Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso dell’Associazione italiana fisioterapisti della Basilicata confermando così il giudizio già espresso dal Tar con il quale si dava ragione alla Regione Basilicata che, con una delibera del 2012, ha stabilito che il fisioterapista può erogare prestazioni al singolo paziente solo su prescrizione del fisiatra o di medico specialista e che può utilizzare solo alcune apparecchiature elettromedicali. Per il Consiglio di Stato sono da condividere le argomentazioni del giudizio del Tar, che vengono definite come “puntuale e argomentata ricostruzione della normativa” e che “pone in evidenza la centralità e la responsabilità del ruolo del medico nel percorso/progetto/programma terapeutico nell’area della riabilitazione e quindi la previsione del controllo di un medico fisiatra, con la diagnosi, l’individuazione e la prescrizione della terapia, ai fini dell’accesso alle prestazioni riabilitative a carico del S.S.N.”. Lo riferisce in una nota FeNASP Basilicata secondo cui “al di là del merito c’è una sola strada per evitare il contenzioso e il frequente ricorso al Tar da parte di associazioni, professionisti e titolari di strutture sanitarie private accreditate: l’adeguamento della normativa regionale in contestualità con la semplificazione e il superamento del groviglio burocratico troppo spesso di non facile interpretazione. Le due macroaree – Specialistica Ambulatoriale e Riabilitazione-socio-sanitario – vanno riorganizzate subito attraverso composizioni di reciproco interesse e comunque per il bene della collettività che è quello di assicurare un servizio all’altezza delle aspettative dei cittadini.Le questioni che affliggono il comparto sono tante a cominciare da un modello di erogazione vecchio, sottopagato e non al passo con i tempi da preferire invece, un sistema moderno ed efficiente che superi la distinzione tra servizi e strutture di riabilitazione, un sistema virtuoso che merita il dovuto approfondimento. Da tempo – si evidenzia nella nota – FeNASP Basilicata ha sollecitato la Regione a chiarire ruoli e funzioni delle strutture di fisioterapia, recupero e rieducazione funzionale esistenti e di conseguenza dei suoi operatori professionali, in quanto una serie di provvedimenti, di delibere e di leggi, ha creato un groviglio tale che sta diventando oltre che dannoso anche pericoloso sino ad alimentare il contenzioso (non solo al Tar).
Dunque i modelli culturali di base del sistema sanitario si stanno dimostrando inadeguati nei confronti dei cambiamenti profondi della società. Se non si vuol compromettere il diritto alla salute serve un rinnovamento riformatore. Si tratta di combinare e coordinare due ordini di cambiamenti: quelli che riguardano alcune nevralgiche questioni sanitarie (meccanismo di finanziamento, governance del sistema sanitario, modello di azienda e di programmazione, produzione di salute come risorsa naturale, responsabilizzazione del cittadino ,ecc); quelli che riguardano alcune nevralgiche questioni della conoscenza e della pratica sanitaria (apparati concettuali, modelli di conoscenza, contenuti professionali, prassi operative, metodiche di intervento, criteri per fare, per giudicare e per decidere ecc.)
Oggi, nonostante si parli insistentemente di “riforme strutturali”, questo “doppio cambiamento” purtroppo non è nell’agenda della politica. E’ necessario quindi dare corpo ad un lavoro di sensibilizzazione, di discussione e di elaborazione di nuove soluzioni. Invece – rileva Fenasp – da anni assistiamo impotenti ad interventi e comportamenti che non solo non favoriscono l’integrazione pubblico-privato ma che continuano a mantenere in vita un modello vecchio e sprecone di due comparti : specialistica ambulatoriale e riabilitazione e su cui nessuno interviene se non con provvedimenti punitivi per i soli centri accreditati (tagli di budget) invece le Aias, Don Uva, Don Gnocchi, etc. vengono sostenuti, come dimostra la deliberazione di giunta (la DGR n. 1574 del 16/12/2014) con cui si procede all’aggiornamento delle convenzioni a favore di centri e istituti di riabilitazione, prevedendo consistenti incrementi di budget e di tariffe in direzione diametralmente opposta alle misure di contenimento della spesa gravanti sul settore privato accreditato, realizzando una ingiustificata disparità di trattamento tra gli erogatori”.