“Cosa c’è dietro la “fuga dall’Unibas” che registra in un anno un calo del 12,9% di immatricolazioni ed in generale dietro la fuga dagli atenei del Sud (-6,8%)?”. E’ l’interrogativo di Fabio Dapoto giovane dirigente regionale di Italia Unica per il quale “i primi dati negativi sono determinati da una parte dal fatto che il calo delle immatricolazioni colpisce in modo diretto e quasi esclusivo i figli delle classi meno abbienti, soprattutto se meridionali; dall’altra la fuga dalle università riguarda, quasi esclusivamente, i ragazzi che provengono dagli istituti tecnici e professionali, che quasi sempre appartengono alle classi sociali che più stanno pagando la crisi di questi anni. Famiglie di operai ed impiegati unite nella medesima difficoltà, che non riuscendo più a fare fronte alle molte spese sono costrette alla rinuncia di iscrivere i propri figli all’università. Siamo tornati indietro di trenta-quarant’anni poiché oggi il tema che si impone con forza è di nuovo quello del diritto allo studio. Ma – aggiunge – a parte le crescenti difficoltà economiche delle famiglie è innegabile la sfiducia per gli sbocchi di lavoro: si investe tempo e denaro per laurearsi per poi trovarsi disoccupati o intenti a svolgere lavori che con gli studi intrapresi nulla hanno a che vedere e, oltretutto, sono mal pagati. Per salvare l’università occorre rivalutare gli studi e per fare ciò occorre puntare sull’alta tecnologia e su competenze di alto livello, che solo all’Università possono essere acquisite. Italia Unica in vista della scadenza al Senato che dovrà decidere sull’esito della Riforma Renzi Giannini, la cosiddetta “Buona Scuola” – riferisce Dapoto – propone un grande patto tra gli italiani, che torni a fare della scuola e dell’università un potente ascensore sociale in una società dinamica, capace di premiare i tanti diversi talenti senza lasciare nessuno indietro, valorizzando, sul serio!, Ma, soprattutto, queste nostre proposte hanno il coraggio di vedere nella scuola il principale investimento culturale e civile dell’Italia che verrà. Dopo decenni in cui l’istruzione è stata ridotta e svilita a basso pragmatismo e ad inutile nozionismo, oltre che a macchina assistenzialista e clientelare nei casi peggiori, noi vogliamo – invece, finalmente – collegarla ai grandi valori che ci possono rendere di nuovo pionieri nel mondo.
Se, tuttavia, guardassimo solo agli aspetti “tecnici” ci limiteremmo a un miglioramento superficiale della nostra scuola, lo stesso errore che stanno commettendo tutti i Governi. Non basta. L’efficienza dei metodi d’insegnamento, l’apprendimento di materie moderne, l’inglese e l’economia sono solo un pezzo della grande trasformazione che serve. La scuola è soprattutto il campo in cui rifondare la civiltà italiana del ventunesimo secolo – quindi è il terreno più politico che ci sia – e non dobbiamo avere paura di ripensarla con ideali profondi e nobili. Questo significa reimpostare i programmi scolastici non soltanto per formare persone in grado di inserirsi nel mondo del lavoro e di rimanerci o in grado di affrontare gli studi universitari, ma cittadini dotati di senso critico e in grado di valutare ciò che succede intorno a loro sia dal punto di vista economico che sociale”.
Nov 02
Purtroppo sono i riflessi di una politica nazionale che mira a snaturare il ruolo dell’istruzione. Oggi si tende a privilegiare l’istruzione privata rispetto a quella pubblica. Se per noi genitori oggi, in questa situazione economica precaria che sta attraversando l’Italia in generale ed il sud in particolare, è difficile mantenere un figlio all’Università “pubblica” figuriamoci con le leggi attuali che incentivano la scuola privata, quale sarà lo specchio culturale della nostra società. Sarà come il cane che si vuol mordere la coda. Le poche aziende operanti al sud per assumere cercano (anche per fare il porta carte) un titolo minimo di laurea breve; i genitori che non possono mantenere i figli all’Istruzione; lavoro che scarseggia, il quadro è completo. In Basilicata il fenomeno è ancora più accentuato nonostante è una delle regioni potenzialmente più “ricche” d’Italia. In merito all’istruzione universitaria in Basilicata, per quei pochi che possono permetterselo, i materani preferiscono come sede Bari o altre sedi del centro-nord ed i potentini scelgono Napoli, Salerno o altre sedi del centro nord. Stiamo tornando indietro di 50 anni dove il figlio dell’avvocato si iscriveva a Legge, il figlio del Dottore si iscriveva a Medicina e così via…..Siamo disarmati difronte ad una classe politica non all’altezza, corrotta e corruttibile a partire dal governo centrale per finire a quello regionale e provinciale. Si sta facendo di tutto per mandare i “cervelli” dei nostri figli all’estero. Noi siamo immigrati nella nostra terra. Manca solo che al posto del titolo di studio chiederanno ai nostri figli il permesso di soggiorno.