Antonio Flovilla, presidente ANISAP Basilicata: “Evitare polverone su esami diagnostici inutili”.
L’ennesimo richiamo del Ministro della Salute Lorenzin contro gli esami diagnostici “inutili” che costano all’Italia 13 miliardi di euro l’anno rischia di provocare l’ennesimo polverone nascondendo gli sprechi reali del servizio sanitario nazionale e regionale. Infatti, in un momento in cui la sanità italiana cerca di far quadrare i conti – tenendo conto dei tagli inevitabili al Fondo Sanitario Nazionale imposti dalla spending review- si ripropone il tema degli sprechi e della cosiddetta “medicina difensiva” che altro non è se non l’insieme di esami che, spesso, i medici prescrivono ai pazienti per eccesso di prudenza. Secondo le cifre fornite dal Ministero, in pratica, la medicina difensiva incide per oltre il 10% sul totale della spesa.
In circa 3mila strutture diagnostiche accreditate italiane – alle quali, è bene ricordarlo, le prestazioni sono pagate a tariffa fissa – ci sono poco meno di 30mila dipendenti che aspettano il verdetto finale: se le linee guida datate 2011 – che solo ora si stanno recependo nelle Regioni – saranno applicate alla lettera, come una “norma”, saranno in molti a dover dire addio al loro lavoro. E di questo personale, inoltre, almeno tremila persone stanno seguendo il percorso formativo del triennio per la laurea breve di tecnico di laboratorio e per le altre lauree attinenti a laboratori e ambulatori, senza – a questo punto – sbocchi lavorativi, visto che il privato ha un destino breve e nel pubblico c’è il blocco del turn over. Ma le linee guida sono state scritte in base a quanto previsto dalla Finanziaria 2006, quando cioè la crisi non c’era.
Per questo chiediamo di rivalutare le linee guida, tenendo presenti le esigenze attuali dei servizi sul territorio e soprattutto considerando che, in questo modo, si ridurranno i laboratori a soli punti prelievo e, conseguentemente, si sopprimeranno definitivamente una serie di servizi offerti dalla sanità privata che, come testimoniano i controlli, ha garantito, finora, una levata qualità delle prestazioni erogate.
L’interpretazione delle linee guida da parte delle Regioni e la conseguente trasposizione in atti normativi ha portato a previsioni secondo le quali, nel primo anno della loro applicazione, un laboratorio, per essere accreditato per l’attività analitica, “deve” eseguire almeno centomila prestazioni, che diventeranno duecentomila negli anni successivi. Di fatto, solo una minima parte di laboratori accreditati in tutta Italia (circa il 10%) potrà mantenere questo status.
Le incongruenze di queste scelte sono tante. I nostri laboratori eseguono singolarmente anche oltre 50mila prestazioni l’anno, con una caratteristica fondamentale: la prossimità al paziente. Una necessità di cui si sono rese conto quelle Regioni che, finora, hanno realizzato maxi-strutture centralizzate, ma che hanno dovuto anche creare laboratori intermedi per le urgenze, che davvero non rispettano i parametri imposti dalla spending rewiew.
In più, il tetto delle 100mila prestazioni diventa una meta irraggiungibile, se si pensa che i laboratori accreditati possono erogare per conto del SSN solo una parte delle prestazioni previste dal Nomenclatore.
Riorganizzare è programmare, tenendo conto delle esigenze del territorio!
E questo compito spetta alle Regioni, nella loro autonomia!
Attualmente, purtroppo, solo un dato è certo: l’assenza di programmazione dell’offerta sanitaria sul territorio, unita alla volontà di “eliminare” il privato e di bloccare la sua intraprendenza. Gli erogatori privati sono aperti a tutte le soluzioni che, ovviamente, non comportino la chiusura delle attività, specie se si considerano gli accreditamenti delle strutture che hanno rispettato tutti i parametri di legge prescritti per lavorare con il Ssn.
Se tutte le Regioni (Basilicata compresa) hanno applicato al privato il meccanismo di tetti di prestazioni, come si potrebbero raggiungere gli indici previsti dalle linee guida? Non vogliamo lasciare tutto immutato ma chiediamo un confronto per rileggere le linee guida, riorganizzare davvero il settore e non “abolire” il privato tout court in oltre metà del Paese. L’equiparazione e l’integrazione tra pubblico e privato, già previste nel Dlgs 502/1992, sono principi, a quanto pare, ormai dimenticati!
Il nostro appello, a differenza di quello della Lorenzin, è all’appropriatezza, evirando sia gli sprechi che ingiustificate ed ingiustificabili ‘inadempienze’. Può essere inappropriato sia il prescrivere in eccesso che il prescrivere in difetto. Con riferimento specifico alla Regione Basilicata, siamo costretti a registrare l’accentramento dell’offerta sanitaria attraverso un sistema autoreferenziale che non lascia spazio, se non residuale, al servizio efficiente e di qualità offerto dagli operatori privati. Auspichiamo una inversione di tendenza e, quindi, una rivoluzione “autentica” nel sistema fin qui utilizzato al fine di rendere i migliori servizi all’utenza ed al territorio.