Ai buoni pasto, che ogni anno muovono in Basilicata un giro d’affari tra 1-1,5 milioni di euro, baristi e ristoratori non vogliono rinunciare. Tuttavia nel gioco al ribasso tra le aziende che erogano i ticket e quelle che li acquistano per i propri dipendenti, i titolari dei pubblici esercizi temono di restare con il cerino in mano. Per questo hanno bussato alle porte della stanza dei bottoni, alla Consip, la centrale di acquisto della pubblica amministrazione, e all’Antitrust. Obiettivo: fare chiarezza sulle regole del mercato. «Quando si fanno gli affari, se guadagna uno solo salta il gioco. E per adesso chi si avvantaggia è soltanto l’azienda che dà i ticket ai suoi dipendenti», taglia corto Lino Stoppani, presidente della Federazione italiana pubblici esercizi di Confcommercio (Fipe).
Come funziona la catena dei buoni? Le imprese, spiega Fipe-Confcommercio, selezionano la società a cui affidare la fornitura di ticket cercando di strappare il miglior prezzo. Per i pubblici esercizi il sostitutivo della mensa è fondamentale per far quadrare i conti. Nelle scorse settimane Fipe ha inviato un esposto alla Consip per richiamare l’attenzione sui comportamenti non allineati ai capitolati delle pubbliche amministrazioni. Inoltre ha fatto denuncia all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha avviato un’indagine.
Non è ammissibile che Consip pretenda di far pagare ai pubblici esercizi i risparmi che con gare appositamente costruite vuol far fare alle Pubbliche Amministrazioni sui pasti dei dipendenti. Siamo, di fatto, in presenza di una ulteriore tassa che lo Stato impone agli esercenti che, loro malgrado, sono costretti ad accettare convenzioni capestro dove a fianco di una commissione normale vengono aggiunti dei “servizi aggiuntivi“, solo formalmente facoltativi, che servono a ripianare le perdite degli emettitori bilanciando così le loro offerte in perdita evidente”.
“E’ questo un sistema che si è avvitato su se stesso – continua la Fipe – dove la pretesa del datore di lavoro Stato di risparmiare a tutti i costi va contro gli interessi dei propri dipendenti e degli operatori commerciali che non possono certamente fornire prestazioni alle quali corrispondono corrispettivi pagati in ritardo ed in modo parziale”.
Proprio perché Fipe crede nella utilità del buono pasto per sostenere e sviluppare i consumi interni e mettere i lavoratori in grado di consumare un pasto equilibrato in un ambiente confortevole ha ritenuto indispensabile agire per cancellare delle storture del sistema riportandolo alla sua valenza originaria anziché fare populistici proclami su una sua monetizzazione che avrebbe l’unica conseguenza di intaccare le condizioni di vita e la salute stessa dei lavoratori.
Il risultato di tutto ciò è che dai bar ai supermercati la protesta è unanime. Nessuno li vuole, anche perché per tracciarli non si usa solo un Pos universale, ma ogni società emettitrice ne ha uno proprio. Di conseguenza più ticket accetti più Pos devi avere, oltre quello unico (almeno questo!) per carte di credito e bancomat. Non si stiano a guardare poi i ritardi nei pagamenti: fino a 120 giorni per i cartacei!
Al governo si chiede almeno di fissare un tetto per le commissioni. E magari se avanza del tempo agli operatori di realizzare un Pos unico. Proseguiamo – dichiara Fausto De Mare presidente Confcommercio Potenza – nella nostra battaglia per far conoscere all’opinione pubblica la realtà dei fatti e per il rispetto del lavoro dei nostri pubblici esercizi associati, ormai esasperati da un fenomeno che si è trasformato in un vero e proprio ricatto. Per questo chiediamo di intervenire radicalmente sul sistema attuale dei Buoni Pasto, per riscriverne le regole di funzionamento e restituire il giusto valore a questo servizio I.n un paese dove si investono fior di miliardi di euro per la promozione e tutela delle produzioni qualificate fra DOP, IGP, STG, ecc la gara al ribasso delle grandi aziende di stato stritola gli esercenti, anche quelli più bravi, costringendoli ad ingenti perdite economiche e a dover limare sui costi delle materie prime. Questa situazione è intollerabile e mentre saremo attenti all’evolversi delle cose e a denunciare ogni ingiustizia, ci auguriamo che i ristoratori e i baristi sappiano “tener duro” in attesa che chi di dovere, intervenga prima possibile con fermezza per porre rimedio alla solita “coperta corta” all’italiana”.