Non solo vegetali a basso contenuto proteico e meno sale per ridurre il rischio di ictus ma olio extravergine che favorisce il rallentamento dell’invecchiamento cerebrale e legumi che stabilizzano il livello di glucosio nel sangue e di conseguenza permettono di immagazzinare energia pura oltre, naturalmente, al pesce. Sono le ‘cinquanta sfumature’ della dieta amica del cervello. Con l’Expo all’orizzonte e la Settimana mondiale del cervello dietro l’angolo – si celebrerà dal 16 al 22 marzo in tutta Italia – i neurologi accendono i riflettori sull’importanza dell’alimentazione nella prevenzione e cura delle malattie che colpiscono la mente. Se lo slogan dell’Esposizione universale che aprirà i battenti a maggio è ‘nutrire il pianeta’, gli specialisti della Sin (Società italiana di neurologia) lo declinano in ‘nutrire il cervello’. Intanto, un’ indicazione: va bene la tavola ‘green’ e un monito : attenti alle scelte alimentari più estreme. In una fase in cui in Italia (dati Eurispes) si contano 3,8 milioni di vegetariani e 400 mila vegani, il rischio di regimi così stretti come quello vegano che esclude anche uova e latte è che portino a carenze di alcuni nutrienti essenziali . Circa il 50% dei vegani – sottolineano gli esperti – ha bassi livelli plasmatici di vitamina B12. Disfunzioni neurologiche si manifestano quando, in seguito al diminuito introito alimentare di questa vitamina, i depositi corporei si esauriscono. Un ritardo di 5-10 anni può separare l’inizio di una dieta estrema dall’insorgenza dei disturbi neurologici. Alcuni precedenti mostrano scenari pericolosi: “Nella Cuba anni ’90, stretta fra il cessato sostegno dell’Unione Sovietica e l’embargo Usa, si verificò una sorta di epidemia di neurite ottica che si risolse solo integrando la dieta con vitamine B1, B2, B6 e B12”. In considerazione “delle attuali condizioni geo-politiche planetarie e di tendenze culturali sempre più diffuse tendenti al veganesimo, è possibile che nei prossimi anni si assista a un incremento di deficit neurologici dovuti a condizioni carenziali”.
Sono sempre gli esperti a mettere in guardia perché si parla di dieta per il diabete o per le malattie cardiovascolari, meno per le malattie neurologiche: il cibo influenza la salute del cervello, “ci sono indizi da non sottovalutare”, precisano gli specialisti.
Consigli ed accorgimenti ancora più validi nel pasto veloce “riservato” ai lavoratori che devono rientrare in ufficio o in azienda e che non possono permettersi “battute d’arresto” del cervello. Al risto-pub Black Pepper di Potenza, i piatti sono studiati non solo per il palato ma anche per il cervello. Da noi – spiega Antonio Sabia, uno dei creativi della società di ristorazione – non mancano mai verdure, insalate, legumi, almeno due volte la settimana il pesce, in sintesi è la filosofia mediterranea a tavola. Un’alimentazione povera di colesterolo e ricca di fibre, vitamine e antiossidanti presenti principalmente in verdura e di grassi insaturi contenuti nell’olio di oliva, viene collegata da studi di popolazione a una ridotta incidenza anche della malattia di Alzheimer. Compito dello chef è poi quello di far amare le verdure con piatti rielaborati e gustosi sino ad abbracciare la “Neurogastronomia”: come il cervello crea il sapore, vale a dire il rapporto neurobiologia e gastronomia, come un piatto possa divenire buono, seducente, irresistibile, indimenticabile. Uno dei protagonisti è l’olfatto: mentre mangiamo, il cervello modellizza gli odori, con l’aiuto degli altri sensi costruisce la percezione del sapore. I sapori e gli odori hanno inevitabilmente anche un impatto comportamentale, medico e sociale (non solo a tavola).