Se in Basilicata per il conseguimento della qualifica professionale o diploma professionale l’apprendista deve partecipare ad un percorso formativo, interno o esterno all’azienda, di durata non superiore ai tre anni, per 990 ore, a L’Aquila ne servono 700, mentre in Calabria, Molise, Campania, Sicilia, nella provincia autonoma di Bolzano e nelle Marche ne bastano 400 l’anno, il minimo prescritto per legge. C’è chi, poi, ha aumentato le ore di frequentazione per i minorenni – probabilmente in considerazione del fatto che l’apprendistato di primo livello vale anche per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione – chi ha “caricato” sui maggiorenni, in particolare sulle ore di formazione dentro l’impresa. Chi concede crediti a chi è in possesso di titoli scolastici e chi non fa “sconti”. Ci sono regioni “creative”, con l’Emilia Romagna in testa, che ha attivato più qualifiche regionali delle figure nazionali di riferimento, come quella di operatore del verde o operatore di linea/impianti ceramici. E Regioni più “conservatrici”, come la Sicilia, che ha deciso di destinare oltre la metà dei finanziamenti per formare operatori del benessere (estetisti e parrucchieri), seguiti dai tradizionali operatori. Il risultato è la “babele dell’apprendistato” per la totale mancanza di omogeneità e offerta formativa. Sono gli elementi più significativi del Rapporto del Centro Studi Cna che per questo propone l’istituzione di un centro nazionale di coordinamento dell’apprendistato, affinché la formazione sia davvero lo strumento fondamentale, e uniforme, capace di raccordare scuola e lavoro, facilitando e indirizzando l’ingresso dei giovani nel mercato. Solo così si possono ridurre le piaghe della dispersione scolastica e della disoccupazione giovanile come chiesto dall’Europa. La Commissione Europea, relativamente all’inclusione sociale, ha richiesto che per il 2020 il tasso di abbandono scolastico diminuisca a meno del 10% .
Se i dati relativi al primo trimestre saranno confermati anche nei mesi successivi – è scritto nel rapporto della Cna che con Confartigianato, Casartigiani, Confcommercio e Confesercenti aderisce a Rete Imprese Italia – sarà avvalorata l’ipotesi che l’apprendistato non ha avviato un processo sistematico di recupero nella composizione degli avviamenti al lavoro della componente giovanile della popolazione, segnalando uno scarso favore da parte delle imprese. Non è facile comprendere se si tratti di un fenomeno congiunturale, conseguente al riacutizzarsi della crisi economica e occupazionale, che ha un impatto maggiore sui più giovani e sull’utilizzo delle forme contrattuali percepite come maggiormente impegnative, oppure se il fenomeno sia di natura strutturale, e riconducibile ad una riallocazione delle scelte di assunzioni delle imprese a sfavore dell’apprendistato e a vantaggio di altre tipologie contrattuali ritenute più vantaggiose. In ogni caso, l’obiettivo di rendere l’apprendistato il contratto prevalente per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro appare decisamente lontano”.
Dice Antonio Aloiso, presidente Cna, che «le normative regionali generano solo incertezza e non supportano le imprese e i giovani nell’accesso al lavoro. L’esito complessivo è la mancanza di omogeneità che si ripercuote poi sulla funzionalità della formula, soprattutto per le imprese trans-regionali sottoposte a normative diverse e in evoluzione. Serve una disciplina chiara, univoca, che non faccia perdere tempo in preamboli e codicilli. La soluzione chiesta da Cna è l’istituzione di un centro nazionale di coordinamento dell’apprendistato, sulla scia ad esempio nel modello duale tedesco scuola-azienda”.