Gianni Leggieri, Consigliere regionale Movimento 5 Stelle: Legge di Stabilità amara per il popolo lucano. Duro colpo da parte del Governo Renzi al referendum contro le trivelle.
Il Senato, con voto di fiducia apposto dal governo Renzi, ha dato il via libera alla legge di stabilità, con 162 si e 125 no. Una legge di stabilità per il popolo lucano, ma non solo, a causa della presenza di quei famosi emendamenti che di fatto annullano i referendum proposti contro lo Sblocca Italia.
Una legge di stabilità che annichilisce ancora una volta i cittadini che sino ad oggi hanno combattuto in difesa dell’ambiente e del territorio e che segna una brutta pagina politica per il nostro Paese.
Già in altre occasioni avevamo avuto modo di chiederci: ma chi ha paura del referendum ???
La risposta era chiara. Il referendum spaventava innanzitutto il Premier Renzi, consapevole che la sua presa sul popolo italiano è ormai allentata. Ma spaventava anche e soprattutto chi sul petrolio ha fatto le proprie fortune, le multinazionali.
A questo punto però occorre aprire una riflessione politica perché i doppiogiochismi e i camaleontismi politici in questa vicenda sono tanti e non possono restare impuniti.
Non può continuarsi ad ignorare la posizione del PD nazionale e locale. Un partito che dice una cosa e fa il contrario. Un partito che nei fatti è schierato, anzi schiacciato sulle posizioni delle multinazionali del petrolio, sulle posizioni del suo Premier Renzi e sulla linea dettata dal Presidente della Regione Pittella.
Il tentativo di qualche esponente di questa compagine di governo di smarcarsi, almeno all’apparenza da questo schema che vede un patto di ferro tra politica e multinazionali, era apparso subito un altro gioco delle parti che nulla avrebbe prodotto. Così infatti è stato. Nessuno di noi ha creduto alla versione No Triv che negli ultimi mesi ha voluto offrire di sé il Presidente del consiglio regionale Lacorazza.
Ancora una volta eravamo consapevoli che si trattava di un giochino tra le parti, uno spettacolo messo in piedi con il solo scopo di ingannare la gente e di sistemare soprattutto alcune vicende tutte interne al partito democratico lucano.
Bene. Adesso con questo nuovo colpo di spugna del Governo italiano i referendum anti trivelle sono depotenziati e, con molto probabilità, hanno ricevuto il colpo di grazia.
Ma il vero colpo è stato inflitto ancora una volta al sistema democratico italiano. Un Governo che fa di tutto per evitare che i propri cittadini vadano alle urne per esprimersi su una questione di tale importanza è senza dubbio un Governo anti democratico.
Il terrore dell’esito del referendum è stato così forte da indurre ancora una volta Renzi e la sua maggioranza a forzare la mano, a zittire i cittadini, ad evitare il voto, massima forma ed espressione del sistema democratico.
A questo punto si riparte da zero, anzi no, si riparte da una maggiore consapevolezza da parte di tutti noi. Sono tanti i falsi profeti, tanti gli avventurieri, tanti gli sciacalli che per mero tatticismo politico, ma senza alcuna reale convinzione, si schierano contro le trivelle, alla prova dei fatti, però, a combattere lealmente e veramente contro il petrolio rimangono i cittadini e i comitati (“quei quattro comitati disprezzati dal Premier italiano”). L’altra certezza è che a fianco di costoro vi è il Movimento 5 Stelle in Basilicata come in tutta Italia.
Idrocarburi e Legge di Stabilità, OLA: Governo Renzi calpesta Regioni, comunità locali e territori. Di seguito la nota integrale inviata alla nostra redazione.
La legge di stabilità approvata dal Senato in versione definitiva, recepisce, approvandolo l’articolo 1, commi 239 – 242 del ddl approvato dalla Camera su “modifiche alla normativa su ricerca, prospezione e
coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi (c.d. attività upstream)”. Nella sostanza – secondo la Ola – la legge peggiora la normativa dell’articolo 38 della legge 164/2014 “sblocca Italia”, anche per quanto riguarda il ruolo delle Regioni e degli enti locali. Di seguito proponiamo in lettura esplicativa, il testo approvato dalla Camera che, salvo modifiche, è anche quello approvato dalo Senato in versione definitiva, dal quale si evince anche il ruolo nelle intese dei poteri cerntrali e regionali in materia di energia e idrocarburi.
“I commi da 239 a 242 operano una serie di modifiche alla normativa vigente in materia di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi (c.d. attività upstream).
ATTIVITA’ DI RICERCA,PROSPEZIONE,E COLTIVAZIONE DI IDROCARBURI LIQUIDI E
GASSOSI IN ALCUNE ZONE DI MARE
Una prima modifica riguarda il divieto di ricerca, prospezione e
coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in alcune zone di mare
(vale a dire all’interno del perimetro delle aree marine e costiere
protette e nelle zone di mare poste entro 12 miglia dalle linee di costa
lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno
delle suddette aree marine e costiere protette). Vengono infatti
eliminate le disposizioni attualmente vigenti (contenute nel secondo e
nel terzo periodo del comma 17 dell’art. 6 del D.Lgs. 152/2006, il cui
testo è stato da ultimo riscritto dall’art. 35 del D.L. 83/2012) che
consentivano una serie di deroghe a tale divieto al fine di far salvi
alcuni procedimenti concessori in corso (nonché quelli conseguenti e
connessi anche ai fini di eventuali relative proroghe), confermando solo
la parte della disposizione che fa salvi i titoli abilitativi già
rilasciati. Con riferimento a tali titoli abilitativi, il nuovo testo
precisa che essi sono fatti salvi per la durata di vita utile del
giacimento e comunque nel rispetto degli standard di sicurezza e di
salvaguardia ambientale. Per garantire tale rispetto sono sempre
assicurati gli adeguamenti tecnologici a ciò finalizzati, nonché le
operazioni finali di ripristino ambientale (comma 239).
ALIQUOTE DI PRODOTTO PER LE CONCESSIONI IN MARE
Si ricorda che il comma 17 in questione è oggetto di modifica anche da
parte del c.d. collegato ambientale (A.C. 2093-B). L’articolo 2 di tale
ddl interviene infatti sulla destinazione delle somme corrispondenti
all’incremento dell’aliquota di prodotto annualmente versata per la
concessione di coltivazione di idrocarburi in mare, disciplinata dal
sesto periodo del comma citato.
LA PUBBLICA UTILITA’ DEGLI IDROCARBURI
Un secondo gruppo di modifiche è contenuto nel nuovo comma 240 ove si
prevede:
– l’eliminazione del carattere strategico, di indifferibilità e urgenza
delle c.d. attività upstream, riconoscendo alle stesse il solo carattere
di pubblica utilità, che costituisce uno dei requisiti per l’emanazione
del decreto di esproprio (modifica del comma 1 dell’articolo 38 del D.L.
133/2014);
CANCELLAZIONE DEL PIANO DELLE AREE
– viene abrogata la norma (comma 1-bis del medesimo art. 38) che prevede
l’emanazione, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di un
piano delle aree in cui sono consentite le c.d. attività upstream.
IL REGIME PER LE AUTORIZZAZIONI MINISTERIALI
-viene introdotta la previsione (con una modifica del comma 5 del
medesimo art.38) che le attività di ricerca e coltivazione di
idrocarburi liquidi e gassosi sono svolte con le modalità di cui alla
legge n. 9/1991, o – come già previsto dalla legislazione vigente – a
seguito del rilascio di un titolo concessorio unico. Le attività
continuano a svolgersi sulla base di un programma generale dei lavori
articolato in una prima fase di ricerca della durata di sei anni la
quale però, con l’emendamento in esame, non è più prorogabile due volte
per un periodo di tre anni come invece previsto dalla legislazione
vigente. Alla fase di ricerca segue la fase di coltivazione della durata
di 30 anni, fatto salvo –specificazione introdotta dall’emendamento in
esame – l’anticipato esaurimento del giacimento. Viene soppressa la
previsione che la durata della fase di coltivazione è prorogabile per
una o più volte per un periodo di 10 anni in caso di adempimento degli
obblighi concessori e di coltivabilità, come invece dispone la
legislazione vigente.
L’emendamento in esame dunque intende modificare l’articolo 38 del D.L.
n. 133/2014 sul quale è attualmente in atto un contenzioso con le
Regioni presso la Corte costituzionale.
LE INTESE CON LE REGIONI INTERESSATE
Il comma 241 dispone – con una modifica del comma 3-bis dell’art.57 del
D.L. n. 5/2012 – che, per le infrastrutture energetiche strategiche di
cui al comma 1 del medesimo art. 57, in caso di mancato raggiungimento
delle intese con le Regioni, si procede esclusivamente con le modalità
partecipative di cui all’articolo 14-quater, comma 3 della legge n.
241/1990, e non più anche con le modalità di cui al comma 8-bis
dell’articolo 1 della legge n. 239/2004. Il richiamo a tale comma 8-bis
viene infatti soppresso.
Si ricorda che il citato comma 8-bis dell’articolo 1 della legge n.
239/2004 prevede una procedura secondo la quale, nel caso di mancata
espressione da parte delle amministrazioni regionali dei termini per
l’espressione degli atti di assenso o di intesa, comunque denominati,
inerenti alle funzioni in materia energetica di cui ai commi 7 e 8 dello
stesso articolo 1, il Ministero dello sviluppo economico invita le
regioni a provvedere entro trenta giorni e in caso di ulteriore inerzia
da parte delle stesse, rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio
dei Ministri, che, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede con
la partecipazione della regione interessata.
Si ricorda che la Corte Costituzionale ha affermato che “ la previsione
dell’intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implica che
non sia legittima una norma contenente una “drastica previsione” della
decisività della volontà di una sola parte, in caso di dissenso, ma che
siano necessarie idonee procedure per consentire reiterate trattative
volte a superare le divergenze” (ex plurimis sentenza n. 179/2012, n.
121/2010). Solo nell’ipotesi di ulteriore esito negativo di tali
procedure mirate all’accordo, può essere rimessa al Governo una
decisione unilaterale (sentenze n. 165 e 33 del 2011).
L’articolo 14-quater, comma 3, della legge n. 241/1990 – come modificato
a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 2012 –
dispone che, ove venga espresso motivato dissenso da parte di
un’amministrazione preposta alla tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla
tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in
attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e
dell’articolo 120 della Costituzione, è rimessa dall’amministrazione
procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il Consiglio
dei Ministri si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la
Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, ovvero previa
intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso
tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più
enti locali, motivando un’eventuale decisione in contrasto con il
motivato dissenso. Se l’intesa non è raggiunta entro trenta giorni, la
deliberazione del Consiglio dei Ministri può essere comunque adottata.
L’emendamento in esame dunque intende modificare il comma 3-bis
dell’art.57 del D.L. n. 5/2012, come introdotto dal comma 552, lett. b),
art. 1, legge n. 190/2014, norma sulla quale è attualmente in atto con
le regioni un contenzioso presso la Corte costituzionale (vedasi, in
particolare, il ricorso per legittimità costituzionale della regione
Abruzzo n. 35 del 5 marzo 2015 e n. 39 del 6 marzo 2015 della regione
Marche).
Il comma 242 modifica il predetto comma 8-bis dell’articolo 1 della
legge n. 239/2004 il quale dispone l’intervento della Presidenza del
Consiglio dei Ministri in caso di mancata espressione da parte delle
amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa inerenti ai
compiti e alle funzioni amministrative in materia energetica esercitate
dallo Stato di cui al comma 7 e di cui al comma 8 del medesimo articolo
1.
La modifica è finalizzata ad escludere che la procedura di cui al comma
8-bis dell’articolo 1 si applichi per l’adozione delle determinazioni
statali in materia energetica di cui al comma 7 sopra citato. Il comma
8-bis continuerà dunque a trovare applicazione in caso di mancata
espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di
assenso o di intesa inerenti ai compiti di cui al comma 8 del medesimo
articolo 1 del D.L. n. 239/2004.