Il giornalista Domenico Notarangelo ha inviato una lettera al sindaco di Matera Raffaello De Ruggieri per ricordare che c’è una pagina di storia da chiarire e c’è un tradimento da riparare: tutto risale al 10 maggio 1799, quando il cardinale Fabrizio Ruffo, alla testa delle orde calabresi della Santa Fede, sferrò l’attacco contro Altamura, la “Leonessa di Puglia” che difendeva la causa giacobina e la rivoluzione napoletana. Di seguito la nota integrale.
Caro Sindaco,
c’è una pagina di storia da chiarire e c’è un tradimento da riparare: tutto risale al 10 maggio 1799, quando il cardinale Fabrizio Ruffo, alla testa delle orde calabresi della Santa Fede, sferrò l’attacco contro Altamura, la “Leonessa di Puglia” che difendeva la causa giacobina e la rivoluzione napoletana.
Di tale circostanza storica sono indotto a scrivere dopo la lettura di un recente scritto di Michele Saponaro, operatore culturale sensibile e uomo di coerenza politica, il quale ha ricordato quell’evento di oltre due secoli or sono.
In quell’occasione ci fu un grave strappo nei rapporti fra Matera e la città pugliese. Migliaia di Materani infatti si misero al seguito di Ruffo nell’attacco contro Altamura.
In un libro da me scritto e pubblicato tre anni fa, La Rivoluzione Napoletanta del 1799 in Puglia e Basilicata, ho parlato a lungo di quella storia e ho dovuto farlo con la morte nel cuore di fronte alla scoperata che in quell’occasione Matera si coprì di vergogna, prendendo le armi contro i fratelli pugliesi. Io mi sento a pieno titolo materano, anche se acquisito essendo pugliese di nascita, e mi addolora dover ammettere che in quell’occasione la mia città si vestì di tradimento verso Altamura, contribuendo al sacco e alla distruzione di una civiltà centenaria ad opera di briganti calabresi e di borbonici fanatici.
Con quella storia bisogna tornare a fare i conti almeno per due ragioni, essendo rimasti in sospeso per così lungo tempo: innanzitutto un atto riparatore di Matera nei confronti di Altamura, e in secondo luogo precisare il giudizio sul cardinale Ruffo che si coprì di condotta vergognosa e sanguinaria verso il popolo altamurano.
Per il primo caso non si tratta di andare a Canossa col capo cosparso della cenere del pentimento come Enrico IV nel 1077, ma con dignità bisogna ricucire quello strappo e chiedere perdono per quella antica colpa. Si prenda esempio dalla Chiesa.
In quell’occasione migliaia di Materani, al seguito dei briganti calabresi, parteciparono al sacco di Altamura e al massacro del popolo altamurano, e depredendo le abitazioni di masserizie e di tesori, riempendo alla fine ben 105 carri per andarli a vendere sui mercati di mezza Italia. Insomma i Materani si comportarono come mercenari, tant’è che Giovanni Bovio un secolo più tardi bollò Matera con una staffilata indelebile: “lotta acerba avvenne fra Matera e Altamura. Ma Altamura combatteva per la libertà e lasciò all’altra il rimorso e l’onta”. Questo rimorso è durato ben più di due secoli, ora è tempo di rimediare e chiedere perdono. Un tale gesto è necessario in primo luogo ai Materani di oggi che hanno saputo riscattarsi da quella vergogna con lotte per il lavoro e per la rinascita e costruendo monumenti indelebili fino a diventare Capitale Europea della Cultura 2019. E proprio nel nome della cultura debbono trovare la forza riparatrice riavvicinando le due comunità, la materana e l’altamurana, in un abbraccio di amore solidale.
In sostanza si avanza proposta al neo sindaco di Matera avvocato Raffaello De Ruggeri di rendersi parte diligente nel chiedere al sindaco di Altamura un incontro fra la due istituzioni per rendere ufficiale e solenne l’atto riparatore di Matera verso la città pugliese.
Anche col cardinale Fabrizio Ruffo la storia deve saldare il conto. Senza scomodare le sue molteplici colpe per aver retituito il Regno di Napoli ai sanguinari Borbone, il porporato calabrese deve essere sottoposto al verdetto di un processo per le colpe di cui si coprì proprio ad Altamura. Gli storici coevi, da Ottavio Serena a numerosi altri auterovoli studiosi, hanno scritto che si è trattato di genocidio di massa da lui ordinato nei confronti del popolo altamurano. Oggi li chiamano crimini di guerra e vengono portati dinanzi alla Corte dell’Aia.
Domenico Notarangelo