“Non saranno certo i contributi per la formazione e l’informazione, rivolta agli allevatori, contro la febbre catarrale degli ovini (blue tongue) a risollevare le sorti della zootecnia lucana che da tempo deve affrontare numerose emergenze non solo sanitarie”. E’ quanto sostenuto in una nota della Cia Basilicata a firma di Luciano Sileo, responsabile per la zootecnia.
“Siamo sempre più convinti -afferma ancora Sileo- che insistere sulla qualità, i controlli sull’intera filiera allevamenti-mattatoi-macellerie-supermercati rappresenti una garanzia in più per i consumatori e un vantaggio in più per gli allevatori che spuntano ancora prezzi bassi rispetto ai costi sempre crescenti in stalla. Solo per il latte si ricordi che un litro è pagato agli allevatori il 50 per cento di quanto costa il caffè al bar. Per questo, l’etichettatura d’origine delle carni deve diventare un obbligo per consentire ai consumatori di scegliere in modo consapevole e agli allevatori di difendere e valorizzare le loro produzioni di qualità. In tema di marchio delle carni lucane – aggiunge – bisogna fare più in fretta. E se da tempo carne podolica, Agnello delle dolomiti lucane, suini del Melandro e della collina materana, come il suino nero d Tricarico rappresentano le eccellenze capaci di fare da volano all’intero comparto zootecnico lucano l’unica soluzione strutturale in grado di assicurare la trasparenza negli scambi commerciali e la tutela di consumatori e produttori dal rischio frodi è l’estensione dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza di tutti gli alimenti, a partire dalla materia prima utilizzata. Dobbiamo, perciò, riprendere l’iniziativa avviata negli anni passati dalle associazioni professionali degli allevatori – afferma il dirigente della Cia – per riaprire un tavolo tecnico regionale su questo tema”. Di qui “l’attualità di un Piano regionale per il comparto zootecnico, da aggiornare con le misure del nuovo Psr 2014-2020, e di un programma di consolidamento e rilancio del sistema agroalimentare e industriale legato alle produzioni locali tipiche e di qualità. Gli allevatori lucani vivono un momento di grande difficoltà. I prezzi del bestiame alla stalla sono sempre in discesa mentre i costi onerosi creano ostacoli e problemi alla gestione delle imprese e il consumo di carne fresca è in calo. Una situazione complessa che richiede interventi e azioni efficaci prima di tutto per rassicurare i consumatori. Non si può dimenticare infatti il conto “salatissimo” che il Paese ha già pagato per colpa degli allarmi alimentari veri o presunti degli ultimi dieci anni: tra “mucca pazza”, aviaria e “batterio killer” il bilancio dei danni della “paura a tavola” supera la cifra record di 5 miliardi di euro. Non si sottovaluti che la stragrande maggioranza degli allevamenti sono localizzati nelle aree interne e svantaggiate che proprio grazie alla individuazione di razze autoctone sono riusciti ad operare in questi ambiti territoriali altrimenti destinati al degrado ed all’abbandono. Bestiame, in linea con le disposizioni sanitarie e con le norme per il benessere degli animali, in grado di resistere alla prolungata assenza di pascoli verdi, alle forti escursioni termiche, alla carenza di acqua, alle zone d’ombra, alla transumanza ed alla carenza di servizi ed infrastrutture. Animali che nel tempo hanno maturato spiccate doti di frugalità e rusticità e mantenute inalterate le percentuali di fertilità. La Cia inoltre rilancia la necessità di un Piano di sanità animale che preveda una sede di concertazione e di governo unitario, il potenziamento del sistema sanitario sia a livello centrale che della Regione e uno stretto controllo e monitoraggio delle possibile nuove malattie.