Il “Manifesto del lavoro” nato dalla collaborazione del Centro Studi Sociali e del lavoro di Basilicata e l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Potenza e Matera, presentato nei giorni scorsi, è innanzitutto un bell’esperimento di cooperazione e di partecipazione tra soggetti sociali diversi. È un modo condiviso ed originale di “leggere” le criticità e le potenzialità dello sviluppo regionale dal versante del lavoro e di chi se ne occupa e preoccupa. Ma è anche una comune valutazione, una “ricetta” che può arricchirsi di punti da toccare e da modificare nell’agenda dei provvedimenti e delle cose da fare per rendere centrale il lavoro e le sue urgenze nell’economia e nella dinamica socio-politica locale. È insomma una sorta di network del lavoro aperto ad ogni utile integrazione, costruito per sensibilità e per un comune esercizio di indagine e con l’intendimento di segnalare limiti e proposte derivate dall’esperienza professionale dei partner.
L’obiettivo è quello di sollecitare le Istituzioni, l’opinione pubblica ed i ‘mondi vitali’ della regione sui temi che possono contribuire ad un cambiamento delle dinamiche regionali economiche e del lavoro. Perché questo si verifichi occorre in primo luogo innalzare l’occupazione giovanile e femminile, aumentare la qualità del capitale umano e accrescere la produttività. Ancora, promuovere ed incrementare azioni di politica attiva adeguate a sostenere i processi di reinserimento nel mercato del lavoro, dei lavoratori svantaggiati, espulsi o a rischio di espulsione dai processi produttivi.
L’azione politica regionale deve, dunque, puntare sulla formazione e lo sviluppo delle competenze per allinearle ai bisogni delle imprese, promuovere l’impiego più efficiente del sistema degli ammortizzatori sociali, potenziare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro attraverso la definizione di standard di qualità dei servizi, utilizzare le forme contrattuali più idonee, (in primis l’apprendistato e il tirocinio) e gli strumenti disponibili per la conciliazione fra tempi di vita e di lavoro.
Il ‘Manifesto per il lavoro’ propone un modello di intervento orizzontale: il modello Utrecht (si riferisce ad una realtà prima marginale nel sistema olandese ) che ha portato quel comprensorio tra i primi nelle graduatorie più significative dell’Europa. Esso si basa sul principio del coordinamento tra i diversi soggetti attivi sul territorio, coinvolti in uno sforzo comune per valorizzare al massimo prassi e conoscenze. Il “modello Utrecht’’ coglie alcuni assi fondamentali: pianificazione strategica coordinata, centralità del sistema universitario e della ricerca, valorizzazione dei servizi innovativi a sostegno dei principali operatori economici del Paese che transitano per il territorio (piattaforma logistica).
Il documento del Centro studi sociali e del lavoro e dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, inoltre, approfondisce “l’area delle politiche attive del lavoro e della formazione”, incentrata sui temi del lavoro dei giovani, della formazione integrata, delle misure dell’apprendistato e del tirocinio, dell’aggiornamento permanente e del riordino dei Servizi per il lavoro.
Segue “l’area sociale del lavoro” comprensiva di una concezione del lavoro come dimensione d’inclusione sociale e protezione sociale.
Il terzo blocco di approfondimento approccia il tema della “innovazione e creatività nelle imprese”, quale strumento attuale e necessario ai fini dell’incremento dell’occupazione e della produttività del territorio.
Infine il documento, nel quarto blocco di studio dedicato alle “innovazioni del secondo welfare aziendale”, suggerisce strumenti quali: il contratto di rete tra aziende, capaci di garantire non soltanto risultati soddisfacenti in termini di crescita e di innovazione dei processi produttivi, ma anche di miglioramento delle condizioni di lavoro e del welfare nelle aziende.
Il ‘Manifesto’ propone una sorta di ‘piano di azione’ per il lavoro che incida nel ‘fuoco’ delle emergenze sociali della regione e per questa via si ritorna ‘a bomba’ sulla necessita di provvedere presto alla prospettazione ,in un solo tempo, delle misure quali il reddito minimo di inserimento ,una nuova batteria di misure per il sostegno del reddito a corredo di quelle nuove derivanti dal j0b act, con una forte finalizzazione di scambio lavoro/reddito/servizi. Ed insieme un piano di rilancio dei Servizi regionali del lavoro basato sulla riforma dei servizi pubblici per l’impiego (SPI) che assuma una visione di sistema per l’erogazione di politiche attive del lavoro. Organo operativo e di attuazione è l’Agenzia per il Lavoro che assumerebbe la funzione di coordinamento e monitoraggio dell’operato dei CPI. Una sorta di condensatore-attuatore delle politiche regionali e nazionali.
Non si tratta, in sintesi, solo di rilanciare la crescita, si tratta di cambiarne in corso d’opera qualità e natura, ponendo le basi di un nuovo modello di sviluppo. I campi di estrinsecazione di una progettualità di questo genere sono molteplici, dalle reti alla ristrutturazione urbanistica delle città, dalle infrastrutture alla riqualificazione del territorio, dai bisogni emergenti – attinenti all’infanzia, l’adolescenza, la non autosufficienza – al rilancio del welfare state.
Giancarlo Vainieri, Presidente Centro studi sociali e del lavoro di Basilicata