Impegno Comune invita ad andare a votare il 17 aprile al referendum sulle trivelle in mare. Di seguito la nota integrale.
Il 17 Aprile 2016 si svolgerà il referendum sulle attività petrolifere in mare entro le 12 miglia dalla costa per i titoli abilitativi già rilasciati, per tutta la durata di vita utile al giacimento. “E’ importante andare a votare – dichiara il gruppo di “Impegno comune” della città di Policoro formato dai consiglieri comunali Giuseppe Ferrara, Antonello Lauria, Angelo Porsia e Rocco Carrera – purtroppo è sfumata la possibilità di unire il voto del referendum al primo turno elezioni amministrative di giugno e questo sta ad indicare la volontà del Governo Nazionale di osteggiare il raggiungimento del quorum.
L’argomento referendario è di vitale importanza – continuano i consiglierei di Impegno comune – soprattutto per le Regioni interessate che a questo punto però non possono fare altro che sperare che il resto di Italia si rechi al voto. E’ chiaro a tutti che renzi ostacoli apertamente il raggiungimento del quorum e lo fa a spese di noi cittadini visto che non permettere l’election day costerà a noi italiani circa 350 – 400 milioni di euro per avvantaggiate i petrolieri e le lobby del petrolio.” Per questo è importantissimo andare a votare il 17 Aprile poiché resta l’unico modo per ostacolare le trivelle in mare visto che i nostri parlamentari del Pd non hanno avuto ilcoraggio di staccare la spina al Governo Renzi”.
“Invitiamo – continua il gruppo di Impegno Comune – tutti ad informarsi e a informare sull’importanza del raggiungimento del quorum dal quale dipende il futuro del nostro amato mare, ringraziamo sin da ora tutti i comitati che si sono e si mobiliteranno affinchè il referndum raggiunga il quorum e invitiamo tutti sin da subito a contattare parenti e amici, emigrati al nord e spingerli ad andare a votare perchè ogni singola goccia può contribuire a salvare il nostro mare.”
“Onestamente – concludono i consiglieri – ci sembra che la strada sia in salita e per questo bisogna fare fronte comune per contrastare il Governo nazionale e far diventare capillare la propaganda referendaria, perciò solleciatiamo tutti ad utilizzare i social network e i siti istituzionali per inviatare tutti ad andare a votare. Ringraziamo sin da ora tutti i parlamentari del Pd per questo ennesimo regalo, parlamentari che davanti al popolo agiscono in modo e nelle stanze dei bottoni fanno tutt’altro.”
In vista del referendum del 17 aprile sulle trivelle in mare arriva la posizione dei Verdi con una nota inviata da Mario Di Dio Mario e Maria D’Amelio, Co-Portavoci regionali Verdi Basilicata.
Di seguito la nota integrale
Trivelle: un affare solo per i petrolieri
Noi Verdi, è arcinoto, siamo concentrati sulla campagna informativa in vista del 17 aprile 2016, data della consultazione referendaria. Ma, sul petrolio italiano e lucano (quello che viene estratto e quello che si vorrebbe estrarre) è necessaria un’operazione verità. Per farlo utilizziamo i dati del World energy and economic Atlas 2013, la rassegna statistica annuale sul mercato oil e gas mondiale e sul sistema della raffinazione curata dall’Eni, con quelli pubblicati dal Ministero dello Sviluppo economico – Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche.
PARTIAMO DAL GAS. In Italia si producono 8.41 MLD di metri cubi di gas ( di cui il 15% in Basilicata che , con 1,29 MLD di metri cubi di gas, è la regione che produce di più ), se ne importano66.16. Le riserve di gas in Italia sono pari a 59 MLD di metri cubi. Ai ritmi di consumo attualiqueste riserve andrebbero a esaurirsi totalmente nel giro di soli 7 anni. Le riserve mondialisi esauriranno in 59 anni.
PASSIAMO AL PETROLIO. In Italia si producono ogni anno 105mila barili al giorno ( di cui il 74% in Basilicata che , con circa 85.000 barili al giorno, è la regione che produce di più). Le riserve dipetrolio si attestano a 599 milioni di barili. Ai ritmi di consumo attuali le riserve italiane siandrebbero ad esaurire in 16 anni. Le riserve mondiali si esauriranno in 52 anni.
LE CONCESSIONI. In Italia ci sono 133 concessioni di coltivazione di idrocarburi (gas e petrolio)in terraferma e 68 nel sottofondo marino. Ma, nel frattempo altri 94 permessi di ricerca sullaterraferma e 21 in mare sono stati concessi. Il mare italiano, secondo le ultime stimedel Ministero dello sviluppo economico, conserva come riserve certe, circa 10 milioni di tonnellatedi petrolio che, stando ai consumi totali attuali durerebbero per appena due mesi.
I quantitativi di petrolio in gioco sono davvero risibili. Allo stato attuale, la produzione italiana di
petrolio equivale allo 0,1% del prodotto globale e il nostro Paese è al 49° posto tra i produttori.
Ma, nonostante il prodotto estratto sia poco e discarsa qualità, l’Italia è una sorta di Paradiso Fiscale per i petrolieri: estrarre idrocarburi nel nostroPaese è vantaggioso solo perché esistono meccanismi che riducono a nulla il rischio d’impresa,mettendo però ad alto rischio l’ambiente. Ad esempio, le prime 20 mila tonnellate di petrolioprodotte annualmente in terraferma, come le prime 50 mila tonnellate di petrolio estratte in mare, iprimi 25 milioni di metri cubi di gas in terra e i primi 80 milioni di metri cubi in mare sono esenti dalpagamento di aliquote allo Stato.
Le royalties in Italia sono tra le più basse del mondo: oltre alle tasse governative,le società che estraggono cedono solo il 4% dei loro ricavi per le estrazioni in mare e il 10% perquelle su terraferma. In Norvegia quasi l’80% del ricavato dell’industria petrolifera viene riscossodallo Stato. In Gran Bretagna c’è una tassa aggiuntiva del 32%.
Sui danni in mare più eclatanti riconducibili alle attivitàoffshore (vedi piattaforma Deepwater Horizon della BP nel Golfo del Messico) c’è solo unapresunzione di rischio (un evento simile sarebbe però disastroso), ma basterebbe già considerareche questi impianti hanno dispersioni quotidiane di elevatissime concentrazioni di mercurio perreputarli un grave pericolo per un mare delicato come quello Mediterraneo.
Attualmente le 10 piattaforme marine di estrazione petroliferaattive in Italia, equipaggiate con 67 pozzi produttivi, si trovano prevalentemente nel Mar Adriatico,2 (piattaforme Sarago Mare 1 e A) per un totale di 4 pozzi a largo delle coste marchigiane traCivitanova Marche e Porto San Giorgio e 3 (piattaforme Rospo mare A, B e C) per un totale di 29pozzi di fronte l’Abruzzo e il Molise tra Vasto e Termoli, 1 (piattaforma Aquila) a largo di Brindisicon i suoi 1 pozzo produttivo), e nel Canale di Sicilia, 4 (Gela, Perla, Prezioso, Vega A) tra Gela eRagusa, per un totale di 33 pozzi.
Alle piattaforme già attive nei mari italiani seguono, nei vari livelli dell’iter procedurale, le richieste
per ottenere la concessione di coltivazione dei giacimenti, ovvero le richieste fatte dalle variecompagnie petrolifere che, a seguito delle indagini condotte in precedenza, ritengono di poterpassare alla vera e propria estrazione dal sottosuolo.
DOVE SONO STATE CHIESTE LE NUOVE AUTORIZZAZIONI?Attualmente le richieste diulteriori coltivazioni sul territorio italiano sono 7 per un totale di 732 kmq e riguardano:
– la costa marchigiana,
– la costa abruzzese, sul fronte di mare della costa teatina antistante Ortona e nella zonaantistante San Vito Chietino e Rocca San Giovanni.
– il mar Ionio di fronte a Marina di Sibari (Cs)
– il canale di Sicilia con 2 richieste di Eni di fronte a Licata,
– il canale di Sicilia a ridosso dell’Isola di Pantelleria, con una richiesta di Agip/Edison.
Per tali esplorazioni si prevede di utilizzare la tecnica dell’airgun. Una tecnologia che può avereconseguenze sulla fauna marina, dai pesci ai grandi cetacei, come riportato anche nel documentodell’Ispra di maggio 2012 dal titolo Rapporto tecnico Valutazione e mitigazione dell’impattoacustico dovuto alle prospezioni geofisiche nei mari italiani.
I PERMESSI DI RICERCA E LE RICHIESTE DI RICERCA DI PETROLIO NEL MAR IONIO.Oggi nel mar Ionio vi sono 10 richieste per la ricerca di petrolio per un totale di 5.041kmq. Di queste 8 sono in corso di Valutazione di Impatto Ambientale per un totale di 4.047 kmq.
Una è in fase di rigetto (si tratta della richiesta della Northern Petroleum, che riguarda oltre 700kmq al largo di Cirò Marina) e una è in fase decisoria, ovvero, ha finito il suo iter ed è in attesa dei
decreti autorizzativi (si tratta della richiesta di Apennine Energy per un’area di 63 kmq a ridossodella costa tra le Marine di Sibari e Schiavonea). Non ci sono permessi di ricerca già rilasciati, ma
negli ultimi anni è ripartita a tutta velocità la corsa all’oro nero. Tutto ciò succede da quando èstato rimosso il divieto di ricerca ed estrazione di petrolio nel Golfo di Taranto per come stabilitodal Decreto 128 del giugno 2010, riaprendo la minaccia delle trivelle anche in questo tratto dimare. Infatti, il 7 luglio 2011 con il Decreto Legislativo di Attuazione della direttiva 2008/99/CE(sulla tutela penale dell’ambiente) e della direttiva 2009/123/CE (che modifica la direttiva2005/35/CE, relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni perviolazioni approvato dal Consiglio), si è utilizzato un provvedimento che avrebbe dovuto rafforzarele misure di tutela ambientale per inserire un comma che in realtà allarga le maglie del divieto alleattività di ricerca, prospezione ed estrazione di idrocarburi in mare per il Golfo di Taranto.
PETROLIO E OCCUPAZIONE. Attualmente dal punto di vista occupazionale parliamo di poche centinaia di occupati a livellodiretto e indiretto per azienda, con aziende come Eni che anzi stanno licenziando i lavoratori. Perun periodo di tempo limitato si potrebbero toccare al massimo un paio di migliaia di addetti localiper l’Italia, dunque ben lontani dalle cifre annunciate da Renzi e Assomineraria.
COME RIDURRE LA BOLLETTA DELL’ITALIA. Per migliorare seriamente e rapidamente lanostra bilancia energetica con l’estero occorre investire in efficienza energetica a tutti ilivelli, residenziale, industriale, nella PA, e puntare sulle rinnovabili, che hanno già dimostrato dicreare occupazione nell’ordine delle centinaia di migliaia.La bolletta energetica dell’Italia si potevaridurre e non dei 700 milioni previsti dagli ultimi decreti ma di 8 miliardi, ossia di 11 volte in piùdando davvero un aiuto concreto all’economia: basterebbe semplicemente tagliare gli extraprofittidei venditori di energia che comprano l’energia in borsa a prezzo molto basso (45Euro/MWh) e la rivendono ai clienti finali ad un prezzo di oltre 80 Euro/MWh. Il governo riconoscal’errore e faccia subito marcia indietro: il costo dell’energia si riduce intervenendo sullaspeculazione e non affossare chi fa investimenti veri sulle rinnovabili che sono il futuro della Basilicata, dell’Italia e dell’intero pianeta Terra.