“I dati presentati oggi dallo Svimez sullo stato di salute del Mezzogiorno del nostro Paese dimostrano che gli allarmi lanciati da Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale durante la campagna elettorale delle recenti europee non erano “gufate” ma prese di coscienza del fallimento delle politiche del governo Renzi e degli ultimi esecutivi tecnici. Dalle nascite in calo all’economia stagnante il quadro offerto dallo Svimez ci offre un’Italia spezzata a metà, con un nord che a fatica si difende dalla recessione e un sud del Paese che è sprofondato una crisi che potrebbe portarlo fra 50 anni addirittura a spopolarsi. In tutto questo il governo Renzi ha tolto dall’agenda il tema del Mezzogiorno, preoccupandosi solo di annunciare tagli alle tasse senza chiarire con quali coperture sarà garantita la legge di stabilità. Il semestre italiano alla guida dell’Unione Europea passa in fretta e il sud è stato abbandonato dalla sinistra che invece di trattare sull’inutile ruolo di lady Pesc poteva utilizzare questi sei mesi per intavolare una trattativa seria con Bruxelles per sbloccare i fondi per il Mezzogiorno e rilanciare le politiche di sviluppo del nostro meridione”.
Lo dichiara in una nota Gianni Alemanno, membro dell’ufficio di Presidenza di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale.
Il Rapporto Svimez 2014 riaccende i riflettori sul dramma sociale che vive la Basilicata e il Mezzogiorno: da noi il rischio di povertà coinvolge il 32,6% dei lucani con il 22,9% di famiglie che vivono in condizioni di “povertà relativa”. È dunque soprattutto sul versante sociale che l’allargamento dei divari e il perdurare di uno stato di emergenza rischiano di configurare mutamenti irreversibili di carattere strutturale, tali da pesare sulla tenuta demografica e sul futuro delle nostre comunità locali. E’ il commento del segretario regionale della DC-Libertas della Basilicata Giuseppe Potenza per il quale il mercato del lavoro è l’epicentro che evidenzia la portata del “tracollo” economico e sociale dell’intero Sud con i giovani che rinunciano a studiare e a cercare lavoro, da noi, vicini alle 50mila unità. Concentrarsi su queste emergenze come stiamo ripetendo da tempo raccogliendo i numerosi appelli della Conferenza Episcopale lucana, della Caritas Diocesana di Potenza, dell’associazionismo cattolico – aggiunge – se ha trovato una prima risposta con i 4,5 milioni di euro (tra i 50 milioni sbloccati dal Patto di Stabilità) da destinare al Copes, evidentemente, è un obiettivo più impegnativo che richiede maggiori risorse finanziarie ed una strategia più ampia per abbracciare i servizi alle famiglie a disagio. L’altra leva fondamentale è quella delle cosiddette politiche “passive”, nell’ottica di garantire un maggiore livello di universalità e, dunque, un riequilibrio anche territoriale delle forme di tutela del reddito, a beneficio del Mezzogiorno che ne risulta sostanzialmente privo. E ad approfondire la dimensione dell’emergenza sociale è l’intreccio perverso tra crisi socio-economica e demografia. La SVIMEZ è da anni che richiama l’attenzione sulla portata più profonda delle dinamiche demografiche in atto nel nostro Paese. Insomma, la rinnovata politica di coesione deve essere un tassello – fondamentale, ma certo non sufficiente – di una strategia volta al riequilibrio economico, sociale e territoriale, ma è soprattutto la logica complessiva, di sistema, che occorre recuperare. Da tempo, infatti, è proprio questa che è venuta meno. Ciò che la SVIMEZ propone, dunque, e che merita la condivisione e il sostegno delle istituzioni e delle classi dirigenti e politiche meridionali, è un complesso di politiche e di interventi legati da un’unica strategia di sistema, in cui gli interessi del Mezzogiorno, che resta la grande opportunità da cogliere per riavviare un percorso di sviluppo dell’economia italiana, siano coniugati in una prospettiva che guardi al riposizionamento competitivo dell’intero Paese”-
RAPPORTO SVIMEZ: PRINZI, SI RIAPRE DIBATTITO SU AREE INTERNE E SUL FUTURO DI VAL D’AGRI-SAURO
“Tra i tanti meriti del Rapporto Svimez 2014 c’è quello di riaccendere il dibattito sulle aree interne che da noi, dove risiede oltre il 74% della popolazione, continuano a perdere quote rilevanti di popolazioni, proprio come accade anche nel comprensorio petrolifero Val d’Agri-Sauro”. E’ quanto evidenzia Vittorio Prinzi, già consigliere provinciale e sindaco di Viggiano che aggiunge: “se dunque i dati Svimez confermano che la “Questione aree interne” è una parte non secondaria della “Questione meridionale”, come Rossi Doria aveva a suo tempo evidenziato, le zone più svantaggiate perché slegate da processi di sviluppo sono però, al contempo, anche uno scrigno di
biodiversità e beni culturali. La presenza dei parchi raggiunge la percentuale del 67,1% del
territorio, con oltre un milione di ettari. E qui – dice Prinzi – torna la delusione per le tante aspettative create dal Parco Nazionale Val d’Agri. Ma, come ci ricorda la Svimez, le aree interne sono anche un ingentissimo serbatoio di aree agricole e forestali e di risorse idriche significative.
Il documento tecnico Strategia nazionale per le Aree interne (definizioni, obiettivi, strumenti e governante del 2013, collegato alla sottoscrizione dell’Accordo di Partenariato con la
Commissione Europea) costituisce pertanto il riferimento guida per il perseguimento degli obiettivi di mantenimento del presidio umano e di promozione dello sviluppo locale. Condivido, in proposito, la strategia della SVIMEZ: un progetto strategico per le aree interne non può prescindere da un intervento pubblico organico di sviluppo economico nei settori industriali decisivi (driver), che costruisca, ad esempio, le condizioni per la rigenerazione dei borghi attraverso idonei investimenti e attraverso una sistematica azione di attrazione di persone e capitali che faccia leva anche su agevolazioni fiscali e contributive. Occorre anche una politica industriale per assicurare economicità e stabilità delle forniture energetiche e per promuovere la creazione di filiere energetiche locali che offrano, insieme alla qualità del servizio, anche opportunità di lavoro. I passaggi sicuramente più interessanti del Rapporto per la Val d’Agri sono quelli dedicati alla politica energetica per le aree interne che può rappresentare un punta avanzata di applicazione della Strategia Energetica Nazionale, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi 2020 (la riduzione delle emissioni di CO2, la diminuzione dei costi dell’energia, il rilancio della crescita, la sicurezza degli approvvigionamenti) e il tema delle acque che rappresenta un settore rilevante nell’ambito di una più generale strategia volta a favorire lo sviluppo della green economy, sia per garantire in modo efficiente e qualitativo un servizio essenziale, sia per migliorare la qualità dell’ambiente attraverso il mantenimento in buono stato di conservazione degli ecosistemi fluviali. Per il turismo, come per l’attrazione di capitali, manca un’azione coordinata a livello sovraregionale, per la quale occorrono servizi, infrastrutture immateriali e materiali, politiche
fiscali e contributive pensate su misura per la condizione specifica dei territori marginali, cioè, in
definitiva un’organica politica industriale. Anche l’agricoltura, intesa nella sua funzione ampia di produttrice di beni e servizi, può svolgere un ruolo ancora importante per uno sviluppo più ampio e diffuso della green economy delle aree interne: puntando sulla diversificazione delle attività aziendali, sulla produzione di servizi ambientali, sull’integrazione delle fasi di trasformazione e sulla produzione di energia. Se è vero, infatti, che nelle aree interne sono presenti prodotti di eccellenza o paesaggi di alto pregio, è pur vero che quelle condizioni di base impediscono che essi diventino leve di sviluppo: molto spesso le eccellenze non superano i confini locali o regionali e non vanno al di là di un mercato di nicchia. Né, d’altra parte, si può pensare che la valorizzazione di produzioni eccellenti, ma con una dimensione economica modesta, o la diversificazione delle attività possano essere da sole, senza una forte funzione produttiva dell’azienda, motore di sviluppo per le aree interne. Per l’agricoltura e la promozione di filiere agroalimentari di qualità nelle aree interne del
Mezzogiorno occorre una politica organica che affronti i temi dell’integrazione organizzativa di
filiera attraverso idonei investimenti in tecnologie, processi, e in generale la logistica come
infrastruttura per le filiere territoriali. Fondamentale è anche lo stimolo all’imprenditoria
giovanile, da ottenere valorizzando e incentivando le start-up di giovani imprenditori agricoli e
della filiera agro-alimentare. Infine, il ruolo delle istituzioni in questo processo è fondamentale. L’integrazione delle politiche richiede capacità di dialogo interistituzionale, ma forse soprattutto intraistituzionale, affidando adesso ogni opportunità alle Unioni dei Comuni, così come ai vari livelli di governo è necessaria è necessaria una capacità di programmazione non frammentata e di coerente attuazione che, in un contesto di risorse decrescenti, siano in grado di finalizzare gli investimenti e di ottimizzare l’efficacia della spesa”.
CASTELLUCCIO (FI), DA RAPPORTO SVIMEZ SOLLECITAZIONE AD INVESTIRE IN BENI CULTURALI E TURISMO
“Specie dopo Matera Capitale Europea della Cultura 2019 non va sprecata la sollecitazione che ci viene dal Rapporto SVIMEZ: il patrimonio territoriale e culturale del Mezzogiorno può diventare componente chiave dello sviluppo del territorio, attraverso la creazione di un’adeguata offerta di strutture, servizi per l’accoglienza a sostegno dei già presenti musei e beni culturali e altre attività che possano spaziare dall’enogastronomia al folclore”. E’ il commento del consigliere regionale di Forza Italia Paolo Castelluccio che aggiunge: “è lo stesso Ministro Franceschini oggi a puntare il dito contro tutte le Regioni del Sud che sul turismo culturale fanno ancora troppo poco e spendono male i fondi comunitari a disposizione. Gli effetti negativi si colgono direttamente sul tessuto imprenditoriale – nei primi otto mesi dell’anno in Basilicata ci sono state 105 imprese di alloggio e somministrazione alimenti cancellate dagli Albi delle Camere di Commercio – e sull’occupazione – dei 269mila occupati italiani nel settore beni culturali 224mila sono al Centro-Nord e solo 45mila sono nel Mezzogiorno, di cui le “briciole” in Basilicata. Dunque è necessario fare tesoro della valutazione della Svimez: il settore culturale può rappresentare una delle componenti chiave nello sviluppo di un territorio quando, accanto alla presenza di attrattori quali musei e beni storico-culturali, si predisponga un’adeguata offerta di strutture e di servizi destinati all’accoglienza e la possibilità di integrare il soggiorno culturale con altre attività. E’ un’opzione strategica che, in tempi relativamente contenuti, deve trasformarsi in indicazioni progettuali concrete per entrare a pieno titolo nel quadro della politica europea per la cultura che fa perno sul programma Europa creativa varato alla fine del 2013 e che potrà contare su circa 1,5 miliardi di euro. Altri benefici concreti per i progetti e le imprese culturali verranno anche dall’avvio di un importante strumento finanziario: un Fondo di garanzia europea che affiancherà i contributi europei ai progetti e che assisterà i prestiti nazionali alle micro, piccole e medie imprese culturali e creative, che potranno finalmente vedere agevolate le loro possibilità di accesso al credito”.
Per Castelluccio inoltre “è necessario riorientare la spesa regionale e pubblica nel settore della
cultura e dei servizi ricreativi, contrattasi negli ultimi anni a livello nazionale e, soprattutto nel
Mezzogiorno, dove tra il 2000 e il 2011, come segnala la Svimez, ha subito una riduzione di oltre il 30%. Un tendenziale allineamento del Mezzogiorno al resto del Paese in termini di incidenza dell’occupazione nel settore consentirebbe di creare nel Mezzogiorno circa 40 mila posti di lavoro aggiuntivi nel settore dell’industria culturale, di cui circa 15 mila unità interesserebbero figure professionali con elevati livelli di istruzione. Opportunità ancora maggiori emergono dalla considerazione del settore “culturale allargato” in ottica di filiera, comprendente, cioè, sia i settori industriali e terziari che contribuiscono alla realizzazione dei prodotti culturali, sia i settori che comprendono figure professionali ad alto contenuto di conoscenza e creatività. Nel 2013 in Italia il settore culturale “allargato” conta circa 1,6 milioni di unità pari al 7,1% dell’occupazione totale. Il dato medio nazionale, sostanzialmente in linea con la media europea, nasconde anche in questo caso una forte differenziazione territoriale: più concentrata al Centro-Nord, con circa un milione 300 mila unità pari al 7,8% dell’occupazione totale, a fronte del 4,9% del Mezzogiorno. Infine – afferma il consigliere regionale di Forza Italia – alla politica regionale volta alla valorizzazione del patrimonio artistico-culturale devono affiancarsi quegli interventi di politica industriale orientati ad attivare comparti di produzioni di beni e servizi ad essa connessa”.
CASTELLUCCIO (FI), DA RAPPORTO SVIMEZ SOLLECITAZIONE AD INVESTIRE IN BENI CULTURALI E TURISMO
“Specie dopo Matera Capitale Europea della Cultura 2019 non va sprecata la sollecitazione che ci viene dal Rapporto SVIMEZ: il patrimonio territoriale e culturale del Mezzogiorno può diventare componente chiave dello sviluppo del territorio, attraverso la creazione di un’adeguata offerta di strutture, servizi per l’accoglienza a sostegno dei già presenti musei e beni culturali e altre attività che possano spaziare dall’enogastronomia al folclore”. E’ il commento del consigliere regionale di Forza Italia Paolo Castelluccio che aggiunge: “è lo stesso Ministro Franceschini oggi a puntare il dito contro tutte le Regioni del Sud che sul turismo culturale fanno ancora troppo poco e spendono male i fondi comunitari a disposizione. Gli effetti negativi si colgono direttamente sul tessuto imprenditoriale – nei primi otto mesi dell’anno in Basilicata ci sono state 105 imprese di alloggio e somministrazione alimenti cancellate dagli Albi delle Camere di Commercio – e sull’occupazione – dei 269mila occupati italiani nel settore beni culturali 224mila sono al Centro-Nord e solo 45mila sono nel Mezzogiorno, di cui le “briciole” in Basilicata. Dunque è necessario fare tesoro della valutazione della Svimez: il settore culturale può rappresentare una delle componenti chiave nello sviluppo di un territorio quando, accanto alla presenza di attrattori quali musei e beni storico-culturali, si predisponga un’adeguata offerta di strutture e di servizi destinati all’accoglienza e la possibilità di integrare il soggiorno culturale con altre attività. E’ un’opzione strategica che, in tempi relativamente contenuti, deve trasformarsi in indicazioni progettuali concrete per entrare a pieno titolo nel quadro della politica europea per la cultura che fa perno sul programma Europa creativa varato alla fine del 2013 e che potrà contare su circa 1,5 miliardi di euro. Altri benefici concreti per i progetti e le imprese culturali verranno anche dall’avvio di un importante strumento finanziario: un Fondo di garanzia europea che affiancherà i contributi europei ai progetti e che assisterà i prestiti nazionali alle micro, piccole e medie imprese culturali e creative, che potranno finalmente vedere agevolate le loro possibilità di accesso al credito”.
Per Castelluccio inoltre “è necessario riorientare la spesa regionale e pubblica nel settore della
cultura e dei servizi ricreativi, contrattasi negli ultimi anni a livello nazionale e, soprattutto nel
Mezzogiorno, dove tra il 2000 e il 2011, come segnala la Svimez, ha subito una riduzione di oltre il 30%. Un tendenziale allineamento del Mezzogiorno al resto del Paese in termini di incidenza dell’occupazione nel settore consentirebbe di creare nel Mezzogiorno circa 40 mila posti di lavoro aggiuntivi nel settore dell’industria culturale, di cui circa 15 mila unità interesserebbero figure professionali con elevati livelli di istruzione. Opportunità ancora maggiori emergono dalla considerazione del settore “culturale allargato” in ottica di filiera, comprendente, cioè, sia i settori industriali e terziari che contribuiscono alla realizzazione dei prodotti culturali, sia i settori che comprendono figure professionali ad alto contenuto di conoscenza e creatività. Nel 2013 in Italia il settore culturale “allargato” conta circa 1,6 milioni di unità pari al 7,1% dell’occupazione totale. Il dato medio nazionale, sostanzialmente in linea con la media europea, nasconde anche in questo caso una forte differenziazione territoriale: più concentrata al Centro-Nord, con circa un milione 300 mila unità pari al 7,8% dell’occupazione totale, a fronte del 4,9% del Mezzogiorno. Infine – afferma il consigliere regionale di Forza Italia – alla politica regionale volta alla valorizzazione del patrimonio artistico-culturale devono affiancarsi quegli interventi di politica industriale orientati ad attivare comparti di produzioni di beni e servizi ad essa connessa”.
RAPPORTO SVIMEZ: VACCARO (UIL), NON SI POSSONO FARE PIU’ PASSI FALSI
“Dopo che la nostra piccola regione è stata a lungo rappresentata come il “miracolo” del nuovo Mezzogiorno, in uscita dall’area dell’Obiettivo 1 e con il PIL in forte ascesa, in testa alle graduatorie europee per l’uso programmato dei fondi comunitari, per l’innovazione delle procedure amministrative e per la diffusione della società dell’informazione, il Rapporto Svimez ci riporta alla cruda e dura realtà del PIL sceso oltre i 6 punti percentuali ed una famiglia su tre in condizioni di povertà. Per risalire la china e modificare il destino del Mezzogiorno, strettamente intrecciato a quello della nostra piccola regione, non si possono fare più passi falsi”. A sostenerlo è il segretario regionale della UIL della Basilicata Carmine Vaccaro che aggiunge: “governare le istituzioni del territorio richiede una capacità di guida illuminata e temperata da parte di gruppi dirigenti formati e selezionati per strade diverse, provenienti da settori, ceti, territori, con la cultura e la mente orientate a coniugare assistenza, provvidenza e sviluppo.
Troppo sono state le attese deluse, troppe le pessime prove che il SUD dà di sé. Il coraggio del riformismo -coraggio della volontà e dell’intelligenza- ci dice, invece, che la scommessa è che si può stare a Mezzogiorno e guardare al futuro: si può continuare a vivere e a credere in un territorio ignorato dalle mappe dello sviluppo, nonostante la sua storia e la sua geografia dischiudano insospettate potenzialità. Anzi – continua Vaccaro – si deve stare in un grande Mezzogiorno, che alzi il livello delle sue ambizioni ed aspirazioni e fornisca all’intero Paese la chiave di volta di una grande rinascita nazionale che si ripensa e si riorganizza e che guarda allo sviluppo come ad un incrocio di ambiente-cultura-agricoltura- turismo- piccola industria. Lo sviluppo che cerchiamo non è una grandezza economica ma parte di una mobilitazione collettiva. La classe dirigente ne è responsabile e lo realizza quando partecipa a tutti la visione del futuro della Basilicata. Come? Attraverso l’individuazione di policy chiare, suggestive, in grado di agganciare le emozioni e la ragione di ciascuno. Basta guardare la carta geografica dall’alto ed allargare l’angolo di osservazione per intuire che la collocazione della Basilicata, che è stata per secoli la ragione del suo isolamento, può trasformarsi, quasi d’incanto, in fattore strategico decisivo fatto di progettualità interregionale, anzi transnazionale: dal Mediterraneo all’Europa, dal Tirreno all’Adriatico. La Basilicata, si sa, è una scommessa della geografia e della storia: piccoli numeri in uno spazio non piccolo, una collocazione problematica in un Paese a struttura longitudinale, una sfida permanente alle leggi della statistica economica. Ma – continua Vaccaro – nel periodo 2014-2020 avremo da impegnare e investire circa 3 miliardi di euro. Se indirizzati in maniera rigorosa ed intelligente potranno creare tante opportunità interessanti. E’ vero, viviamo in tempi di risorse pubbliche decrescenti, ma questo non sia un alibi per i tanti sacerdoti del ‘non si può fare’, anzi dev’essere uno stimolo incessante con il vincolo a non dissipare, a non alimentare i mille rivoli, a convogliare le risorse su progetti organici, ad elevare gli indici di produttività della spesa, ad implementare modelli intelligenti di investimento, ad onorare la scala delle priorità. Il nostro intento è proprio quello di contribuire a ricomporre una visione di comunità, una specie di ‘lucanità’ non nostalgica, quell’identità collettiva del ‘noi’ che ci siamo dati con un lungo e controverso processo storico, a partire dal valore sacro della famiglia e dell’impresa familiare sino alla esaltazione del locale e del territorio, con quel segno distintivo dei lucani, la frugalità, tanto ben descritto da Sinisgalli e che, come sottolinea Joseph Grima, direttore artistico di Matera 2019, ben si adatta alle nuove filosofie open source. Per questo – conclude il segretario regionale della Uil – se i Fondi comunitari continuano ad essere utilizzati con la logica dell’allungamento dell’elenco della spesa noi non ci stiamo”.
Donne DC-Libertas: richiamo di perdere capitale umano composto da giovani e donne
“I rischi segnalati dalla Svimez nel suo recente Rapporto di quella che definisce una “durevole esclusione” (giovani e donne) e di conseguenza di perdere “capitale umano” (dalla formazione, alle Università, alla qualità del lavoro) mitigano il cauto ottimismo diffuso dall’Istat circa una timida ripresa, solo perché gli inattivi (coloro che non lavorano e non cercano occupazione), tra cui donne e giovani, scendono perché aumenta la ricerca del lavoro e sminuiscono l’euforia del Premier Renzi”. E’ il commento di Rossella Claudia Dente a nome delle Donne della DC-Libertas Basilicata.
“L’evoluzione del mercato del lavoro più favorevole alle donne nella crisi nel nostro Paese – sottolinea ancora – è principalmente spiegata in termini di “segregazione” settoriale di genere, e questo risultato sarebbe connesso al fatto che gli uomini sono tradizionalmente concentrati nei settori più colpiti dalla crisi degli ultimi anni, quali il settore bancario/finanziario e i settori manifatturiero e delle costruzioni. Ciò sembra configurare un’emergenza essenzialmente “qualitativa”. I risultati quantitativi relativamente migliori rispetto agli uomini, come ci spiega il Rapporto Svimez, sono infatti largamente ascrivibili ad incrementi delle occupazioni precarie e nelle professioni non qualificate, che rafforzano anziché ridurre la tradizionale “segregazione” di genere che caratterizza il nostro mercato del lavoro. Il bilancio della crisi, per la componente femminile, dunque, non va guardato in termini meramente quantitativi, ma in termini di maggiore precarietà e minore qualità del lavoro e di mancate nuove opportunità e accessi che non può essere certamente il bonus di 80 euro a figlio a superare. Tutto ciò porta ad una conclusione: negli ultimi anni, sono aumentate sia le donne occupate (ma non al Sud) che le disoccupate, e si è ridotto il numero delle donne inattive. Questo dato sembra fornire una certa evidenza di un possibile effetto “lavoratore aggiunto” attivato dalla crisi. Tuttavia, non va dimenticato che l’Italia, con quasi la metà delle donne fuori dal mercato del lavoro – continua Dente – presenta uno dei più bassi tassi di partecipazione femminile alle forze lavoro in Europa.
Inoltre, le dinamiche più recenti, infatti, hanno ulteriormente aggravato una condizione, specie per i giovani, che si può riassumere nei seguenti termini: le già basse opportunità di accesso al mercato del lavoro si sono ridotte, la durata della disoccupazione è aumentata, il processo di transizione dalla scuola al lavoro si è ulteriormente allungato, e si è ampliato (non solo per i giovani, anche per le donne) il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Tali caratteristiche, e specialmente alcune di esse, peculiari del mercato del lavoro meridionale, con la crisi si sono diffuse (almeno in parte) all’intero territorio nazionale.
La “fotografia” dei giovani tra i 15 e i 34 anni mostra come l’Italia abbia quote superiori a tutti gli altri paesi di giovani solo in formazione e decisamente ancora più elevate di giovani Neet. Per converso, si rileva come l’Italia si caratterizzi per le quote più basse di occupati in formazione e di solo occupati (con l’eccezione di Grecia e Spagna). A ben vedere, però, è evidente come i valori così negativi dell’Italia siano sostanzialmente ascrivibili alle regioni meridionali, mentre le regioni del Centro-Nord presentano valori tutto sommato in linea con quelli degli altri principali paesi, sia pure in tendenziale peggioramento”.