Il 3 agosto 1935, ottanta anni fa, il confinato Carlo Levi raggiungeva Grassano. Nessuno avrebbe allora potuto immaginare quale contributo questo intellettuale torinese sarebbe derivato per una adeguata e rispettosa conoscenza del Sud, e del territorio materano in particolare, dalla stesura del suo romanzo “Cristo si è fermato a Eboli”. A proposito dei “Sassi di Matera”, sconvolge la lettura turbata dell’impressione drammatica che la sorella di Levi riportò in occasione di una visita al fratello. Ma certamente Levi e sua sorella non furono i soli a rimanere colpiti dalle condizioni di povertà estrema degli abitanti dei Sassi.
L’articolo, di seguito trascritto, precede di ben sette anni l’arrivo di Levi in questi luoghi e conferma la sensazione di angoscia e di sdegno che il forestiero provava nell’attraversare i vecchi rioni di Matera.
È mio desiderio offrirlo in lettura, affinchè questo compìto resoconto ribadisca, da altro versante, il grande merito che lo scrittore torinese ebbe nel porre all’attenzione internazionale la miseria, ma anche l’umanità di un territorio e dei suoi abitanti.
da “Il lavoro d’Italia agricolo”. Rivista mensile, domenica 16 settembre 1928, anno VI
La nostra indagine sulla vita dei rurali. I contadini della provincia di Matera
Di tutta l’Italia, son forse i contadini della provincia di Matera quelli che si trovano in peggiori condizioni di tutti gli altri. E pensare che sotto i Governi liberali e democratici che precedettero l’avvento del Regime Fascista, la Basilicata ebbe un’apposita legislazione e persino un Commissario straordinario governativo, appunto per favorire l’incremento e lo sviluppo agricolo industriale del paese. Anzitutto, in conformità di quanto avviene in gran parte del Mezzogiorno d’Italia, non essendo possibile in buon numero di casi la permanenza stabile in campagna, anche in provincia di Matera la maggior parte delle abitazioni rurali si trovano in città. Per quanto riguarda la popolazione rurale abitante nel capoluogo di provincia, essa è alloggiata in numerose caverne scavate nella nuda pietra e sovrapposte le une alle altre, come le celle di un’arnia, nel cosidetto “sasso”. Il “sasso” è costituito da due ammassi rocciosi dalla forma approssimativa di due scodelle unite pei bordi. Tutto in giro sulle pareti di questa specie di scodelle sono scavate delle grotte contigue e sovrapposte le une alle altre a più ripiani. Sulla volta delle grotte del primo ripiano è scalpellata la rampa per accedere al secondo piano ripiano, cosicchè questa rampa che si inerpica lungo le pareti della roccia, se venga tagliata a mezza costa, ha, da un lato, e cioè a monte, gli ingressi delle grotte del secondo ripiano e, dal lato a valle, tutta una serie di comignoli fumosi che denunziano il focolare della cucina delle grotte sottostanti.
Visto di fronte, il sasso con gli innumerevoli ingressi delle caverne sembra un mostro infernale dalle mille occhiaie vuote dentro cui invece vive e si agita una brulicante umanità. Le caverne ricevono aria e luce soltanto dalla porta e quindi l’aereazione e l’illuminazione vi fanno assoluto difetto, tanto più che quelle popolazioni rurali, vuoi per miseria, vuoi per altra ragione, raramente fanno uso di illuminazione artificiale.
L’ambiente è quasi sempre unico e serve, ad un tempo, da cucina e da camera da letto.
Inoltre quasi sempre serve anche da stalla pel ciuco – indivisibile compagno del contadino materese – e il fienile. Il letame viene raccolto a parte e, una volta la settimana, viene portato in campagna.
È facile immaginare la sporcizia e il lezzo di queste povere dimore dove le famiglie dei contadini di Matera passano la maggior parte della giornata. Aggiungasi che le grotte sono malsane e lasciano insudare umidità, che i viottoli davanti alle case sono carichi di immondizie e di scoli di acque luride provenienti dai piani superiori e si avrà, in tutta la sua desolante miseria, un quadro abbastanza esatto della situazione. Nella provincia, o meglio nell’agro di Matera, i contadini vivono meglio che nel capoluogo sebbene anche in questo caso siano alloggiati in vani dove l’aria e la luce difettano e si verificano sovente casi di coabitazione con animali domestici.
L’approvvigionamento idrico avviene per mezzo dei pozzi e talvolta anche per mezzo di cisterne. A Matera città vi è l’acquedotto. L’acqua è ordinariamente sufficiente ai bisogni della popolazione rurale, ma nelle annate siccitose l’approvvigionamento idrico lascia molto a desiderare. Il pane si consuma rafferma e viene fatto in media una volta la settimana. Le pagnotte si usano molto grandi da due a cinque chilogrammi. Il consumo medio di pane fatto da contadino adulto in piena attività di lavoro è in media di milleduecento grammi al giorno, ne sembra vi sia stato alcun progresso rispetto all’anteguerra. In genere i contadini mangiano carne una volta a settimana e fanno tuttora un consumo discreto di pesci salati. Per quanto riguarda i vestiti è facile constatare un certo progresso rispetto all’anteguerra soprattutto per quanto riguarda i giovani. Le malattie che più comunemente colpiscono i contadini della provincia di Matera sono le forme reumatiche e le malattie delle vie respiratorie. Inoltre nel dopo guerra non sono mancati casi di febbre tifoide soprattutto nelle annate molto siccitose in cui i contadini sono costretti a servirsi di acque non pure. Anche la tubercolosi è segnata fra le malattie delle masse rurali e non mancano neppure casi di malattie celtiche. La malaria dal 1920 in poi ha subito una costante diminuzione, grazie a numerosi fattori fra cui è da annoverare la profilassi chininica che viene eseguita regolarmente per quanto non manchino proprietari che si rifiutino di provvedere preparati chinacei.
L’emigrazione dei contadini è nulla o assai trascurabile. In ogni caso è temporanea. Le donne non partecipano ordinariamente ai lavori campestri e vivono – come si è detto – ordinariamente in città. Solo in occasione di lavori straordinari come la mietitura e la trebbiatura, anche le donne danno il loro contributo di operosità. Le donne dei contadini si adattano all’allevamento mercenario come pure vanno a servizio presso i civili. Il sentimento di famiglia è forte e saldo, l’autorità paterna viene nel maggior numero dei casi rispettata, e i costumi si mantengono morigerati. I matrimoni sono molto fecondi. I casi di concubinato sono estremamente rari. L’acquisizione di piccole proprietà rustiche non è molto frequente, purtuttavia si verifica di tanto in tanto contribuendovi gli emigrati di ritorno. Il fenomeno è più accentuato nel dopoguerra. L’analfabetismo è assai diffuso per la mancanza di scuole rurali. Quindi nelle stamberghe dei contadini non penetrano ne libri ne giornali che portino la luce dell’intelletto. L’insegnamento professionale dei giovani contadini viene impartito a cura delle cattedre ambulanti, ma i corsi relativi non sono frequentati come dovrebbero.
Alfonso Ciuffolini