Padre Basilio Gavazzeni, parroco della chiesa di Sant’Agnese, ha presentato in mattinata il mosaico di Marko Ivan Rupnik, inserito all’interno della cappella in carparo (tufo leccese) grazie ad un grande lavoro collettivo realizzato tra venerdì 8 e sabato 9 maggio. “Una grande opera internazionale da ammirare in una zona periferica della città di Matera. Questo è il mio omaggio a Matera capitale europea della cultura. Mi riferisco al concetto espresso da Papa Francesco quando parla di periferie sensibili per ricordare che quest’opera si inserisce in un contesto particolarmente difficile, dove ci sono persone che ogni giorno fanno i conti con l’indebitamento e l’insidia usuraia. Quest’opera, che richiama dalla mattina a tarda notte centinaia di fedeli, arrriva da una chiesa locale, la parrocchia di Sant’Agnese, testimone di 40 anni di cultura per una serie di interventi che hanno coinvolto tre architetti di fama come Baldoni, Rota e Silipo e per la presenza di numerose opere d’arte. Penso alle ceramiche dell’artista materan Giuseppe Mitarotonda, ai calici in oro che riproducono quelli di Manzù realizzati da un orafo locale, a un ostensorio d’argento, al calice di Claudio Nani, al presepe dell’artista materano Gino Annunziata che riproduce filologicamente i Sassi di Matera con le statue di Ciro Abilitato di Torre del Greco. E oggi presentiamo questo mosaico di Marko Ivan Rupnik, artista e gesuita sloveno. Un’opera che si può ammirare da qualsiasi angolazione, segno che la cultura discende da Dio e non dipende dalle istituzioni, quindi una cultura che non è invischiata in nessun modo con interessi particolari. L’opera è costata 7 mila euro, è alta 2 metri e mezzo ed è larga 2 metri. E’ stata eseguita nello scorso fine settimana a seguito di un contratto stipulato quattro anni e mezzo fa nel Centro Aletti un grande atelier avviato a Roma da Rupnik, che oggi dirige 35 mosaicisti. In quella occasione ho strappato all’artista sloveno la promessa di un’opera d’arte che oggi finalmente possiamo ammirare presso la chiesa di Sant’Agnese. Una grande opera realizata da un’artista di fama internazionale impegnato nell’arte sacra e musiva e che riesce a conciliare la sua vocazione artistica con quella religiosa. Marko Ivan Rupnik è un teorico, un confessore di veglia e di esercizi spirituali, nonchè maestro di consulta della cultura presieduta in Vaticano dal Cardinale Ravasi. Marko Ivan Rupnik è diventato popolare perchè a lui hanno commissionato la realizzazione del logo del Giubileo della Misercordia, logo presentato nella scorsa settimana. L’artista ha deciso di abbandonare il pennello per afferrare il martello e tutti gli strumenti del mosaicista, una scelta ambiziosa per avviare un confronto con la pietra.
L’opera è stata realizzata tra venerdì pomeriggio e sabato mattina, in nove ore da cinque mosaicisti: un sacerdote spagnolo, una suora cinese, un operaio serbo padre di famiglia, un romano prossimo alle nozze e una monaca ortodossa slovena, docente di mosaico a Belgrado, che ha svolto il ruolo di capo mastro. Sono stati utilizzati otto quintali tra smalti, pietre, ciottoli, graniti e marmi di diversi colori.
La scelta di realizzare quest’opera nasce dalla volontà di realizzare qualcosa per i giovani che prematuramente perdono la vita a causa di una malattia o di un incidente stradale. In particolare questo mosaico è voluto in memoria di Nicola Bruno, campioncino quattordicenne morto undici anni fa in una prova di go-kart ed naturalmente dedicata a tutti i ragazzi “sommersi da morte acerba”, per citare Virgilio o anche Primo Levi. Sulla targa che sarà realizzata da Peppino Mitarotonda sarà inserita questa frase: “Beato il popolo che il Signore come Dio” – Sal 144,15.
Quest’opera è il frutto di una intuizione profetica e rappresenta la testimonianza di una cultura di perfetta gratuità. E’ stata voluta per favorire la preghiera dei fedeli e diventa uno strumento di benedizione per coloro che raggiungono la chiesa di Sant’Agnese. Il tema dell’opera è la discesa agli inferi di Cristo, in latino “discensus ad inferos”. C’è un Cristo Risorto in abito bianco che secondo la tradizione orientale per compiere il primo atto della glorificazione irrompe nel Regno dei morti per annunciare che ha rotto la schiena alla Morte e grida la liberazione a tutte le anime. Cristo ha un piede puntato sulla sua tomba e un altro all’interno della bocca di un mostro degli inferi, Leviatàn. Cristo affronta la morte con il volto nobile e un corpo che porta i segni della passione, al costato e alle mani. Il mosaico presenta un Cristo con l’aureola composta naturalmente da oro e dipinta di rosso, il colore che nel primo millennio, prima che arrivasse la nuova pittura di Giotto e di Duccio della Buoninsegna, era considerato il colore della Divinità. Il colore rosso non era adatto agli uomini e non riguardava nemmeno i martiri, era il colore di Dio, il Signore del sangue e della vita. Nella scena del mosaico Cristo afferra dal polso Adamo ed Eva, i progenitori della vita umana. In questa scena affiorano anche due bambini, per richiamare la dedica dell’opera ai giovani che perdono la vita a causa di terribili malattie o incidenti stradali. Inoltre si notano le fauci di uno dei due mostri degli inferi: si tratta di Leviatàn, che assieme a Behemot sono i mostri descritti nel libro di Giobbe ai capitoli 40 e 41. Siamo nello Sheol, l’inferno ebraico, in cui trovano spazio terribili coccodrilli. Cristo mentre afferra Adamo ed Eva ha lo sguardo diretto negli occhi del coccodrillo e per renderlo impotente interpone la croce tra le fauci mentre un piede trattiene con la forza una parte della sua dentiera. Non è il solito mosaico kitch bigotto che si trova in tante chiese, anche di questa città. E non c’è nemmeno una data e una firma. Rupnik ritiene infatti che l’opera non è sua ma è il frutto di un dono divino e pertanto va donato agli altri senza attribuirsi meriti. Rupnik è inoltre convinto che occorre affermare la coralità di un’opera d’arte. Non siamo di fronte ad un pittore occidentale individualista ma ad un artista che lavora in comunione con i suoi allievi. Ho notato anche che non hanno utilizzato guanti per l’installazione. Mi hanno spiegato che il marmo e le pietre hanno un’anima e per utilizzarli al meglio li devi conoscere e assecondare, devi prenderli per il verso giusto. Un’opera che si inserisce perfettamente nella nicchia realizzata utilizzando il carparo, il tufo di Lecce, materiale che ha una doratura naturale in sintonia con il mosaico di Rupnik.
Don Basilio sottolinea anche il grande lavoro svolto dai cinque mosaicisti: “In questo mosaico c’è tanto oro ma nessuno può pensare di portarlo via perchè è appoggiato all’interno di strati di vetro. La presenza dell’oro richiama i Bizantini, che lo utilizzavano in chiesa per favorire l’illuminazione grazie ad una fiammella lingueggiante. Una scena bizantina si può trovare in una piccola chiesa rupestre oppure in un grande chiesa russa ortodossa. Un mosaico come questo è un simbolo di Dio e brilla di luce propria. Per questo è possibile ammirarlo in tutto il suo splendore con le prime luci del mattino, con il sole di mezzogiorno, al crepuscolo e persino a mezzanotte, grazie all’illuminazione pubblica”.
Michele Capolupo
La fotogallery del mosaico realizzato per la chiesa di Sant’Agnese (foto www.SassiLive.it)