Franco Di Pede continua la sua infaticabile opera di sensibilizzazione e promozione del nostro patrimonio storico-culturale, artistico e religioso attraverso i suoi quaderni dedicati a chiese e cripte della città dei Sassi. L’ultimo lavoro riguarda la Cripta di Sant’Eustachio ubicata presso la Civita, annessa all’antico Cenobio benedettino, promosso per dare la possibilità a materani e turisti di riscoprire le origini, l’architettura e il culto nei confronti del patrono della città di Matera di cui si ignorava l’esistenza.
La presentazione ufficiale della pubblicazione è avvenuta in serata presso la sala conferenze della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio della Basilicata nella chiesa del Cristo Flagellato, all’interno dell’ex ospedale San Rocco in Piazza San Giovanni a Matera. In compagnia dell’autore tre docenti dell’Unibas di Matera, gli architetti Antonella Guida e Antonio Conte e il professore Ferdinando Mirizzi. Presenti tra gli altri anche il professor Salvatore Longo e Don Egidio Casarola, che hanno collaborato alla redazione dei testi assieme a Maria Grazia Di Pede.
Una pubblicazione impreziosita dalle fotografie di Giuseppe Gattini, Franco Di Pede, Nicola Manicone, Piero Lamacchia, Michele Morelli e con le planimetrie di Enzo Viti.
La pubblicazione, promossa dallo Studio Arti Visive, è stata realizzata in collaborazione con Aqva Vision del Club Aqvaworld, che ha finanziato il progetto grazie alla sensibilità dell’imprenditore materano Luca Ruggieri.
A tutti i partecipanti è stata consegnata in omaggio una copia del quaderno.
“La storia di Matera – ha ricordato Franco Di Pede – ancora una volta, si presenta ricca di altri aspetti della civiltà medievale che, nonostante la lontananza cronologica e la scarsa connessione con il presente, suscitano ancora un motivato interesse e una viva passione per la loro conoscenza tanto da farle accentuare un sempre più meritato titolo di Capitale Europea della Cultura 2019. Fra questi riferimenti emerge la chiesa di Sant’Eustachio, fatta erigere dai Benedettini e consacrata da Arnaldo arcivescovo di Acerenza, da cui dipendeva il territorio materano”.
AqvaVision nasce con l’intento di creare un filo conduttore tra cultura & business con un elemento caratterizzante: l’Acqua e le sue azioni, interpretata e raccontata in tutti suoi aspetti. Esempi lampanti sono il restauro e la ristrutturazione dei Sassi di Matera con elementi architettonici in tufo bianco derivato dalle azioni dell’acqua. L’unicità di AqvaVision consiste nel fatto che le diverse accademie d’Italia portino avanti una tradizione materana, la scultura del tufo, le cui origini si perdono nel tempo.
Studio Arti Visive è un centro culturale sorto nel 1964 diretto dal prof. Franco Di Pede che annovera la complessa attività di un cinquantennio, la diffusione della cultura e dell’arte internazionale e la conoscenza del territorio lucano. Lo Studio Arti Visive, inoltre, è ideatore del progetto della scuola del tufo insieme a Progetto Arte di Matera.
Riportiamo di seguito la storia e il culto della cripta di San’Eustachio con i testi di Salvatore Longo
La storia
La civiltà medievale alimentò soprattutto un interesse per gli aspetti religiosi che condizionarono lo sviluppo della vita sociale, economica e culturale. Analoga fu la situazione di Matera connotata dalla civiltà rupestre perdurata fino al Mille e instaurata dai monaci basiliani, le cui tracce si possono scorgere ancora fra le grotte dell’altopiano murgiano. Dopo quel periodo, si constatò una nuova forma di monachesimo attuata dall’ordine benedettino che fu abbastanza diffusa attraverso una radicata presenza dei monasteri sia all’interno che fuori delle cerchia urbana.
A quest’ultimo periodo risalgono valorose figure operanti fuori del proprio contesto d’origine e famose per la loro indiscussa di santità. Tra queste annoveriamo Ilario, vissuto fino al 1045 nel monastero di San Vincenzo al Volturno non lontano da Isernia; ancora la beata Eugenia citata nel Chronicon di Lupo Protospata del 1093 ed, infine, San Giovanni de Scalzonibus, riformatore dell’ordine benedettino. Morì a Foggia il 20 giugno 1139.
La storia di Matera si presenta ricca di altri termini della civiltà medievale e, nonostante la lontananza cronologica e la scarsa connessione con il presente, suscitano ancora un motivato interesse ed una viva passione per la loro conoscenza.
Fra questi riferimenti rientra pure la chiesa di S. Eustachio, fatta erigere dai Benedettini e consacrata, nel 1082, da Arnaldo arcivescovo di Acerenza, da cui dipendeva il territorio di Matera ancora privo di una sede vescovile che fu istituita nel 1204. La data della dedicazione della suddetta chiesa è riportata in una bolla vescovile conservata presso l’archivio Gattini, qui allegata in foto, e fu citata anche da Lupo Protospata. Ancora un’iscrizione, per alcuni studiosi sospetta, ricorda la data di costruzione e il costruttore della chiesa, tale Leonardo Saraceno. Nel 1093, Urbano II visitò la chiesa e presso il suo monastero si fermò alcuni giorni, di ritorno dal Concilio di Troia.
Il momento preciso dell’insediamento della comunità benedettina in contrada Posterga, zona così denominata per la presenza di una modesta porta di accesso alla città , non è noto; ma secondo alcuni si sarebbe verificato almeno un secolo prima della dedicazione della suddetta chiesa, la cui vitalità, attestata da precisi documenti, perdurò fino alla fine del Duecento. In particolare i suddetti documenti riportano che Roberto, vescovo di Acerenza, acquistò nel 1197 dai Benedettini di S. Eustachio una parte del suolo, situato nelle immediate vicinanze del monastero, per farvi erigere il palazzo vescovile. Ancora si apprende che il vescovo Andrea, nel 1223, quando Matera era stata già elevata a sede vescovile, stipulò con l’abate Nicola una transazione per ottenere il suolo indispensabile per l’ampliamento del palazzo vescovile. Lo stesso abate compare, l’anno successivo, come testimone in un rogito fatto redigere dal vescovo Andrea per assegnare alcune proprietà rurali all’abbazia di Montescaglioso. Dopo questi fatti, cade il silenzio più assoluto su questa comunità religiosa e tutto questo induce a pensare ad una sua probabile scomparsa, come d’altronde accadde per altre comunità, la cui estinzione evidenziò la crisi dell’ordine benedettino attraversata tra il XIII e XIV secolo. Tale involuzione fu, in parte, generata dall’affermazione di nuove forme di religiosità che si andavano consolidando nel tessuto sociale ad opera degli ordini mendicanti allora nascenti. Matera ne è un esempio. Proprio nel Duecento furono erette fuori delle mura cittadine due chiese intitolate ai rispettivi fondatori, quella dei Francescani (1218 ca) e l’altra dei Domenicani o Frati Predicatori (1230).
Dopo diversi secoli, la chiesa di S.Eustachio è citata nella visita pastorale del 1544 effettuata dall’arcivescovo Saraceno; ma manca qualsiasi riferimento alla comunità benedettina. Il documento, in maniera sommaria, indica l’orientamento dell’edificio, ubicato tra la cappella della confraternita del Corpo di Cristo e il prospetto del Conservatorio di San Giuseppe. Un’altra fonte storica successiva delinea la sua struttura architettonica, dotata di tre cupole e composta da tre navate, separate da diverse colonne. Ogni navata possedeva due altari oltre l’altare maggiore. Agli inizi del Seicento, l’edificio sacro esaurì la sua funzione specifica tanto che, sembrò ridimensionato, essendosi ridotto ad una modesta cappella, il cosiddetto cappellone, destinata dal Capitolo della Cattedrale a deposito. Per questo motivo, andò incontro ad un inevitabile declino provocato dalle avversità atmosferiche ed accentuata dalle calamità naturali.
Un nuovo interesse per la chiesa di S. Eustachio si ravvivò nel 1905, quando l’arcivescovo Raffaele Rossi promosse i lavori per la costruzione del nuovo seminario, utilizzando l’area del cappellone allora demolito. Mentre si ponevano le fondamenta, fu rintracciato un ipogeo di modeste dimensioni, che potrebbe identificarsi con la cripta o il succorpo della chiesa di S. Eustachio che fu ignorata per secoli, essendo stata murata e quindi inaccessibile. Attuando la suddetta costruzione, si negò altresì il valore storico della cripta che fu utilizzata per deporvi il materiale di scarto proveniente dalla demolizione del cappellone; così le suddette macerie ne impedirono l’ accesso. Solo agli inizi degli anni Novanta, la cripta fu completamente liberata da quel materiale ingombrante. Al suo svuotamento seguì un essenziale intervento di restauro, finalizzato a restituire l’aspetto originario. Di tutto questo si parlerà più avanti.
Il Culto
Il culto di Sant’Eustachio è molto antico e potrebbe, secondo la tradizione popolare, precedere la costruzione della chiesa omonima ed attestarsi prima dell’anno Mille. Allora il territorio di Matera rivestì una straordinaria importanza per la sua posizione centrale e per questo fu un obiettivo ambito, generando lo scontro fra i vari eserciti. Fra i dominatori di Matera vi furono anche gli Arabi che la governarono tra l’840 e l’886. In particolare, durante dall’assedio dei Saraceni (984), fu invocato l’aiuto del Santo per ottenere la liberazione. I voti della popolazione furono esauditi, mentre si notò l’apparizione del Santo. Ma si trattò di pura leggenda anche se da quel momento si sviluppò il culto del Santo.
Attualmente, il culto di Sant’ Eustachio risulta ridimensionato sia per l’affermazione di nuovi modelli di santità, sia un per atteggiamento poco incline da parte del popolo verso i valori religiosi. Nel passato, il culto ebbe un preciso riferimento e fu alimentato dalla venerazione di un’importante reliquia, il braccio di Sant’ Eustachio, contenuta in una teca d’argento custodita nella sacrestia della Cattedrale. Due momenti commemorativi intensificarono la sua devozione. Il primo di carattere civile del 20 maggio ricorda la liberazione della città dai Saraceni. Nella suddetta circostanza il sindaco offre al Santo le primizie della terra, la cera e qualche obolo in danaro. Invece, il secondo si celebra il 20 settembre con una manifestazione religiosa di carattere cittadino.
La nobile famiglia Gattini, tra le più antiche della città, ha vantato una millenaria devozione verso il Santo che pressappoco coincise con lo sviluppo della sua genealogia susseguitasi fino ai giorni nostri. La più remota espressione si coglie nella magnanimità del conte Orcaldo Gattini, avendo corrisposto un cospicuo contributo, impiegato nella costruzione della suddetta chiesa che ricavò dalla vendita di alcuni beni rurali. Dopo molti secoli, il dottor Scipione Gattini scrisse una Vita in onore del glorioso Santo, opera poetica in cinque canti rimasta inedita (1616). Nell’Ottocento, l’ opera fu illustrata dallo storico Giuseppe Gattini con dieci miniature, raffiguranti alcuni temi biografici del Santo già riportati nei corali rinascimentali della Cattedrale. La stessa famiglia continuò a mantenere viva la devozione utilizzando un altare della Cattedrale dedicato al Santo, che, tramite il conte Michele Gattini, donò nel 1856 all’omonima confraternita.
Infine il conte Giuseppe Gattini (1843-1917), il maggiore studioso di storia locale, condusse un’approfondita ricerca sul culto del Santo praticato nelle altre diocesi italiane; gli esiti di questo lavoro gli consentirono di stendere corposi appunti che spaziarono dalle varie funzioni alle liturgie senza tralasciare la precisa ubicazione degli altari, la conoscenza delle confraternite e la custodia delle reliquie del Santo. Purtroppo questo lavoro, Il Sant’Eustachio principale patrono di Matera, terminato nel 1917, non fu mai pubblicato a causa delle difficoltà del momento legate allo svolgimento del conflitto bellico e alla sopraggiunta scomparsa dell’estensore.
La famiglia Gattini continuò a tenere viva la devozione verso il Santo, fino a giorni nostri, anche dopo aver mutato la residenza essendosi trasferita a Roma negli anni Cinquanta del secolo scorso. Gli ultimi discendenti, ormai scomparsi, mantennero costanti contatti epistolari con alcuni sacerdoti della Cattedrale per affidare loro la celebrazione delle funzioni religiose in onore del Santo, segno di un culto mai interrotto.
Comunque questa nobile ed antica famiglia anche nell’ambito della storia della città svolse un ruolo di primaria importanza avendo contribuito in modo decisivo allo sviluppo dell’economia locale e avendo promosso l’affermazione delle idealità civili e liberali.
La cripta o il succorpo
I lavori della costruzione del nuovo Seminario voluti nel 1905 dall’arcivescovo Raffaele Rossi consentirono di individuare sotto il livello della chiesa di Sant’ Eustachio l’esistenza di una cripta fino ad allora ignorata. In quel tempo, fu visitata dallo storico Giuseppe Gattini e da due studiosi stranieri che ne redassero la planimetria. Tuttavia, in seguito alla demolizione degli ultimi resti del cappellone richiesta per far posto al nuovo edificio, la cripta fu resa impraticabile essendo divenuta il contenitore di quelle macerie. Soltanto nel 1992 fu liberata dall’inutile materiale, e, quindi, sottoposta ad un indispensabile lavoro di restauro che permise il recupero dell’originaria struttura.
La cripta, di modeste dimensioni e scavata nella massa tufacea, ha una pianta pressoché quadrata e si compone di tre navate, delimitate da pilastri a base quadrangolare con spigoli vivi o smussati, sormontati da rudimentali mensole a capitello su cui si impostano archi a tutto sesto, con conci a vista, che sostengono cupole di ampiezza e curvatura differenti. Esse risultano composte da conci di tufo disposti concentricamente: nove in tutto, coprono altrettante campate, tre per ogni navata, dando respiro all’angusta struttura ipogea. La pianta centrale rivela un’ascendenza bizantina, mentre non si distingue la presenza di transetto e finestre.
Gli elementi ornamentali sono gli scarni motivi floreali e zoomorfi graffiti sulla parte inferiore di qualche mensola, mentre una serie di iscrizioni, già citate nel Seicento dal canonico De Blasiis, si trovavano sulla parete dell’altare e sono probabilmente i nomi degli abati del cenobio. In fondo alla navata destra, sul pavimento, è sistemata una conca che evoca la funzione di un fonte battesimale. Sulla stessa parete si notano resti di affreschi sbiaditi ed illeggibili. Due rampe di scale riportano all’esterno. La prima, più antica e ora murata, in prossimità della navata sinistra, consentiva il passaggio alla sovrastante chiesa di Sant’ Eustachio, mentre l’altra, più recente, in direzione della navata destra, fu realizzata per attuare il deposito del materiale di risulta e tuttora consente l’accesso alla cripta.
Questa cripta, sconosciuta ai più, per struttura e decorazione si rivela diversa dalle chiese medievali della città – S. Giovanni Battista e Cattedrale – connotate dallo stile romanico pugliese mediato dall’architettura della Terra Santa. In particolare, si ricollega alla tipologia orientale diffusa in Italia meridionale e costituisce un esempio isolato rispetto alle chiese rupestri del materano dello stesso periodo.
La fotogallery della presentazione ufficiale del quaderno della Cripta di Sant’Eustachio (foto www.SassiLive.it)