Con il prezzo alla stalla del latte lucano di alta qualità che è circa metà del caffè pagato al bar mentre ritorna sul supermercato a un costo quattro-cinque volte superiore a quello pagato all’allevatore, la Cia ribadisce la necessità di gestire l’ultimo anno di applicazione del “regime delle quote” con flessibilità, garantendo una transizione morbida al nuovo sistema. E’ importante, per esempio, poter quest’anno “rimodulare la valutazione del titolo di grasso” o ridurre in modo significativo l’eventuale “super prelievo”. E’ soprattutto un’opportunità per tutelare il reddito degli allevatori.
La Cia valuta positivamente il superamento definitivo del sistema delle quote a partire dal prossimo aprile. Si tratta di una richiesta che da anni la Confederazione aveva sostenuto. Ora occorre prendere atto di questa realtà e delle nuove opportunità: non si confondano le idee ai produttori, paventando un ipotetico e surreale nuovo sistema di quote!
Operiamo, invece, per definire insieme una visione strategica condivisa che ci faccia passare da un sistema basato su vincoli e sanzioni ad uno fondato sull’autoregolamentazione del mondo produttivo. Per questo è fondamentale applicare tempestivamente in Italia tutte le misure del “pacchetto latte” e dell’intera regolamentazione comunitaria per favorire, prima di tutto, l’aggregazione dell’offerta. Dobbiamo puntare alla formazione di OP, forti, governate dagli allevatori, impegnate possibilmente anche nella trasformazione, oltre che nella commercializzazione del prodotto, privilegiando la forma cooperativa.
Occorre, – afferma il presidente della Cia Dino Scanavino-, un impegno di tutte le componenti della filiera per la creazione di un organismo interprofessionale in grado di operare per la coesione strategica, la regolazione del settore e la promozione del prodotto italiano.
L’Italia deve puntare soprattutto sulla sua gamma di formaggi a denominazione di origine, con prodotti di assoluta eccellenza ed alta reputazione internazionale. Attraverso una oculata e coraggiosa programmazione si deve consolidare la presenza sui mercati tradizionali e accrescerla su quelli in espansione, rispondendo all’aumento della domanda mondiale, ma senza tralasciare l’azione promozionale sul mercato interno.
In tutto questo -continua la nota della Cia – è fondamentale il ruolo dei Consorzi di tutela della denominazione.
Ma quello dei costi specie fiscali è diventato un fardello troppo pesante per gli allevatori come per gli imprenditori agricoli. Non è un Paese normale – sottolinea la Cia – quello in cui un imprenditore agricolo, alla vigilia di importanti scadenze, (il riferimento è all’Imu agricola) , con una proroga del pagamento di pochi giorni (dal 26 gennaio al 10 febbraio) navighi nel buio perché non conosce quali sono esattamente i comuni e quindi le aziende esenti. Come non è un Paese normale quello che introduce un meccanismo di inversione contabile dell’Iva (reverse charge) per le vendite di prodotti agricoli alla Grande distribuzione organizzata, che si traduce in una grave perdita di liquidità. Non è normale infine che si debbano attendere alcuni mesi per l’approvazione dei Piani di sviluppo rurale, che rappresentano un importante elemento di politica agricola e veicolano oltre 20 miliardi di euro nel periodo di programmazione 2014-2020. Con una possibile lunga soluzione di continuità degli interventi che priva l’agricoltura italiana di importanti misure.