Il primo agosto di quest’anno entra in vigore la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, conosciuta come Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa a maggio del 2011. Tutto questo grazie alle ratifiche di Spagna, Andorra e Danimarca, che hanno consentito di superare la soglia delle dieci convalide da parte degli Stati firmatari.
E’ un passo fondamentale per l’affermazione del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per combattere concretamente la violenza nei confronti delle donne, un insieme di misure per la protezione di chi subisce violenza. Siamo di fronte ad un’occasione unica per rompere il silenzio e superare i pregiudizi, considerando che la violenza maschile assume molteplici forme e modalità.
La finalità della Convenzione è di prevenire e contrastare la violenza nell’ambito della famiglia e di altre forme di violenza, di proteggere e garantire sostegno alle vittime, nonché di perseguire coloro che si rendono responsabili di tali nefandezze.
L’aspetto più innovativo del testo è sicuramente che la Convenzione riconosce la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani e come una forma di discriminazione.
Viene riconosciuta la necessità di azioni coordinate, sia a livello nazionale che internazionale, tra tutti gli attori che, a vario titolo, sono coinvolti nella presa in carico delle vittime e la necessità di finanziare adeguatamente le azioni previste per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno, nonché per il sostegno alle vittime e lo sviluppo dei servizi a loro dedicati. E’ prevista anche la protezione e il supporto ai bambini testimoni di violenza domestica. Si riconosce il ruolo fondamentale svolto dalla società civile e dall’associazionismo. In questo solco, bisogna ora rilanciare la rete nazionale antiviolenza a sostegno delle donne vittime di violenza intra ed extra familiare e di stalking.
In Europa, negli anni Settanta, si sono strutturati i centri antiviolenza e le case rifugio. In Italia, i primi centri sono stati aperti dopo circa dieci anni, ma solo in città del Nord, e ancora oggi sono presenti quasi interamente nel settentrione e nel centro del Paese. Come al solito, il Sud resta fuori. C’è la necessità, più che mai, di impegnarsi affinché le case rifugio sorgano anche nelle nostre regioni meridionali. Il Sud non può restare indietro anche rispetto a questi grandi problemi sociali.
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