Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni semiserie sul concerto di Ami Stewart di Domenico Gallipoli.
Bellissimo concerto, bellissima voce quella della Ami, di una versatilità eccezionale, con una tendenza verso il genere jazzistico, in osmosi con l’orchestra perfetta nelle esecuzioni; la Ami sembrava una orchestrale adibita al canto. Godibilissimi i brani, ottima scelta del repertorio, anche se qualche brano della tradizione francese poteva entrarci autorevolmente (penso a Edith Piaf, per esempio).
Veramente ezzzziunale … direbbe Abatantuono.
Nel pubblico la tensione era alta, l’attesa della cantante spasmodica; sia la cantante che il presentatore hanno rotto il ghiaccio (!) dicendo con voce sommessa l’una “Fa un po’ freddino” e l’altro “cinema igloo”. Da fonte degna di fede si è saputo che gli orchestrali avevano le mani ricoperte di una sostanza che impedisse al freddo di bloccare le articolazioni; che tutti, compreso il maestro direttore e la cantante, avevano indossato, sotto il vestito, delle tute di flanella; che le sedie degli orchestrali avevano un fondo termico; tutto ciò al fine di impedire che, nonostante l’ausilio delle luci, il freddo pungente impedisse una corretta lettura degli spartiti, che si confondessero, ad esempio, le crome con le biscrome.
Al termine ho ripensato alla ressa determinata all’ingresso da gente infagottata e con in tasca ben in evidenza una bomboletta spray. Sedutomi al posto prenotato mi è stato chiaro il tutto: i più avevano portato con sé una borsa di acqua calda, pardon, bollente (perché potesse conservare il calore il più a lungo possibile), un plaid di lana per coprirsi alla fantozziana maniera, pur senza la frittata di cipolla con successivo rutto libero. Mi incuriosiva la funzione che avrebbe svolto la bomboletta; l’ho compresa quando ho visto alcuni signori che spruzzavano sulle vetuste poltrone una sostanza che penso avesse una funzione … catartica. Hanno però rischiato, in tal modo, di rovinare gli augusti scranni, come gli avidi tombaroli rischiano di rovinare i reperti archeologici. Durante l’esibizione c’è stato un viavai di spettatori di non più tenera età muoversi, come pellegrini silenziosi, in direzione dei bagni, in ciò sollecitati dalla temperatura non certo confortevole. Talvolta si è udito un rumoroso digrignare di denti (veniva in mente la scena di un girone dell’Inferno dantesco), a qualcuno è perfino cascata sul pavimento la dentiera. I giovani, si sa, non sono previdenti come gli anziani: alcune coppiette hanno combattuto la … glaciazione a modo loro, facendosi cioè vicendevole“attrito”, così creando morbosa curiosità e sguardi di malcelata invidia. Queste scene, mi è stato riferito da persone “made in Matera” (che orrore nella capitale della cultura europea quel rozzo riferimento ad una pretesa purezza autoctona apparso sui muri durante la passata competizione elettorale!), si verificano nell’era glaciale. Nell’era della desertificazione, invece, le scene cambiano: le signore giungono in decolletè ed immancabilmente munite di un astuccio, dal quale estraggono, una volta sedute, un ventaglio ad angolo piatto. Sembrano tante Butterfly, che con movimenti coordinati creano un vortice di aria che dalla platea sale verso i loggionisti investendoli e spingendoli a proteggersi il viso, come fossero nelle vicinanze di un elicottero o di un aereo a decollo verticale. Si omette il riferimento ad effluvi che, in presenza di eventuali spettatori con scarsa confidenza con l’H2O (può succedere dappertutto) silenziosi e sinuosi volteggiano verso l’alto.Insomma … si passa dall’impianto di refrigerazione, anche se dal soffitto non pendono prosciutti ed insaccati vari, a quello della sauna.
Matera meriterebbe qualcosa di meglio di un locale “ghiaccio-bollente”, ossimoro e titolo di una famosa canzone di alcuni lustri fa.
PS Siamo gli eredi dei Latini, che avevano creato un genere letterario, la Satira (è una creazione tutta nostra, affermavano), che consisteva nel criticare i costumi ridendoci sopra. Ridiamoci pure noi, anche se amaramente!
Domenico Gallipoli