Gianni Maragno presenta in esclusiva per SassiLive una rubrica dedicata personaggi materani illustri ma poco conosciuti e, purtroppo dimenticati. Il primo personaggio che inaugura questo nuovo appuntamento culturale è Vittorio Emanuele Spinazzola.
“Matera, la città dove son nato, è una città unica e assolutamente caratteristica, perché è una città trogloditica. La città, la vecchia Matera, si sviluppa essenzialmente ai lati di una gola interposta tra due pareti rocciose. Nel mezzo tra le due pareti corre un piccolo fiume. Nelle pareti rocciose da un lato e dall’altro del fiume sono ricavate le abitazioni trogloditiche che prendon luce da porte e finestre. Tra il fiume e ciascuna delle pareti rocciose è una strada. Le due pareti della gola sono congiunte per mezzo di ponti gettati a cavallo del fiume. A sera è uno spettacolo del più alto interesse vedere le due pareti punteggiate dei lumi stabiliti nei vari terreni e superiori.”
Con queste parole dure, taglienti ma anche forti e rassicuranti come le pareti rocciose che raffigura, Vittorio Emanuele Spinazzola, archeologo, politico e letterato (Matera 2 aprile 1863 – Roma 12 aprile 1943) fa riferimento alla sua città natale, che, a torto, ha immesso nella trascuratezza e nell’oblio il ruolo e l’azione di questo suo figlio. Si era allontanato dalla Città dei Sassi per spostarsi a Campobasso prima e a Napoli poi, dove frequentò i corsi universitari, prediligendo gli studi filologici e artistici: si laureò in romanistica con Francesco D’Ovidio, sotto la guida del quale affinò i suoi interessi ed il suo gusto per la letteratura. Non casuale la stima di Gabriele D’Annunzio, che prese spunto proprio da un’idea di Vittorio Spinazzola nella composizione del dramma “La città morta”.
Nel suo volume Storie di cheravanna, Nicola Morelli, eclettico personaggio materano (ufficiale, scultore, attore e scrittore) della seconda metà del Novecento, dedica un capitolo a quel suo illustre concittadino, rievocandone episodi della vicenda umana e rivelando alcuni particolari sconosciuti. Vi si ricorda, per esempio, che una spaventosa e infausta concomitanza di eventi impedì che fosse completata la stampa della raccolta degli scritti che, seppur postuma, probabilmente avrebbe reso testimonianza dei meriti e dell’impegno profuso dallo Spinazzola a favore dell’arte, della letteratura, ma anche del legame profondo con la partecipazione attiva alla politica e all’amministrazione pubblica. Si apprende, così, che nell’agosto del 1943, a pochi mesi dalla morte dell’erudito materano, gli alleati scatenarono un bombardamento durato 3 giorni sulla città di Milano, sede della Casa editrice Hoepli, dove era in corso la preparazione delle bozze; lo stabile venne colpito duramente e gran parte dei macchinari e del materiale in corso di stampa andò distrutto. Si disperò sulla sorte dell’opera dello Spinazzola, ma ne era stata conservata una copia, che fu pubblicata nel 1953 in due volumi, per decisione del go-verno italiano, con il titolo “Pompei alla Luce degli Scavi nuovi di Via dell’Abbondanza (anni 1910-1923)”, per cura di Salvatore Aurigemma, che ne aveva sposato la figlia Maria Giulia, nata dal primo matrimonio di Spinazzola.
Durante il suo soggiorno napoletano si conquistò la stima e il rispetto di molti personaggi importanti e per i suoi meriti poté frequentare l’ambito salotto della casa partenopea del lucano di Rionero Giustino Fortu-nato; fu in quelle occasioni che Spinazzola conobbe altri celebri suoi corregionali, quali Francesco Saverio Nitti (di Melfi, economista, più volte ministro e Presidente del Consiglio), Francesco Torraca (di Pietrapertosa, nel corso della sua carriera Direttore Generale presso il Ministero dell’Istruzione e successivamente titolare della Cattedra di Letteratura Italiana nell’Università di Napoli e parlamentare) ed il geologo Giuseppe De Lorenzo (di Lagonegro, titolare della Cattedra di Geologia nell’Università di Napoli, illustratore sotto l’aspetto geologico della regione del Vulture e dei Campi Flegrei). Ma soprattutto, incontrò Benedetto Croce, con il quale fu legato da salda e cordiale amicizia.
Proprio con lui, però, Spinazzola, studioso e ricercatore dai poliedrici interessi culturali, entrò in contrapposizione riguardo l’interpretazione della Tavola Strozzi, un dipinto di buona qualità di autore ignoto, eseguito su tavola e di ampie dimensioni (circa due metri e mezzo di lunghezza per quasi un metro di altezza). Essa riveste grande importanza storica, trattandosi della più antica veduta di Napoli, eseguita dopo la metà del XV secolo. Fu rinvenuta agli inizi del Novecento dall’archeologo Corrado Ricci nel Palazzo Strozzi di Firenze, da cui prese nome. Nel 1904 Benedetto Croce cercò di interpretare l’argomento rappresentato e sostenne che raffigurava l’arrivo a Napoli di Lorenzo de’ Medici con la sua flotta nel 1479, per stipulare con re Ferrante un trat-tato di pace con la mediazione del banchiere fiorentino Filippo Strozzi il Vecchio. Studi successivi ed ulteriori ricerche, condotte con acume e competenza specialmente dallo Spinazzola hanno consentito di stabilire che la scena del dipinto è anteriore di circa quindici anni rispetto all’ipotesi del Croce (che in seguito, correttamente, ri-conobbe il suo errore), e cioè risalente al 1465, riferendosi all’ingresso in rada a Napoli della flotta aragonese di re Ferrante I dopo la vittoria navale di Ischia sulla flotta angioina di Giovanni d’Angiò. Lo studio dello Spinaz-zola, accurato dal punto di vista filologico e storico, si basò sul riconoscimento delle insegne del sovrano e del comandante supremo della flotta regia Roberto Sanseverino.
Le critiche intransigenti sull’errato commento del Croce che ne seguirono, non compromisero affatto l’amicizia tra il grande intellettuale abruzzese e Spinazzola, che fu annoverato tra i letterati nazionali insigni nella fondamentale silloge crociana “La letteratura della nuova Italia”.
Ma lo Spinazzola resse funzioni importanti nella vita politica italiana, rivestendo nel 1896 l’incarico di Capo di Gabinetto del Ministro dell’Istruzione, l’aviglianese Emmanuele Gianturco, e ricoprendo il delicato in-carico di Responsabile per la Sicurezza Nazionale, su personale indica¬zione del Presidente del Consiglio France-sco Saverio Nitti. La sua carriera politica si arrestò nel 1922, quando l’insorgente regime fascista esautorò il Go-verno presieduto dallo statista di Basilicata. Benedetto Croce, anche in quell’occasione, non esitò a manifestare la propria solidarietà all’amico, con il quale aveva sempre condiviso interessi di studio e di cultura, sorretti da un consapevole ardore libertario e indomita tensione antifascista. Grazie a Vittorio Spinazzola, amico di Sofia Jaccarino, dama di corte e amica stretta di Maria José di Savoia, quest’ultima incontrò Benedetto Croce, che le rivelò i sentimenti degli italiani sul fascismo e le accennò alla necessità di un intervento del sovrano.
Ma fu nel campo dell’archeologia che il materano “Vittorio” (così, amichevolmente, era conosciuto ne-gli ambienti colti e di prestigio di Napoli e Roma) operò prevalentemente, riuscendo ad introdurre negli scavi metodologie di recupero del tutto innovative. Fu direttore del Museo di San Martino di Napoli, poi Soprinten-dente della Calabria e della Basilicata e infine Soprintendente agli scavi di Pompei dal 1911 al 1923. Anche per l’amicizia che lo legava all’allora Ministro del Tesoro, l’onorevole De Nava, ottenne una notevole dotazione fi-nanziaria per il suo programma di scavi e restauri a Pompei. Dette avvio ad un’importante opera di disseppellimento della strada principale dell’antica Pompei, riportando alla luce una quantità di botteghe con le antiche in-segne, iscrizioni elettorali e programmi di giochi gladiatori incisi sui muri della via più frequentata, con una im-magine più viva della città e della sua principale arteria.
La sua figura fu sempre caratterizzata da grande umanità che i suoi collaboratori vollero sempre ricono¬scergli con sincera stima e profonda gratitudine. Erano gli inizi degli anni trenta, quando, il vedovo Spinazzola convolò a nozze con la sua allieva Alda Levi con la quale condivise la passione per l’archeologia e le arti ed anche i pochi anni di vita rimasti.
Il motto ideale di Vittorio Spinazzola fu “Per aspera ad aspera” (“Sopportare le difficoltà e le traversie, per abituarsi ad affrontare dolori e disillusioni”), una sua personale rivisitazione del letterario Per aspera ad astra (“Attraversando le difficoltà, per conseguire successi e fama”): è questa l’eredità da rivalutare e diffondere del nostro trascurato concittadino, che assommava ad una grande preparazione scientifica ed umanistica genio e talento nel coinvolgere la politica nei suo progetti.
Gianni Maragno