Nonostante i tentativi di sminuirne la portata, a novantadue anni di distanza Bernalda non dimentica i luttuosi eventi del 31 gennaio 1923, quando durante un violento scontro fra fascisti e nazionalisti persero la vita tre persone e molte altre rimasero ferite. E tutto questo quando stava per attuarsi il tanto atteso e sofferto patto di collaborazione tra le due anime del fascio. Per quel giorno, pura coincidenza o progetto accuratamente preparato da ambedue le fazioni per dimostrare una reale o presunta superiorità, a Bernalda erano stati fissati i raduni delle squadre d’azione fasciste e delle camicie azzurre nazionaliste. Nella cittadina jonica il rapporto di forza tra le due componenti politiche era tutto a favore dei nazionalisti che contavano 600 iscritti fra ex combattenti, reduci, riformisti, contro appena sessanta simpatizzanti del fascio. Il piano dei gerarchi fascisti era quello di punire con una prova di forza la comunità bernaldese che ancora non recepiva le nuove istanze ideologiche, a differenza di altri centri vicini. La cronaca degli avvenimenti è ancora molto viva nella memoria della comunità. Nella prima mattina del 31 gennaio 1923, giunsero a Bernalda squadre fasciste di Irsina, Potenza, Pisticci, Laurenzana, Craco, Taranto e Ferrandina che percorsero in corteo le vie del centro cui seguì la benedizione del gagliardetto locale. Nel pomeriggio l’esplosione di un colpo d’arma da fuoco provocò un violento scontro fra fascisti e nazionalisti, la cui sede venne assediata. Alcuni negozi furono saccheggiati, le case perquisite dai fascisti alla ricerca dei loro rivali e alla fine il bilancio fu di una trentina di feriti e tre morti in diversi angoli del paese: Giuseppe Viggiano, Pasquale Gallitelli e il giorno dopo morì per le gravi ferite anche Maria Di Stasi, colpita mentre stava allattando il suo neonato. L’eccidio suscitò profonda indignazione e Mussolini pretese chiarezza sull’accaduto, affidando l’inchiesta all’ispettore di polizia Paolo Di Tarsia, che utilizzò anche i rapporti del vicecommissario Midolo. Nella sua dettagliata relazione Di Tarsia attribuì le cause degli scontri alla rivalità tra i fascisti di Pisticci-Bernalda e nazionalisti non tanto per motivazioni di ordine politico ma anche per vecchie gelosie, rancori personali e familiari, come anche a motivazioni di ordine sociale tra i contadini-lavoratori nazionalisti e rappresentanti della medio borghesia, che simpatizzavano per il fascio. Gli inquirenti cercarono di individuare i colpevoli, alcuni furono prosciolti, altri condannati a pene lievi, altri ancora usufruirono dell’indulto. Anche la stampa fornì versioni molto contrastanti. Le Petit Parisien di Parigi scrisse in una corrispondenza da Roma che “A Bernalda, provincia di Potenza, in occasione dell’inaugurazione del fascio sono scoppiati tumulti fra fascisti e nazionalisti. Tra i nazionalisti vi sono stati due morti, di cui il segretario politico, e 14 feriti. Tre donne e tre fascisti sono stati gravemente feriti”. L’anno seguente non si parlò più di quanto era accaduto a Bernalda, ormai fascistizzata. La pace e la successiva intesa fra fascisti e nazionalisti era ormai un fatto compiuto.
Giuseppe Coniglio