Cerealicoltori a presidiare le attività di sbarco di grano nel porto di Bari e che chiedono trasparenza sulla provenienza e sulla qualità del prodotto. L’attività di presidio è effettuata in parallelo al controllo del Corpo Forestale delle Stato, che ha fermato tir e camion e, dopo il controllo documentale, ha effettuato una prima analisi delle micotossine attraverso un kit innovativo all’interno della postazione mobile allestita per l’occasione.
Un centinaio gli imprenditori lucani, guidati dal Presidente e dal Direttore Regionale della Coldiretti di Basilicata Piergiorgio Quarto e Francesco Manzari e dal Presidente e dal Direttore Provinciale della Coldiretti di Potenza Teodoro Palermo e Franco Carbone, che si sono uniti ai colleghi pugliesi al sit-in di protesta all’ingresso del porto, per dire basta agli inganni e denunciare le storture nel mercato cerealicolo.
In 6 mesi (periodo luglio 2015 – gennaio 2016) sono state scaricate al Porto di Bari 891mila tonnellate di grano che hanno causato la conseguente drastica riduzione del prezzo del nostro cereale. Il grano è arrivato da Canada, Turchia, Argentina, Liberia, Singapore, Hong Kong, Marocco, Olanda, Antigua, Sierra Leone, Cipro e spesso triangolato da porti inglesi, francesi, da Malta e da Gibilterra.
Incalcolabili anche i danni in termini di impatto ambientale, basti pensare che sommando la tratta che una nave compie per esempio dal Canada per raggiungere Bari e i 750 camion utili a scaricare una media di 20mila tonnellate di grano, considerando l’andata e il ritorno, si stima una emissione di oltre 15mila tonnellate di CO2.
“Siamo la terza regione produttrice di grano duro in Italia, con quasi il 10% della superficie nazionale” afferma Teodoro Palermo. “Abbiamo inoltre una grande tradizione legata al pane, alla pasta e ai prodotti da forno. Per questo siamo qui, insieme ai nostri colleghi della Puglia, a dire basta alle importazioni speculative di grano dall’estero che causano diminuzioni ingiustificate di prezzo del grano nostrano, e a chiedere maggiori controlli sui cereali importati”.
Manzari aggiunge “Non possiamo giustificare importazioni incontrollate con il fatto che servono a soddisfare le esigenze di industrie e consumatori italiano se poi queste si traducono in mancanza di trasparenza nel mercato dei prodotti della nostra tradizione e della nostra cultura, a danno sia dei nostri imprenditori che dei cittadini consumatori, che devono essere messi in grado di effettuare acquisti semplicemente consapevoli”.
È fatto con grano straniero un pacco di pasta su tre e circa la metà del pane in vendita in Italia ma i consumatori – denuncia la Coldiretti – non lo possono sapere perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. I prezzi del grano duro in Italia nel 2016 sono crollati del 31 per cento rispetto allo scorso su valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia. In pericolo – precisa la Coldiretti – non c’è solo la produzione di grano ed il futuro di oltre trecentomila aziende agricole che lo coltivano ma anche un territorio di 2 milioni di circa ettari a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy.
“Ancora una volta siamo a sottolineare che alla base di tutto è la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato, causata dai ritardi nella legislazione comunitaria e nazionale, e la conseguente mancanza di tracciabilità delle produzioni agroalimentari, che portano a sottacere le importazioni speculative di materie prime” conclude Quarto. “Il risultato è che il prezzo riconosciuto nostre produzioni è sempre al limite dei costi per ottenere le stesse. Bisogna puntare su progetti di filiera differenziando l’offerta e riorientando i mercati”.