La crisi economica che investe il nostro Paese si riflette anche e soprattutto sul settore primario e, in particolar modo, sull’agricoltura. Il mondo agricolo, quindi, con tutte le sue componenti, non è una delle cause della crisi, ma è una delle vittime delle politiche nazionali ed europee, compresa quella regionale; politiche che hanno sposato a pieno la cosiddetta globalizzazione, anzi, l’hanno allargata al settore primario esponendolo alle rapine delle multinazionali, dei poteri forti e dello spietato comparto di trasformazione e commercializzazione dei beni alimentari . Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: prezzi dei prodotti agroalimentari in azienda stracciati, se non addirittura zero quando la produzione resta invenduta; prezzi degli stessi beni, o derivati da essi al consumatore, triplicati, se non addirittura dieci volte maggiore. Per cui ci si trova di fronte al paradosso: “gli agricoltori produttori sostengono tutti i costi e tutti i rischi della produzione, guadagnando poco, se non andando in perdita; al consumatore vengono imposti prezzi da quattro a dieci volte il costo di produzione”. Conseguentemente il valore aggiunto dei beni agroalimentari finisce nelle mani, il più delle volte sporche, dell’industria di trasformazione e di commercializzazione che. Per non parlare poi delle speculazioni finanziarie fatte su beni e prodotti derivati di prima necessità: il prezzo del grano a Luglio si attestava intorno ai 30€ al quintale, in questi giorni sta perdendo quota. Le politiche agricole a tutti i livelli, invece di programmare produzioni e garantire reddito ai produttori agricoli, plaudono e sostengono la libertà d’impresa e la concorrenza sleale danneggiando sia i produttori che i consumatori. Il potere d’acquisto degli agricoltori nell’ ultimo quinquennio è passato da 100 a 30, ovvero i prezzi dei mezzi tecnici sono aumentati mediamente del 20%, mentre i prezzi di mercato dei prodotti agricoli in azienda sono diminuiti tra i 10 e il 15% . Le conseguenze dirette di tali situazione e scelte sono sotto gli occhi di tutti: mentre nel 2000 gli addetti stagionali giornalieri erano circa 2000, oggi non superano i 1400. Sempre nello stesso periodo da 5000 aziende agricole si è passati a non più di 2300. Tutte chiuse o fallite oppure affogate dai debiti contratti con le banche. Dov’era e dov’è la classe dirigente europea, nazionale e regionale, mentre il nostro territorio e la nostra economia vengono depauperati ed abbandonati? Dov’è la regione Basilicata di fronte alle richieste di migliorare i servizi in agricoltura come quelli in capo al Consorzio di Bonifica? Quali sono le scelte di politica agraria, della Comunità europea e della regione finalizzate a ridurre i costi aziendali? Quali le iniziative del settore pubblico per valorizzare le nostre produzioni agricole?. Quali gli interventi a sostegno della piccola e media azienda agricola per assicurare reddito e stabilità a chi in essa organizza e lavora? Quali le misure e gli interventi dello Stato e della Regione per tanti prodotti invenduti che marciscono nei campi mentre potrebbero essere raccolti, trasformati e dati in beneficienza o immessi sul mercato a prezzi minimi al fine di garantire la copertura dei costi del produttore e minime spese per il consumatore? Per non parlare poi dei ritardi, dei lacci e lacciuoli della burocrazia soffocante la cui vitalità è legata al connubio con la classe dirigente a tutti i livelli con conseguenze disastrose sul mondo agricolo che intende continuare a produrre guardando lontano. Che dire poi della disastrosa politica di programmazione e di investimento dei fondi europei a favore del settore primario?; la Regione Basilicata riesce a spendere appena il 60% dei fondi del P.S.R. , mentre la restante parte non si capisce bene dove va a finire. Di quel 60%, alle aziende agricole arrivano solo le briciole, il resto viene finalizzato a finanziare attività che producono poco in termini di sviluppo ed occupazione, per cui va rivisto il binomio spesa-efficienza, ma soprattutto va ripensata la spesa pubblica alla luce della nuova idea che si fa strada fra gli agricoltori che è quella “dell’agricoltura sociale”; quell’attività cioè che impiega le risorse materiali e immateriali del mondo agricolo per assicurare reddito, promuovere l’inclusione sociale di persone svantaggiate o che non trovano lavoro. Va, cioè, istituzionalizzato attraverso regolamenti e direttive comunitarie, leggi nazionali e regionali il principio che “ l’agricoltura è settore non solo con funzione economica ma anche sociale,occupazionale e di tutela dell’ambiente.” E in questo senso va rivisto, con una nuova normativa, il rapporto fra il comparto prevalentemente produttivo di beni agroalimentari e il comparto della conservazione, trasformazione e commercializzazione al fine di riconoscere la funzione sociale di chi produce (agricoltori). Va di fatto riconosciuto all’agricoltura il ruolo prioritario nel processo di sviluppo e di progresso sia nelle società avanzate che in quelle in via di sviluppo. Il Meridione d’Italia e, in particolar modo la Basilicata, ha tutti i requisiti per essere inclusa in un nuovo modello di sviluppo agroambientale sostenibile in cui l’agricoltura sia fattore di crescita e di progresso materiale e morale.