asperrime li hanno circondati da ogni parte. Ciononostante il film di Pasolini ha ricevuto plausi e premi dalla critica cattolica più autorevole, mentre Gibson ha mietuto un successo perseguito con tenacia, immenso e indiscutibile. A film conchiuso, Pasolini confessava nella poesia Alba meridionale: “Il film l’ho già girato – e con Cristo”. Di Mel Gibson ricordo la dichiarazione, fatta proprio a me, in casa mia: “Anch’io sarei disposto a morire per Cristo.” Quella mattina, dopo una fervida discussione, ci eravamo dimenticati che già un certo Pietro aveva dichiarato avventatamente la stessa cosa.
don Basilio Gavazzeni
L’intervento di Pasquale Giordano, sacerdote biblista dell’Arcidiocesi di Matera-Irsina sul film “Il Vangelo secondo Matteo”
Giordano: “Matteo la Basilica del Dio con noi”
Il vangelo di Matteo è il “primo vangelo” in ordine canonico, non in ordine temporale come è stato erroneamente considerato da alcuni scritti e autori antichi. Molti ritengono che l’autore del primo vangelo si nasconda dietro quello «scriba, divenuto discepolo» di cui si parla in Mt 13,52. Il nome in greco (Maththaìos) si avvicina molto al verbo greco “divenire discepolo” (mathetheùo), che sembra usato dall’autore per “firmare” la sua opera. Solo in questo vangelo troviamo nella lista dei Dodici il nome “Matteo il pubblicano” e scompare quello di “Levi”. Colui che chiamiamo “Matteo” fu uno “scriba” capace non solo di accedere perfettamente alla lingua ebraica e tradurla in un greco piuttosto elaborato e poetico, ma anche di interpretare la sue fonti e ripresentarle secondo un suo originale progetto teologico. Lo scritto di Matteo era destinato a una comunità di giudeo-cristiani, forse della diaspora, in cui la frattura con la sinagoga non era ancora consumata.
Matteo conosce i tremendi fatti della conquista romana di Gerusalemme quando scrive il suo vangelo che, quindi, va datato dopo il 70. Nei rapporti fra la chiesa giudeo-cristiana e la sinagoga, tra ebraismo messianico ed ebraismo rabbinico, quell’evento ha influito moltissimo. Da una parte, infatti, ci fu l’accusa ai giudeo-cristiani di non aver difeso con le armi l’incolumità del Tempio e della “città santa”, dall’altra proprio gli ebrei furono accusati dai giudeo-cristiani di essere i responsabili – sotto un profilo teologico – della distruzione di Gerusalemme, per non aver creduto al Messia e aver perseguitato i suoi inviati. Matteo è testimone diretto di queste tensioni all’interno dell’ebraismo, ma, probabilmente, a differenza di Luca, scrive prima che la frattura tra chiesa e sinagoga si faccia insanabile. Non c’è traccia nel vangelo della scomunica e dell’espulsione dei giudeo-cristiani dalle sinagoghe, operata con il sinodo di Iamnia (anni 80). Nei confronti dell’ebraismo ufficiale c’è anzi la consapevolezza che si debbano mantenere dei legami. Vi è l’invito esplicito a «fare e osservare» quanto dicono gli scribi e i farisei, anche se non a imitarne il comportamento (cf. Mt 23,3).
Una delle caratteristiche più importanti del vangelo di Matteo è l’elevato numero di citazioni dell’ AT, 40 dirette e 30 indirette, in particolare 19 dei profeti. Tra le citazioni esplicite 10, di cui 9 dai profeti, sono le cosiddette “formule di compimento”. L’autore le utilizza per dimostrare come le attese e le profezie della Bibbia ebraica trovino compimento in Gesù Cristo. È pure vero che Matteo presenta una “doppia lettura”: non solo mostra come Gesù è il Messia atteso che compie le Scritture, ma anche le rilegge per vedere quali linee confluiscono verso la sua persona. Anche leggendo e interpretando in un certo modo le vicende, i personaggi e le profezie delle Scritture si può arrivare alla fede in Gesù Cristo.
Un’importante inclusione incornicia tutta l’opera letteraria di Matteo entro la prospettiva dell’alleanza: all’inizio del vangelo Gesù è chiamato l’Immanu-el, il “Dio-con-noi” (1,23). Nell’ultimo versetto troviamo Gesù risorto che promette solennemente ai suoi: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (28,20).
Dal punto di vista strutturale possiamo rintracciare questo schema che alterna parti narrative e parti discorsive:
cc. 1-2 vangelo dell’infanzia
cc. 3-4 promulgazione del regno dei cieli (sez. narrativa)
cc. 5-7 discorso della montagna
cc. 8-9 racconti di guarigione e vocazione (sez. narrativa)
c. 10 discorso missionario
cc. 11-12 reazioni della gente (sez. narrativa)
c. 13 discorso in parabole
cc. 14-17 riconoscimento da parte dei discepoli (sez. narrativa)
c. 18 discorso ecclesiale
cc. 19-22 autorità e sequela (sez. narrativa)
cc. 23-25 discorso escatologico
cc. 26-28 passione, morte e risurrezione
L’alternanza discorso-narrazione ha un chiaro intento teologico: la parola di Gesù è performativa, attua ciò che dice, trasforma la realtà proprio secondo quanto ha detto. Il vangelo di Matteo è quello che più mette in evidenza questo passaggio dalla Parola alla vita e dalla vita alla Parola. L’evangelista redige una sorta di Torah in cui è possibile rintracciare una certa corrispondenza fra i vari capitoli e i cinque libri del Pentateuco. Se questa splendida e maestosa architettura ha una struttura a chiasmo, come alcuni autori hanno cercato di dimostrare, e se uno dei temi sui quali Matteo insiste di più è quello comunitario-ecclesiale, non sembra allora improprio definire il primo vangelo come “la basilica del Dio con noi”.
Una linea portante è quella centrata sulla figura di Gesù. Il volto che Matteo fa emergere, fin dalle prime righe della sua opera, è quello del Figlio di Davide, il Messia davidico da lungo tempo profetizzato e atteso, e quello del Figlio di Abramo, l’ebreo Gesù, nato a Betlemme di Giudea, fuggito in Egitto (come i suoi antenati patriarchi Abramo e Giuseppe) e tornato alla sua terra perché possa essere chiamato “Nazareno” (cf. 2,23). In quanto Figlio di Davide Gesù è il messia-re annunciato dai profeti, betlemmita come Davide, mite pastore di Israele con la forza stessa del Signore. In quanto Figlio di Abramo Gesù oltrepassa l’orizzonte del suo popolo e si pone sullo sfondo universalistico della promessa di benedizione a tutte le nazioni fatta al patriarca di Ur.
Gesù è anche chiamato Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Il primo titolo viene usato per sottolineare la provenienza divina di Gesù e la sua relazione filiale con Dio, come nell’importante confessione di fede di Pietro al centro del vangelo, frutto di una rivelazione divina: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente» (16,16). Il secondo viene riferito a Gesù per sottolineare, in continuità con Marco, l’attività di servizio, il ministero pubblico che caratterizza la sua vita terrena fino alla Pasqua, compresa quella funzione di giudice che compirà il suo ministero negli ultimi giorni.
All’inizio del vangelo Gesù è anche chiamato il Dio con noi, l’Emmanuele, con un linguaggio che ricorda quello dell’alleanza nell’AT. Egli è la nuova Shekhinà, la divina “presenza” che un tempo dimorava nel tempio, quel tempio distrutto che non è più necessario ricostruire, perché la presenza spirituale del Messia morto e risorto accompagna il suo popolo dovunque vada.
Un volto di chiesa che particolarmente emerge dal primo evangelo è quello di comunità fraterna. La fraternità è centrata sulla parola del Figlio che rende figli del Padre e dunque fratelli. Per questo il vangelo di Matteo è stato il vangelo più letto nella chiesa.
All’interno della comunità fraterna un posto di privilegiata attenzione lo meritano i “piccoli”, i membri più deboli e fragili: «Chi accoglie anche uno solo di questi piccoli in nome mio, accoglie me» (18,5).
Pasquale Giordano
sacerdote biblista dell’Arcidiocesi di Matera-Irsina
Di Magister Adest, Umberto Curi, curriculum vitae et studiorum
Umberto Curi è professore emerito di Storia della Filosofia presso l’Università di Padova e docente presso l’Università San Raffaele di Milano. Visiting Professor presso le Università di Los Angeles (1977) e di Boston (1984), ha tenuto lezioni e conferenze presso le Università di Barcellona, Bergen, Berlino, Buenos Aires, Cambridge (Massachussets), Cordoba, Lima, Lugano, Madrid, Oslo, Rio de Janeiro, San Paolo, Sevilla, Vancouver, Vienna.
Ha pubblicato circa 40 volumi. Fra le sue numerose pubblicazioni, Endiadi. Figure della duplicità e La cognizione dell’amore. Eros e filosofia (entrambi presso Feltrinelli, 1995 e 1997), Pensare la guerra. L’Europa e il destino della politica, Dedalo, Bari 1999; Polemos. Filosofia come guerra e La forza dello sguardo (presso Bollati Boringhieri, 2000 e 2004); Filosofia del Don Giovanni (Bruno Mondadori, 2002); Variazioni sul mito: Don Giovanni (Marsilio, Venezia 2005); Miti d’amore. Filosofia dell’eros, Bompiani, Milano 2009 (tr. spagnola, Siruela, Madrid 2010).
Il libro pubblicato presso Bollati Boringhieri, nel 2008, dal titolo Meglio non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche, ha vinto il premio nazionale Capalbio per la filosofia 2009 e il Praemium Classicum Clavaranse. Col volume Straniero (Raffaello Cortina, Milano 2010) ha vinto il Premio nazionale Frascati di filosofia 2011. La sua opera Via di qua. Imparare a morire, Bollati Boringhieri, pubblicata alla fine del 2011, è giunta alla quarta edizione ed è stata finalista per il Premio Viareggio.
Dal 15 maggio è in libreria il suo libro Passione, Raffaello Cortina Editore. La sua pubblicazione più recente è L’apparire del bello, Bollati Boringhieri, 2013. Collabora al supplemento “La lettura” del “Corriere della sera”.
La fotogallery dell’incontro con Umberto Curi per “Il Vangelo secondo Pasolini (foto www.sassilive.it)