Inaugurata nel pomeriggio di giovedì 2 aprile a Matera nei locali in via delle Beccherie 41 la mostra “25 anni di Tricromia: 100 opere per 100 giorni”. La mostra resterà aperta fino al prossimo 30 aprile dal martedì al sabato di mattina dalle 10 alle 14 e nel pomeriggio dalle 16 alle 21, mentre la domenica è previsto l’orario continuato dalle 11 alle 20.
La mostra rappresenta un omaggio a Matera, capitale europea della cultura nel 2019 e alla terra di Basilicata da parte della gallerista lucana Giuseppina Frassino, che da oltre 25 anni porta avanti la sua appassionata ricerca sul disegno e l’illustrazione, confermando il proprio ruolo sulla scena italiana delle gallerie specializzate.
Dal cuore di Roma la galleria d’arate Trictomia sbarca alla città dei Sassi per esporre i disegni dei migliori artisti e disegnatori che sulle sue pareti hanno scritto, portando ognuno i propri respiri e la propria armonia. Tra gli altri ricordiam Altan, Mattotti, Toppi, Bucchi, Pericoli, De Loustal, Igort, Luzzati, Matticchio, Gipi, Mannelli, Toccafondo e Ricci.
La mostra presenta il “Libro unico d’Artista” di Tullio Pericoli e Simone Massi ed i raffinati Pop Up di Maurizio Quarello, tratti dal Manuale di Zoologia fantastica di J. L. Borges. Ogni Libro d’Artista è un esemplare unico, e sarà proprio il suo fruitore, il collezionista che l’avrà scelto, a deciderne il destino, facendone un quadro o il tesoro di uno scrigno, secondo il suo desiderio.
Una sezione della mostra è dedicata anche al cinema. Nella città dei Sassi, già set a cielo aperto di importanti produzioni internazionali la galleria Tricromia presenta “Bacinema”, per raccontare i baci più sensuali della storia del cinema. Attimi indimenticabili, immortalati da 20 artisti internazionali e pubblicati dalle edizioni Tricromia con la prefazione di Vincenzo Mollica. Un’inedita collettiva che con un personale segno grafico reinterpreta film come La dolce Vita, A qualcuno piace caldo, Nostra signora dei Turchi, Duello al Sole, Colazione da Tiffany, Anna Karenina e Via col Vento con il suo indimenticabile e più lungo bacio della celluloide. Un viaggio sentimentale tra cinema e fumetto da non perdere.
“Libro d’artista” a cura di Giuseppina Frassino
In questo progetto ho seguito l’istintiva tendenza a non seguire le tendenze.
Oggi, grazie alla rete, è possibile accedere alle immagini delle opere di ogni artista, opportunità che ritengo parte integrante di una sana democrazia culturale, ma allo stesso tempo la loro fruizione attraverso il libro sta diventando quasi una controtendenza.
Per questo voglio rendere unici i libri che produrrò come Galleria Tricromia, ancora più materici di quanto non fossero quelli prodotti come editore (di controtendenza appunto).
Mi piace l’idea che il Libro d’Artista, per la propria unicità, rimarchi il dissenso verso una fruibilità superficiale. Noto per le Avanguardie Storiche, ma nato molti secoli prima, esso è antico e moderno al tempo stesso. Senza citare Codici Miniati, Bibbie o Incunaboli, vorrei solo ricordare Liber Sine Nomine (Petrarca, 1470), lo splendido titolo, che, con la semplice assenza del nome, concede la grande libertà di immaginare.
Aiutata dalla complicità di un collezionista, ho studiato fogge e materiali, ho esaminato rotoli, blocchi, scatole, fisarmoniche, rilegature fatte con la lana, la cera e cordami di natura oscura.
Alla fine sono arrivata a una conclusione fondamentale: il Libro d’Artista lo fa l’Artista.
Così ho deciso di mettere a disposizione di quest’ultimo un contenitore, un mezzo, una partenza, da personalizzare liberamente. L’opera che conterrà sarà un corpo unico e unico sarà l’esemplare al suo interno, Sine Nomine.
Apre questo percorso sperimentale Simone Massi.
L’ho scelto perché toccante, sobrio e quasi francescano. Gli autori che seguiranno lo ringrazieranno come apripista, aggiungendo alla collezione forse scritti o fogli sparsi, supporti digitali al disegno o alla pittura.
Ogni Libro d’Artista sarà un esemplare unico e sarà proprio il suo fruitore, il collezionista che l’avrà scelto, a deciderne il destino, facendone un quadro o il tesoro di uno scrigno, secondo il suo desiderio.
La recensione del “Il bacio nel Cinema” di Vincenzo Mollica
Bella l’idea di Tricromia, galleria che sa far vivere l’arte con limpida passione, di dedicare una mostra al bacio nel cinema invitando gli artisti del mondo del fumetto a far rivivere con la sensibilità delle loro matite le scene dei film che hanno amato. L’ispirazione nasce dal finale di Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, il risultato è un viaggio sentimentale tra cinema e fumetto. Se poi c’è stato anche un bacio tra queste due arti, la discrezione ci impone di non indagare. Ma è bello pensare al cinema e al fumetto come due innamorati quasi coetanei che s’inseguono, s’incontrano, si lasciano per poi riprendersi in una meravigliosa vita centenaria. La colonna sonora che si adatta perfettamente a questo instancabile innamoramento è una canzone-capolavoro di Ivano Fossati che si intitola: Il bacio sulla bocca.
“Bella che c’importa del mondo. Verremo perdonati te lo dico io da un bacio sulla bocca un giorno o l’altro”.
Tutti i disegnatori coinvolti in questa antologia hanno disegnato da innamorati il lampo cinematografico che ha baciato la loro mente. Manca un solo disegno all’appello di questa mostra, un disegno poetico di Franco Matticchio, che temendo gli strali della Disney ha deciso saggiamente di non pubblicare, ma che si può raccontare. In una vecchia sala cinematografica di provincia sul grande schermo il principe azzurro , bacia Biancaneve. A godersi lo spettacolo, unici spettatori, i sette nani sparsi nella sala avvolti nella loro malinconia per un bacio mai dato.
Vincenzo Mollica
Recensione Luca Raffaelli per Simone Massi
Ci sono odori che sono dentro di noi. Non sappiamo neppure se li abbiamo mai percepiti, ed eventualmente quando. Magari è accaduto negli anni in cui le esperienze contano e non si ricordano. Oppure no. Oppure sono odori che vengono da più lontano, odori dei nostri padri e madri, dei nostri nonni, odori di terre antiche e di epoche lontane. Odori di fotografie senza età, con i bordi mangiati dal tempo, con la carta ingiallita, con le scene sbiadite. Perché ci sono anche scene che sono dentro noi. Che non sappiamo bene se le abbiamo viste davvero, se davvero c’eravamo. Eppure sono dentro, non c’è dubbio, anche se non le conosciamo, anche se non le ricordiamo davvero. E poi ci sono i caldi, i freddi e i venti, e i raggi del sole che sono dentro di noi. C’è l’apertura di una porta di legno (bagnata dalla pioggia, forse) il cui suono (quello della cerniera che cigola) ci mette in contatto con qualcosa, perché c’è sempre qualcosa prima di una porta e qualcosa che la porta nasconde. Simone Massi con i suoi disegni, con le sue animazioni, ci trasporta in un mondo che è suo e che è anche misteriosamente nostro, in cui riesce a mostrarci quello che altrimenti rischiavamo di perdere. Entriamo così, grazie a lui, in un luogo di memorie perdute, di meraviglie lontane, di attimi sospesi, di rivelazioni improvvise, di collegamenti con immagini sognate. Non ci prende per mano, non ci accompagna: piuttosto si permette di sussurrarci che forse abbiamo smarrito qualcosa, che un brandello di memoria potrebbe ricomporre un tassello all’interno del nostro mosaico di sensazioni e di emozioni che portiamo sempre addosso, che guida la nostra vita. Un uomo con il cappello si copre gli occhi con l’avambraccio per difendersi dal sole. Dove l’abbiamo già visto quell’uomo? E quel cappello? Siamo stati noi? E dove eravamo? Simone non era con noi, questo è certo. Eppure lui ha capito, anche in quel disegno, che da quell’immagine, da quell’emozione, nessuno è escluso.
Recensione di Beppe Sebaste per i “Paesaggi in breve” di Tullio Pericoli
Cammino dentro i “paesaggi in breve” di Tullio Pericoli, da qualche parte tra Twombly, Cézanne e Ambrogio Lorenzetti, vago e divago come in un libro che non finisce, o come in una poesia del grande Wallace Stevens: “Nella mia camera, il mondo è al di là del mio intelletto; / Quando cammino vedo che si compone di tre o quattro /colline e di una nuvola”. Da dove viene tanta bellezza, mi chiedo mentre non cesso di guardarmi intorno, perché tanta felicità estetica?
Dovrei nominare le delicatezze sublimi dei colori e del tratto, tutto il lessico giocoso e sapiente della pittura (punti, linee, superfici, colpi di pennello e di dita, impronte digitali), ma questi paesaggi mi parlano anche molto di scrittura: lo scrivere con le mani, l’arte di tracciare segni e bassorilievi a volte impercettibili ma non virtuali; e quell’altra scrittura della terra e nella terra, campi coltivati e anch’essi “manoscritti”, patchwork di idiomi e di grafie, come stoffe fatte di scampoli di diverse tessiture; terre, non a caso di rasserenante bellezza, cucite di una babele di scritture, di epiche e di lingue. Per esempio i vigneti e gli oliveti delle Marche e del Chianti, gli stessi dello sfondo di Allegoria del Buon Governo, colline come pagine immense di libri aperti, libri la cui lingua non sempre sappiamo leggere, ma che riconosciamo appunto scritta, punteggiatura compresa – cipressi a fare punti esclamativi, puntini e macchie di sospensione, boschive e d’inchiostro…
Come un volto è tale proprio perché scritto, così il paesaggio, che ne è forse (e non solo per Pericoli) modello intercambiabile.
Paesaggi “in breve”: in letteratura la brevitas, o breviloquentia, il “dire molto con poco” (l’opposto della magniloquentia) richiama lo stile semplice e morale, “piano” ma acuminato (gli “acumina” erano figure di ingegno nella retorica stoica e poi barocca). Ma fra le tante associazioni di idee che mi suscita prevale qui la somiglianza con l’haiku, la breve anzi fulminea poesia giapponese che è epifania del “qui e ora”, testimonianza dell’eccezionalità dell’ordinario, forma zen dell’idillio (un idillio in breve). “Idilli” erano i Canti del marchigiano Giacomo Leopardi, letteralmente “quadretti”, paesaggi di un mondo esterno e interno, soglie dell’anima, come è il caso della più celebre (e più bella) poesia italiana sul paesaggio, l’Infinito. Negli idilli del marchigiano Pericoli, come nell’haiku e nell’idillio leopardiano, la valorizzazione dello spazio coincide con una logica che annulla le dualità – la forma è vuoto e il vuoto è forma, il questo è il quello, il qui e ora è il perdersi nell’immenso – ma non la meraviglia di ciò che accade. L’arte dell’haiku (e dell’idillio) è arte dell’apparire, qualcosa di radicalmente diverso dalla rappresentazione. Se rappresentare è un atto luttuoso e funebre che celebra ciò che non c’è più, che è stato, o che ci sarebbe; far apparire celebra al contrario i gioiosi tratti di pennello che rivelano se stessi e il mondo, colori e forme, segni e tracce e impronte di vuoto o di pieno, di nudità, di presenza, linee curve e verticali, oblique, orizzontali; calligrafie; paesaggi e terre. E’ questa la felice magia degli acquerelli (e degli oli) di Tullio Pericoli, dei suoi paesaggi in breve.
La fotogallery della mostra “25 anni di Trictomia: 100 opere per 100 giorni” (foto www.SassiLive.it)