Sul progetto che riguarda la costruzione di una centrale di energia elettrica a Tricarico interviene Egidio Tamburrino a nome dell’associazione culturale Loco Ardito. Di seguito la nota integrale.
“Nei giorni scorsi ho letto di notizie inerenti la costituzione di un Comitato di cittadini a Tricarico” – ha dichiarato l’ Ingegnere Egidio Tamburrino (Loco Ardito – Associazione Culturale Scientifica) – “la cui finalità sarebbe quella di contrastare una iniziativa consistente nella realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato da sottoprodotti di origine biologica di tipo legnoso avente una potenza elettrica di 1,00 megawatt”.
L’azione del Comitato, si legge, è finalizzata a rintuzzare un secondo assalto al territorio tricaricese già in passato interessato da una simile iniziativa riguardante però un impianto ben quattordici volte più grande di quello di che trattasi.
A giustificazione vengono evocati i rischi epidemiologici per la salute dei cittadini derivanti dall’esercizio di impianti di tale genere. Per dirla con il Manzoni, anche questo impianto, viene detto, “non s’ha da fare”.
In passato ci siamo occupati, anche senza impegnare costantemente gli organi stampa, di fare conoscere la nostra opinione, di altri impianti che hanno potenzialmente interessato il Territorio della Regione Basilicata. Ci riferiamo, oltre a quello già citato di Tricarico, a quello di Stigliano che avrebbe dovuto avere (o ha) una potenza di trentacinque megawatt elettrici!, a quello di Ferrandina da dieci megawatt elettrici e, “dulcis in fundo” a quello di Laino (Centrale del Mercure), proposto da Enel Green Power che, pur ubicato in provincia di Cosenza, si insinua ad enclave nel Territorio di Basilicata in provincia di Potenza con una potenza elettrica di trentacinque megawatt.
Su questi impianti abbiamo espresso il nostro parere contrario ma non per i paventati rischi epidemiologici che il neo costituito Comitato tricaricese lascerebbe prefigurare, ma perché si’ fatte dimensioni di impianto non sono ambientalmente sostenibili dai territori nell’ambito dei quali ne è stata prevista la localizzazione. Per fare un esempio, ed al fine di rendersi conto dell’impatto che simili dimensioni di impianto avrebbero sul Territorio, l’impianto originariamente immaginato su Tricarico necessiterebbe di un fabbisogno di biomassa legnosa di circa 160 mila tonnellate per anno. Il bacino di approvvigionamento che ne conseguirebbe, sarebbe smisuratamente elevato. Occorrerebbero circa 4.000 metri cubi per ora di acqua di raffreddamento. Ciò che è ancora più problematico, è la enorme quantità di calore di scarto che verrebbe cogenerato con la energia elettrica. Tale calore verrebbe disperso in atmosfera in quanto non diversamente utilizzabile (nemmeno per un eventuale teleriscaldamento) a motivo della sua temperatura relativamente bassa.
Queste sono le motivazioni, sia pure esposte in sintesi, per le quali non abbiamo condiviso le proposte riguardanti la realizzazione degli impianti innanzi citati.
Condividiamo invece la scelta dei piccoli impianti molto meno ambientalmente impattanti dei primi. Questi possono essere approvvigionati da un bacino molto più contenuto – ed i boschi tricaricesi anche in parte sarebbero sufficienti, e, grazie alle attuali migliori tecnologie disponibili, potrebbero consentire l’utilizzo della energia termica prodotta mediante, questa volta si, la realizzazione di efficienti sistemi cogenerativi.
Condividiamo queste scelte dal momento che in un quadro di utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili, finalizzato alla riduzione dell’impiego dei combustibili fossili, normato ed incentivato oltre che da direttive comunitarie anche da leggi del nostro Paese, non possiamo trascurare l’apporto delle biomasse rese disponibili come sottoprodotti delle attività agricole e della industria boschiva. Queste, ove non utilizzate per finalità energetiche, subirebbero comunque un naturale processo di degradazione aerobica, trasformazione che avviene nei boschi, o verrebbero distrutte per combustione nei campi. Tale sistema, viene praticato per le potature degli alberi da frutto, degli uliveti e dei vigneti che vengono bruciati in campo aperto.
Questa si che è una pratica che nuoce alla salute dal momento che simili processi di combustione non potendo essere dotati di efficienti sistemi di depurazione fumi, come lo sono invece gli impianti, diffondono ad altezza d’uomo, unitamente ai prodotti della combustione, polveri di varia granulometria che, se inalate, possono arrecare danni, a volte irreversibili, all’apparato respiratorio dell’organismo. Questa è la verità.
Ing. Egidio Tamburrino – Loco Ardito Associazione Culturale Scientifica