Luigi Pentasuglia presenta il libro dedicato a Leonardo da Vinci dal titolo “I volti della Gioconda, Monna Tao, le radici orientali del templarismo”.
Sulla Gioconda è stato detto e scritto tutto e di più … Vale ancora la pena insistere? La risposta è un perentorio si! Il più famoso ritratto in assoluto riserva ancora una serie d’incognite neppure lontanamente sfiorate dalla critica. Esse attengono a interessi culturali inediti del genio vinciano, oltre che imprescindibili per comprendere che il volto della misteriosa dama velata di nero è in realtà declinabile al plurale: di chi sono dunque i volti della Gioconda? La chiave del rebus è nei simboli criptati nel dipinto, presumibilmente ispirati all’artista dallo stesso monarca di Francia Francesco I a discolpa del grave crimine perpetrato dal suo predecessore Filippo il Bello contro i templari.
La tesi sostenuta è che a fronte delle sevizie subite, tra gli alti ranghi templari qualcuno finì per confessare la fonte dottrinale dell’Ordine: il Tao-tê-ching, il più importante testo taoista, noto ai nestoriani di Persia presenti in Cina fin dal VII secolo. Lo prova la celebre Stele di Xi’an, commissionata dall’influente prelato della chiesa siro-orientale Yisi, nonché generale degli eserciti degli imperatori Tang: che sia nata da costui la leggenda di Prete Gianni? La figura del ‘monaco-guerriero’, saldamente ancorata alla millenaria tradizione shaolin, candida perciò i nestoriani a ispiratori della disciplina e della simbologia duale templare, debitrice dei principi taoisti Yin e Yang, da Leonardo profusa nella Gioconda.
Se è vero che la storia è scritta dai vincitori, quella dei vinti riesce talvolta a sopravvivere proprio grazie ai simboli. È il caso dei templari ormai prossimi all’integrazione culturale e religiosa tra Oriente e Occidente: un’eresia che costò loro la rovina, più che le mire predatorie di Filippo il Bello.