Nell’ambito del programma “Arte e Fede” lo studio Arti Visive diretto dal poliedrico artista materano Franco Di Pede ha promosso la mostra “Volti” di Maria Jannelli, già inaugurata nella mattinata di venerdì 4 aprile nella sede in via delle Beccherie 41. Nella mostra è stata presentata in anteprima l’immagine della “Badessa Eugenia”, un’opera a tempera su tela realizzata dall’artista Maria Jannelli. Franco Di Pede ha inoltre dato alle stampe grazie a Tecnostampa la brochure tematica della Beata Eugenia, una figura poco conosciuta dai materani e la cui immagine adesso si può ammirare nella chiesa dell’Annunziatella in via della Croce a Matera. Di seguito i testi contenuti nella brochure a cura di Salvatore Longo ed Egidio Casarola e la fotogallery dell’opera presente nella chiesa dell’Annunziatella assieme alle tele di Pierangelo Tronconi dedicate a Santa Lucia e Sant’Agata. (foto www.sassilive.it).
Michele Capolupo
BEATA EUGENIA DA MATERA
Della beata Eugenia di Matera conosciamo molto poco. Dedicando alla sua figura questo studio intendiamo riassegnarle il posto che le spetta nella storia e contribuire alla comprensione della cultura e della spiritualità di Matera durante il Medioevo. Non mancano in città raffigurazioni della Beata. Nel 1938 il vescovo Anselmo Pecci (1907-1945), in occasione dell’VIII centenario della morte di san Giovanni da Matera, fece allogare sull’altare della Cattedrale, a lui dedicato, due statue in marmo di piccolo formato, una di sant’Ilario di Matera e l’altra della beata Eugenia. Furono commissionate all’artigiano Emanuele Saracino, marmista di Bitonto (Ba), che le fece eseguire a Carrara, probabilmente sui disegni di Mario Prayer di Bari che, tra l’altro, si era già occupato anche dell’urna di san Giovanni, realizzandone il bozzetto, e del progetto del suddetto altare. Nel 1958 don Giovanni Mele, parroco pro-tempore della chiesa dell’Annunziata di Piccianello, commissionò le scene dell’Annunciazione ad Alfredo Domenicone di Novara che furono affrescate sulla parete dell’abside. Nel riquadro a destra, tra i santi venerati a Matera, fu effigiata anche la beata Eugenia. Di recente, l’artista milanese Maria Jannelli si è impegnata a realizzare un nuovo ritratto della Beata, riportato in questa monografia, che riflette nei suoi tratti figurativi uno stile neoclassico. Come abbiamo già scritto su san Giovanni da Matera e su sant’Ilario nella serie dei Quaderni “Aspetti della città”, auspichiamo ulteriori studi che apportino nuovi contributi per la conoscenza di Eugenia, beata di Matera. Franco Di Pede
LA STORIA Il Medioevo è un periodo storico abbastanza lontano dalla nostra epoca; dalla sua conclusione ci separano almeno 5 secoli. Nonostante questa abissale lontananza temporale, la sua strutturazione non risulta povera e manchevole, anzi si rivela completa ed approfondita al pari di tutte le altre epoche storiche. Nel caso di Matera, si conoscono molti aspetti che, in realtà, riguardano soprattutto le numerose battaglie sostenute dai vari eserciti per contendersi la posizione strategica del suo territorio; oppure riflettono la successione delle dinastie: Normanni, Svevi, Angioni ed Aragonesi che la governarono. Tuttavia mancano quegli avvenimenti particolari che avrebbero consentito di delineare le tendenze generali della vita economica e sociale della città. Sono andati irrimediabilmente perduti per varie motivazioni, legate alla distruzione degli archivi oppure per lo scarso interesse rivolto verso questi argomenti, che ne avrebbe accentuato uno specifico approfondimento. Alcuni di essi sono contenuti nel prezioso volumetto, il Chronicon, di Lupo Protospata e riguardano la consacrazione, o meglio la dedicazione, della chiesa dei Benedettini di S. Eustachio, la visita del Papa Urbano II e la morte di Eugenia, badessa benedettina; tutti accaduti nel primo secolo dopo il Mille. Tra queste citazioni, la più interessante risulta il decesso della badessa Eugenia, avvenuto nell’ottobre del 1093 in un imprecisato monastero di Matera: “obiit Eugenia abatissa Sancti Benedecti monasterii Materiensis mense octobris”(1). Le parole del Protospata, per quanto brevi e lapidarie, si prestano allo sviluppo di qualche riflessione e potrebbero sicuramente ampliare l’argomento che si sta per affrontare. Il decesso di Eugenia è l’unica notizia fra quelle riportate e riguarda il vissuto di una religiosa. La sua comunicazione fu effettuata per ricordare la grandezza morale di un personaggio abbastanza famoso in vita ed altrettanto importante rispetto agli altri eventi trattati. Con questa citazione, il decesso di Eugenia superò gli ambiti precisi di una piccola comunità sociale per diffondersi in altri e lontani luoghi della Puglia. Fu questo l’intento del Protospata: comunicare una notizia, come accade ancora oggi, per consolidare il ricordo di un personaggio eminente, in questo caso, una religiosa, che simboleggiò le istanze spirituali del suo tempo. Il Medioevo ebbe una visione religiosa della vita che prevalse sugli altri aspetti condizionando ogni iniziativa. L’uomo risultò un peccatore ostinato, incapace di raggiungere i suoi obiettivi soprannaturali. Solo con la penitenza si riusciva ad essere fuori da questa situazione, raggiungendo la salvezza ossia la vita eterna con l’esercizio del lavoro che fu la maggiore penitenza. Dinanzi all’incombente necessità della salvezza fu importante l’azione svolta dai monaci, impegnati a conseguire la propria perfezione e quella del prossimo. Il monaco ebbe tanto un rapporto con Dio come con il diavolo, di cui fu preda privilegiata in quanto protesse gli altri uomini dall’«antico nemico». L’uomo, ossessionato dal peccato, lo commise abbandonandosi al Diavolo, dichiarando la sua incapacità di sconfiggere i vizi. Per questo motivo, i monaci vissero fuori del mondo per ricercare una perfezione a cui era difficile giungere giacché ostacolati da una società superficialmente cristianizzata, ma che restava profondamente estranea allo spirito del Vangelo. Si potrebbe pensare che, allo stesso modo, agì la badessa Eugenia, nella sua condizione di monaca, essendosi interessata a quanti furono impossibilitati a raggiungere la personale salvezza; li aiutò a superare le negatività delle loro vicende esistenziali. Durante il Medioevo, il Chronicon del Protospata non ebbe alcuna importanza tanto da risultare sconosciuto agli storici. Forse per il contenuto frammentario e per la brevità delle notizie rimase sepolto, per alcuni secoli, in qualche archivio o biblioteca. Solo molto più tardi si ebbe una precisa cognizione con la pubblicazione avvenuta a Napoli nel 1626. Da quel momento, la sua consultazione risultò frequente e non sfuggì neppure ad un famoso erudito del tempo, l’abate cistercense Ferdinando Ughelli, autore di una monumentale storia ecclesiastica dell’Italia, in 10 volumi, pubblicata a Roma per la prima volta nel 1642 e successivamente ristampata, dopo circa un secolo, a Venezia nel 1722(2). Ad opera dell’Ughelli, la badessa Eugenia entrò per la prima volta nella storiografia avendo utilizzato la notizia riportata dal Protospata. Successivamente gli storici locali, in maniera ripetitiva, aggiunsero nelle loro opere questo dato che fu presentato dall’Ughelli con una novità, avendola qualificata Beata. Tale termine fu sicuramente suggerito dalla sua vasta cultura e dal suo profondo ingegno e lo propose dopo una riflessione sulla lettura di quel raro ed importante documento. Non ebbe difficoltà a qualificarla in quel modo, avendone dedotte le doti spirituali e il carisma religioso dall’esame dell’ impianto strutturale del Chronicon, dalla valutazione del contesto storico ed, infine, dalla considerazione della funzione esercitata da Eugenia. L’Ughelli non fece altro che esplicitare e chiosare la citazione lapidaria e concisa del Protospata, che altrimenti sarebbe rimasta tale. Durante il Medioevo, la procedura della canonizzazione dei Santi fu diversa da quella attuale. Innanzitutto non vi fu distinzione fra i termini beato e santo che ebbero il medesimo significato. La proclamazione della santità fu una prerogativa esclusiva del vescovo che ne autorizzò il culto locale, dopo aver redatto anche una Vita. In particolare, Alessandro III stabilì, nel 1135, un procedimento diverso per il riconoscimento dei Santi, riservato solo ed esclusivamente ai Papi; mentre il vescovo conservò la facoltà di autorizzare il culto locale, quello dei beati. In seguito a questa decisione, si ebbe la distinzione fra i due termini: santo e beato. Il santo ebbe un culto universale; mentre il beato quello locale. Con Urbano VIII (1630) la procedura della canonizzazione ancora mutò. Sia i santi che i beati furono proclamati dal Papa, anzi la figura del beato risultò inferiore rispetto al santo in quanto provvisoria e bisognevole di ulteriori procedimenti per attestarne la santità. In base alle considerazioni espresse, l’Ughelli non ebbe difficoltà ad includere Eugenia fra i beati di quel tempo senza farsi influenzare da alcuna preferenza oppure da un personale arbitrio, ma fu spinto dall’esperienza di studioso. D’altra parte la sua precisa asserzione fu coraggiosa, non avendo a disposizione la necessaria documentazione storiografica (la Vita) oppure una versione orale sostenuta da un’ efficace tradizione. Con questa proposta si confermò un valoroso erudito, le cui eccellenti doti furono rivelate, senz’altro, dalla sua vasta attività di storico. L’intuito e la formazione culturale dell’Ughelli contribuirono ad arricchire la storia di Matera, sottraendo dall’oblio, perdurato molti secoli, un’importante figura distintasi per i suoi meriti umani e spirituali(3). Questa beata ampliò il profilo sociale della storia della città che già annoverò, in quel periodo, altri santi: Ilario, abate del monastero di San Vincenzo al Volturno deceduto nel 1045 e Giovanni da Matera, abate e fondatore della congregazione pulsanese, deceduto nel 1139 e canonizzato da Alessandro III l’anno successivo(4). Questi Santi, insieme a Eugenia, composero uno straordinario trittico, espressione degli aspetti precisi e specifici della spiritualità del Medioevo. Nel contempo, la loro presenza riafferma l’influenza esercitata dal Pontefice nelle regioni meri- dionali, finalizzata a contrastare la civiltà bizantina assecondando lo sviluppo dell’ordine benedettino. La beata Eugenia ci consente di argomentare su alcune tematiche relative allo sviluppo urbano di Matera, esemplificato in modo specifico, dalle vicende attraversate nel corso di un millennio dalla suddetta comunità femminile di cui ne fece parte. Innanzitutto, il monastero benedettino citato da Protospata, in cui visse Eugenia dovrebbe coincidere con il cenobio rupestre di Santa Lucia ed Agata tuttora fruibile e documentato solo agli inizi del ‘200. La sua ubicazione risultò fuori le mura cittadine non lontano dalla contrada Pianella, dove sorgevano pure alcune fortificazioni. Anche fuori le mura si attuò il nuovo insediamento voluto durante il Quattrocento. Coincise con uno stabile non lontano dalla precedente dimora, collocato nei pressi di Porta Pistola. La suddetta costruzione, tuttora efficiente e dotata di interessanti elementi architettonici, dispose di caratteri costitutivi tali da modificare la qualità dell’esistenza vissuta in rupe, generando moduli comportamentali più evoluti. Un altro cambiamento si verificò alla fine del Settecento. Il monastero ebbe una nuova sede nella zona del piano vicino la fontana monumentale, occupando un’area più ampia rispetto alla precedente e risultò strutturato con un numero maggiore di ambienti. I passaggi ora evidenziati esprimono la sintesi della tipologia abitativa di Matera, composta dalle abitazioni in grotta, attuate mediante un lavoro continuo di scavo, e dalle dimore più evolute dotate di diversi corpi di fabbrica. Solo una condizione di agiatezza consentì l’utilizzazione di queste ultime che furono soprattutto diffuse nella parte pianeggiante della città, coincidente con il quartiere più dinamico dal punto di vista economico e sociale e popolato prevalentemente dal ceto aristocratico e borghese. Tutti gli storici replicarono il concetto dell’Ughelli senza tuttavia fare un cenno al culto locale, d’altronde inesistente. Tuttavia accennarono al luogo preciso della sepoltura della beata, sistemata nella chiesa ormai scomparsa di S. Eustachio(5). Fu mons. Filippo Anselmo Pecci, arcivescovo di Matera (1907-1945) a riproporre la conoscenza
della Beata attuando una precisa iniziativa. Fece erigere nel 1939 l’altare di S. Giovanni da Matera per deporvi le spoglie mortali del Santo già sistemate sotto la mensa dell’altare maggiore. Esse furono traslate nel 1830 da Manfredonia a Matera. Mons. Pecci, essendo un monaco benedettino, volle ricordare un suo illustre predecessore, ma dare anche una sistemazione opportuna alle spoglie del Santo materano creando un altare specifico. Contemporaneamente fece collocare le sculture marmoree dei citati Beati alle due estremità del suddetto altare. Da una parte Eugenia e dall’altra Ilario, entrambi con il libro in mano ed il pastorale e con il loro nome inciso alla base.
Salvatore Longo
Badessa EugeniaNel Chronicon del Protospata si legge: “anno 1093. Indictio prima obijt Eugenia abbatissa sancti Benedicti monasterij Materiensis mense octobris” insieme con l’altra notizia che nello stesso mese e anno il pontefice Urbano II “venit in Materam, et applicuit ad coenobium sancti Eustachij cum grandi plebe hominum”(1). La concisa e lapidaria nota non fa riferimento né al luogo della sepoltura né alla presunta beatificazione della badessa. Occorre far ricorso alla voluminosa “Italia Sacra” dell’abate cistercense Ferdinando Ughelli, edito nel 1642, ove al vol. 7 tratta dei vescovi della diocesi di Acerenza e Matera e accenna della badessa Eugenia con il titolo di beata; l’Ughelli aveva corrispondenti in ogni diocesi d’Italia tra i quali anche il protonotario apostolico don Giovanni Francesco De Blasijs nel 1646, trattando della città e diocesi materana in contrasto con Acerenza, riferisce: “Né è meraviglia, che mette la morte di questa abbadessa Eugenia, perché per antica tradizione si tiene in questa città, che questa Eugenia sia Beata, e stia sepelita nella chiesa di s. Eustachio, dove si sente una fragranza d’odore, e precise nelli maggiori caldi dell’anno”(2), notizia ripresa, riportata e arricchita dal cronista Arcangelo Copeti con queste espressioni: “verso li tre di agosto ogni anno si sentiva tanto soave odore e fragranza che non poteva credersi essere cosa se no di Paradiso, e quelli che lo sentivano erano forzati cascare a terra, come successe a d. Giulio Guida di Acquaviva, maestro di cappella, salariato in essa città”, cui il Volpe aggiunge: “fu sepolta, per propria elezione, nella chiesa de’ PP. Cassinesi di s. Eustachio; e la fama vuole che il soccorpo di detta Chiesa racchiudesse le di lei ceneri. Si tiene eziandio per Beata”.
Fatta questa doverosa precisazione storica intorno alla badessa Eugenia sulla quale ci fu a iniziare dal XVII secolo qualche forma vaga di devozione popolare soprattutto con alcune espressioni d’arte. Nel XX secolo, l’arcivescovo di Acerenza e Matera mons. Anselmo Filippo Pecci, benedettino, fece costruire nella cattedrale di Matera, dichiarato monumento nazionale, un altare dedicato a s. Giovanni da Matera e fece porre sui lati dello stesso le statue marmoree della badessa Eugenia e dell’abate Ilario. Nel 1911 fece realizzare dall’organaro Consoli di Locorotondo il restauro completo dell’antico organo con ventilatore e impianto elettrico e con il corredo del registro Dulciana, fece spostare la porta d’ingresso della sacrestia, restaurare un faldistorio e alcune mitrie. Dopo la prima guerra mondiale, coadiuvato dal can. Michele Loperfido, nominato decano del Capitolo Cattedrale, vera anima del rinnovamento della basilica cattedrale, mons. Pecci pensò a consolidare il campanile con due solai in travi e cemento armato, ringhiere e passamano e poi il decano Loperfido affidò il 1923 la creazione di un moderno impianto di parafulmine alla ditta La Parafulmine di Raffaele Riefolo e C. in Bari. L’anno seguente fece costruire nel campanile le scale in ferro battuto dal fabbro materano Giuseppe Bruno e affidò alla Fonderia Nobilione in Napoli la rifusione della campana grande, la riparazione delle tre campane piccole e la creazione di una nuova il tutto con il sistema ambrosiano; seguì la revisione straordinaria dei tetti dell’intero edificio sacro, la costruzione e dotazione della sacrestia di un grande armadio per una spesa complessiva di lire 93.160,70 come da relazione del geom. Ettore Casalino a cui si fece onore con un contributo di lire 5.000 del Comune di Matera, offerte libere dei nobili della città, dei fedeli di Matera e degli emigrati che risposero molto bene all’invito di Loperfido e fu questo un contributo di 15.000 al Ministero di Grazia e Culto che fu affidato nel 1932 al Ministero dell’Educazione Nazionale e da questi alla R. Soprintendenza per le Antichità e l’Arte del Bruzio e della Lucania di Reggio Calabria “per il congruo riassetto statico-artistico del campanile”. L’architetto Nava, funzionario della soprintendenza inviato a Matera, fece un dettagliato esame dei lavori da realizzare tenendo conto delle richieste di mons. Pecci e del can. Michele Loperfido, decano del Capitolo Cattedrale che consegnò al Soprintendente E. Galli il quale con relazione 4 aprile 1930 n. 698 recepì alcune innovazioni “tenendo conto dello stato attuale delle cose, della veste settecentesca ormai predominante di tutto l’ambiente e che deve essere mantenuta tale; delle prescrizioni e delle esigenze liturgiche, dell’utilizzazione del materiale e della minore spesa”. Il progetto manteneva l’impianto dell’altare maggiore nello stato di fatto e aggiungeva due gradini per accedere al coro e abbassava di due gradini il pavimento del presbiterio che veniva portato avanti fino a inglobare il trono vescovile che veniva spostato di lato lasciando libero l’arcata del transetto. Il presbiterio veniva abbassato totalmente di tre gradini per formare un piano unico con la schola cantorum allogata con una balaustra intorno. La balaustra marmoreo con relativo cancello di bronzo, debitamente accordato e spostato, resta invariata. Accanto al trono vescovile trovavano posto 6 stalli per i canonici, il cero pasquale in legno e tutto era protetto da una spalliera di cristallo per proteggere il celebrante dagli spifferi d’aria e una ringhiera in ferro battuto limitanti i gradini di accesso alla sacrestia. Di fronte al trono episcopale si creavano 6 stalli per i canonici protetti da vetro e con ringhiera in ferro battuto e gradini di accesso alla schola cantorum e un littorino marmoreo. Il Galli pensò di affidare i lavori al maestro materano Cozzolino “che ha lavorato e sta lavorando pure per conto dello Stato in codesto R. Museo Nazionale, e che per ormai lunga esperienza dà pieno affidamento di corrispondere alla fiducia riposta in lui”, e che godeva la fiducia del decano Loperfido per lavori nella attigua cappella di santa Maria di Costantinopoli. L’altare di san Giovanni da Matera appena realizzato con l’urna d’argento con le reliquie del santo fu oggetto di intervento con la creazione di “una cornice di alto rilievo di marmi policromi ed i due angeli torcieri a lato di marmo bianco statuario; oppure la cornice potrebb’essere in legno scolpito e dorato. E la tela dipinta dovrebbe essere trattata da un artista all’altezza di tale compito”. L’urna di san Giovanni da Matera fu arricchita con disegno dell’artista barese Mario Prayer e realizzato dalla ditta Vincenzo Catello in Napoli in argento ossidato e bronzo dorato con oro zecchino contenente le reliquie del santo con un piccolo pastorale di argento e una mitria bianca riccamente lavorata realizzata dalla ditta Serpone in Napoli. L’altare fu completato nel 1938 con due statue in marmo statuario di Carrara raffiguranti s. Ilario e la beata Eugenia realizzate dalla ditta Emanuele Saracino di Bitonto. Nel 1939 mons. Pecci organizzò l’ottavo centenario della morte di san Giovanni da Matera con una grande Missione paolina predicata dai componenti della Studium Christi, missioni paoline, di don Giovanni Rossi e si concluse con una grande celebrazione eucaristica alla presenza del cardinale Ascalesi di Napoli.
Egidio Casarola