“Esiste una sola risposta per far ripartire il Mezzogiorno: più agricoltura”. Questo messaggio che la Cia ha rilanciato oggi dall’Expo2015 in Basilicata trova conferme nel dato sulle aziende agricole iscritte alle Cciaa di Potenza e di Matera al terzo trimestre 2015: 17.577 aziende (10.229 in provincia di Potenza e 7.348 in quella di Matera) con una perdita di 317 aziende rispetto al terzo trimestre 2014. E’ la riprova – ha sottolineato la delegazione della Cia lucana che durante i lavori dell’incontro-dibattito a Milano ha incontrato il Ministro alle Politiche Agricole Martina per uno scambio di idee – che il comparto agricolo regge molto meglio degli altri alla crisi e traina l’economia regionale.
Del resto – affermano Nicola Serio e Donato Distefano, capidelegazione della “missione” Cia all’Expo – il rapporto Svimez testimonia che dall’agricoltura viene una prima speranza per il meridione. Lo Svimez la certifica, la Cia la pone come sfida al Paese: esiste la questione meridionale e affrontarla e risolverla significa puntare sull’agricoltura e sull’agroalimentare. A determinare la mini inversione di tendenza è stata in larghissima parte l’agricoltura in sinergia con l’agroalimentare.
Per il vicepresidente nazionale della Cia Alessandro Mastrocinque, due i temi fondamentali del futuro dell’agricoltura del Sud: la difesa del territorio e la questione meridionale, di un Sud che è in profonda sofferenza economica, che diventa sofferenza sociale.
La risposta che la Confederazione dà è una sola per entrambe le emergenze: ci vuole più agricoltura. E del resto, come fa notare il vicepresidente della Cia, “l’agricoltura nel 2050, secondo la Commissione Ue, tornerà a essere la prima voce dell’economia europea e la domanda dei prodotti agricoli crescerà del 70%”.
Ed è un’agricoltura che produce cibo a prezzi equi per i consumatori, ma che chiede prezzi equi e remunerativi per le imprese che investono e operano tra mille difficoltà. Soprattutto nel Mezzogiorno, dove la crisi ha provocato una vera e propria ecatombe economica che si traduce in fortissimo disagio sociale. La disoccupazione giovanile è sopra il 40%, il tasso di giovani che non studiano e non lavorano è doppio di quello europeo, il Pil del Sud è arretrato del 13% nei sette anni di crisi in una dimensione doppia rispetto al Centro Nord e si è assistito a una desertificazione produttiva. L’industria nel meridione perde in sette anni il 59,3% in confronto al 17,1% del Centro Nord, considerando che nel periodo 2001-2007 si era già perso un ulteriore 5,9%.
Di fronte ad “un apparato industriale praticamente scomparso”, qual è la risposta possibile? Lo testimonia – affermano Serio e Distefano – il recentissimo rapporto Svimez, che pur registrando una situazione tuttora critica, dice: è dall’agricoltura che è venuto il primo segnale positivo in termini di Pil e di occupati. Ed è su questa strada che la Cia insiste: l’agricoltura nuovo motore di sviluppo. Ma un’agricoltura che non ha bisogno di sussidi, piuttosto di un ambiente favorevole allo sviluppo.
“Come Confederazione chiediamo una politica unitaria di sviluppo del Mezzogiorno che si condensa in: aggregazione delle imprese, ricerca, innovazione, tecnologie, apertura verso l’estero, politiche di attrazione, accesso al credito e trasporti”.
Per farlo serve la creazione di zone economiche speciali, ed è una richiesta che va rivolta all’Europa, e bisogna cambiare le condizioni in cui operano le imprese meridionali. Necessità sottolineate di nuovo dal presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino: “Come Confederazione italiana agricoltori riteniamo che l’agroalimentare sia il settore strategico da cui ripartire. In primis nel Sud. Questo perché l’attività agricola nel Mezzogiorno -per caratteristiche, tradizione e qualità dei prodotti- è un asset economico strategico; un patrimonio enorme sul quale poter fare leva per rispondere alle esigenze dei consumatori ed essere motore dello sviluppo locale”. D’altra parte, l’agricoltura nel Sud contribuisce per il 4% alla formazione del valore aggiunto rispetto alla media nazionale del 2%.
E da qui occorre ripartire. La Cia, peraltro, ha già attivato un gruppo di lavoro nelle regioni del Sud per chiedere “semplificazione della Pubblica amministrazione e degli Enti pubblici di settore; aggregazione delle imprese, cooperazione, regolazione dei mercati per la competitività del sistema agricolo; sostenibilità sociale e ambientale; OP regionali e interregionali, filiere complete di settore; governance del rapporto tra impresa agricola, mercato e Gdo”, spiega Scanavino.
Ma così come la Cia rivendica il ruolo dell’agricoltura nello sviluppo del Sud, così pone l’accento sul fatto che alle imprese agricole può essere affidato il ruolo di tutela del territorio. Del resto, la Confederazione -con il suo documento “Il Territorio come Destino”- ha posto la questione a livello nazionale riprendendo le tesi contenute nella “Carta di Matera” lanciata dalla Cia in occasione della Festa Nazionale dell’Agricoltura tre anni fa a Matera..
Proprio le nuove generazioni – sottolinea Rudy Marranchelli, presidente Agia- sono un altro dei temi portanti dell’Assemblea Cia. “Il Job Act ha sicuramente smosso le acque, ma i risultati sono appena tendenziali e in corso di ‘progress evolutivo’ mentre Garanzia Giovani sta funzionando poco. Per noi protagonismo dei giovani significa dare nuova linfa al settore agricolo in termini di qualità del capitale umano, di nuova cultura d’impresa, di moderne capacità manageriali. Per questo sono indispensabili investimenti per potenziare le aziende, incentivi diretti sia per la promozione di servizi di supporto che di strumentazione finanziaria, sostegni al reddito e formazione”. Ma prima di tutto “bisogna dare terra ai giovani a prezzi competitivi”, o con affitti calmierati o -cosa ancora più giusta- in uso gratuito, per affermare nei fatti il ricambio generazionale”.