Il poeta Michele Parrella da circa vent’anni riposa nel piccolo cimitero di Laurenzana e su di lui è caduto da tempo il silenzio. A Ferrandina è stato ricordato su iniziativa dell’associazione La Cupola Verde dal Prof. Giovanni Caserta che ha cercato di fare luce su questo poeta di Laurenzana verso il quale la cultura Italiana ha il compito non facile di saldare un profondo debito. Parrella era un vagabondo dal sapore bohemien, era un apolide e come tale non si identificava in una figura o un personaggio dai contorni chiari e lineari. Per certi aspetti lo si può associare a Neruda, Alberti, D’Annunzio, alla Merini. Il tentativo di Caserta è stato quello di tracciare un profilo psicologico e culturale difficile da delineare. Una traccia significativa di Parrella si nasconde nel dipinto “Lucania ’61”, realizzato da Carlo Levi in occasione del centenario dell’Unità d’Italia per rappresentare a Torino la nostra terra alla mostra delle regioni. Dal grande dipinto, custodito a Palazzo Lanfranchi di Matera, emergono tra i contadini le figure di Michele Parrella e Rocco Scotellaro, a testimaniare la loro vicinanza al popolo lucano.
Michele Parrella nacque a Laurenzana nel 1929 da un medico benestante. Studiò a Potenza dove conseguì brillantemente la maturità classica. Giovanissimo perse in breve tempo prima la madre e poi il padre. Di qui la vita senza riferimenti affettivi e quindi una vita errabonda. Il fervore culturale del capoluogo lucano gli consentì di forgiarsi attraverso varie stimolanti frequentazioni. Diversi erano in quei primi Anni ’50 i luoghi riservati agli incontri e alle conversazioni tra amici, come la libreria Marchesiello e soprattutto lo studio del pittore Michele Giocoli, un vero e proprio laboratorio di idee e prassi artistiche. Potenza con i suoi artisti, tra cui spiccava il pittore Mauro Masi al quale Parrella scelse di leggere i suoi versi, era contrassegnata dall’impegno militante a sinistra e ospitava anche l’azione pastorale di mons. Bertazzoni a contribuire allo slancio dell’Azione cattolica. Dopo Potenza si iscrisse alla facoltà di medicina a Siena, per poi ritrovarsi a Roma assiduo frequentatore dei salotti culturali che lo spinsero ad intrattenere solide amicizie con personaggi illustri come Levi, Guttuso, Amendola, Trombadori, Sinisgalli, Russo,Visconti, Pasolini, Rosi e tanti altri. Era quello il tempo de “La dolce vita”, di “via Margutta”, delle sue collaborazioni con alcune riviste e giornali e di una felice attività di documentarista. Parrella divenne un intellettuale lucido, libero, non organico, che non si identificava in una corrente politica senza mostrare i segni di un distacco critico, come quando, iscritto al PCI nel 1952, pubblicò le “Tre domande a Togliatti” chiedendogli di allentare i legami con l‘Unione Sovietica e di scegliere una via nazionale al socialismo. Come uomo Michele Parrella condusse vita sempre imprevedibile, non impiantò radici, visse in perpetuo viaggio tra Roma, la Basilicata, il Nord Italia, la Svizzera, la Germania. Il sentimento della solitudine si riverberò lentamente sulla sua vita e con esso il bisogno di affetto, amicizia, riconoscimento e considerazione.
La sua poesia è segnata da diverse fasi. Inizialmente, tra gli Anni ’40 e ’50, essa racconta il suo paese natio con un ricco repertorio di gesti, riti, liturgie, azioni del mondo popolare e contadino verso cui si sentiva irresistibilmente attratto. Nella raccolta “Poesia e pietra di Lucania” osserva e canta come un cantastorie un lungo e affascinante corteo di personaggi che rendono ogni piazza di paese lucano un teatro di “folli e maschere”. La seconda fase poetica è inaugurata dalla poesia “Addio ai paesi”, dove l’ambiente locale si trasfigura mestamente in una nave che vuole partire. Il disincanto e l’amarezza lo rapirono nell’affrontare il tema dell’emigrazione. Ma dove l’emigrazione si tinge di toni foschi e crudi è nella poesia “I Sassi” dedicata a Mauro Masi. I Sassi di Matera, abbandonati e tra gli Anni ’60 e ’70 ridotti senza un’anima, rappresentano il simbolo della fuga e dello spopolamento del Sud. In versi dall’acre sapore malinconico, Parrella si chiede dove siano finiti i fanciulli che correvano sulle muraglie della gravina, che aprivano grandi occhi nei buchi neri delle porte. E Matera era anche la città in cui incontrava il caro amico Luigi Guerricchio nei cui dipinti ritrovava il suo mondo. Un ultimo aspetto della sua poesia risente del soggiorno romano e ci offre l’immagine del poeta-cronista che assiste da attento osservatore ai misfatti e agli eventi della seconda metà del Novecento. Il suo sguardo cattura l’invasione sovietica dell’Ungheria, le elezioni politiche del 1963, la morte di Togliatti, l’alluvione di Firenze, l’uccisione di Moro, il Terrorismo, l’inchiesta di Mani pulite. In questa fase, tra la fine degli Anni ’80 e i primi Anni ’90, risuonano anche gli echi struggenti e pieni di sentimento di una fascinazione nostalgica per Laurenzana e la Basilicata. Il suo desiderio verrà esaudito alla morte, avvenuta il giorno 8 marzo del 1996 a Roma. I funerali furono celebrati nella Chiesa Madre del suo paese natio e qui Parrella concluse il suo viaggio di ritorno. Delle diverse raccolte di poesie ricordiamo “Poesia e pietra di Lucania”, “Paisano”, “La piramide di pietrisco”, “La piazza degli uomini”.
Dopo una testimonianza del pittore Nicola Pavese, che gli fu amico per lungo tempo, la serata di Ferrandina è proseguita con gli interventi di Filippo Radogna, Pasquale Dattoli e dell’assessore comunale alla Cultura Giovanni Sinisi.
Mag 21
M I T I C O . . . M. PARRELLA. 1 volta per tutte ( poeta a vita o di diritto ) uno dei più grandi del secolo passato.