L’Unione Sindacale di Base-Lavoro privato, dopo essersi confrontata in modo molto approfondito sia durante assemblee pubbliche, che attraverso colloqui individuali con i lavoratori della Natuzzi Spa, ha elaborato le richieste che seguono alla stessa azienda e alle Istituzioni interessate.
Premesso che:
– in data 3 marzo 2015 e 14 ottobre 2015 sono stati stipulati accordi trilaterali (tra Natuzzi Spa, Istituzioni e OO.SS. confederali) da considerare illegittimi e di basso profilo dal punto di vista giuridico, etico e politico. Gli accordi, infatti, prevedono che una parte maggioritaria dei dipendenti Natuzzi sia interessata al Contratto di Solidarietà, mentre la restante parte, a sua insaputa e senza che abbia mai dato mandato ad alcuno a rappresentarla in tal senso, venga trasferita a Ginosa, sito non più attivo da fine 2013. Gli ignari trasferiti risultano selezionati in virtù di requisiti arcani e non rispettosi di parametri sociali quali redditi e carichi familiari o l’anzianità di servizio. Inoltre, essi vengono collocati prima in Cigs per riorganizzazione aziendale e successivamente in Cigs per cessazione dell’attività e indicati come esuberi strutturali. Tali atti appaiono chiaramente non rispondenti ad un’esigenza organizzativa e produttiva, considerato che come anzidetto lo stabilimento di Ginosa è chiuso e il trasferimento degli addetti è soltanto virtuale. Viceversa, si lasciano interpretare come una strategia tesa a ridurre l’organico attraverso la procedura di licenziamento collettivo, aggirando l’articolo 5 della Legge 223/1991 (che per l’appunto dispone i requisiti da rispettare per la scelta del personale in uscita) isolando i trasferiti a Ginosa dai loro colleghi in produzione;
– la Natuzzi, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del Secolo ha deciso di delocalizzare la produzione, insediandosi in Romania, Cina e Brasile e inviando le sue migliori maestranze ad insegnare l’arte di fabbricare divani ai lavoratori di quei paesi. Non appena questi hanno acquisito la padronanza del mestiere sono iniziati i problemi per i dipendenti in Italia. Pertanto, è bene specificare che gli esuberi alla Natuzzi Spa non provengono dal nulla, bensì sono la conseguenza di una politica industriale adottata in passato;
– la Natuzzi Spa ha avanzato richiesta di Cassa integrazione per la prima volta il 13 gennaio 2004, quando l’attuale crisi economico-finanziaria non era ancora esplosa. Dalla sopra citata data si sono susseguiti provvedimenti di Cig, pressoché ininterrottamente ed hanno coinvolto i lavoratori in maniera disuguale. Infatti, avendo l’ossessione di abbattere il costo del lavoro, l’azienda collocava in Cassa integrazione a zero ore gli addetti, a suo dire, meno produttivi, mentre altri non erano affatto sfiorati dallo stesso ammortizzatore sociale. Negli ultimi tempi, poi, la Natuzzi ha inteso perseguire la politica di riduzione del costo decurtando le retribuzioni dei dipendenti di alcuni elementi di salario accessorio. Tale strategia industriale, costantemente concertata con le categorie di riferimento di Cgil, Cisl e Uil, è da giudicare completamente fallimentare, considerando che la Natuzzi Spa è passata da un organico in Italia di 3466 unità dichiarato nel 1997 ad un altro di 1918 addetti stimato per l’immediato futuro. Le cifre ci dicono anche che se alla Natuzzi Spa si registrano meno esuberi rispetto al passato, ciò è dovuto alla riduzione complessiva della forza lavoro e non certo ad un inversione della gestione del personale da parte aziendale;
– già nel Verbale di accordo dell’11 ottobre 2010, stipulato presso il Ministero del Lavoro tra Istituzioni, OO.SS. e Natuzzi Spa, quest’ultima si impegnava a creare un nuovo brand (l’Editions) da produrre in Italia, ma poi commissionato agli stabilimenti rumeni. Pertanto, qual’ora la Natuzzi dovesse far rientrare in loco la lavorazione del brand Editions dalla Romania, avrebbe semplicemente ottemperato, con un ritardo superiore a cinque anni, ad un impegno assunto come condizione per la concessione di nuova Cigs per crisi aziendale e sarebbe ingiustificata qualsiasi forma di premialità per tale operazione;
– le Istituzioni sono sempre state molto generose nei riguardi della Natuzzi Spa, lo provano i ripetuti finanziamenti pubblici indirizzati all’industria santermana. L’ultimo di questi risale allo scorso settembre, quando sono stati stanziati 37,2 milioni di euro dal Ministero dello Sviluppo Economico, la Regione Puglia e la Regione Basilicata. Tuttavia, questi Enti statali non sembra abbiano perseguito al meglio il loro dovere, ossia tutelare ed operare nell’interesse generale, in quanto l’ingente contributo pubblico viene concesso alla Natuzzi senza pretendere molte contropartite, neanche quella dell’impegno a non procedere a licenziamenti collettivi e non volontari nei prossimi mesi.
L’Unione Sindacale di Base intende salvare la Natuzzi Spa e la produzione di mobili imbottiti dall’estinzione verso cui sono diretti, dato il trend degli occupati nel settore. Per questo, contesta e si oppone all’operazione che è stata fatta su Ginosa, in quanto non è solo un atto inaccettabile e di ingiustizia sociale, ma è anche il proseguimento di un percorso che ha portato l’azienda a quasi dimezzare il suo organico in Italia e che rischia di azzerarlo nei prossimi anni.
Pertanto, l’USB chiede che:
– la Natuzzi reintegri in produzione tutti i dipendenti trasferiti presso il sito di Ginosa e ponga fine a questo uso distorto e intollerabile di applicare lo strumento del Contratto di Solidarietà. Se poi vuole offrire incentivi economici per favorire l’esodo è libera di farlo, ma questo deve avvenire dando pari opportunità a tutti i suoi dipendenti e non rivolgendosi soltanto a chi ha indicato come esuberi e posto sotto la spada di Damocle, per cui o si accetta l’uscita incentivata oppure si rischia il licenziamento, senza neanche il misero contributo economico dell’azienda;
– le Istituzioni preposte assumano la richiesta sopra esposta come propria e ritornino a perseguire la loro ragion d’essere, ovvero, l’interesse generale. Quest’ultimo vorrebbe che non possano assolutamente essere stanziati ingenti finanziamenti pubblici a chi si impegna soltanto a fare oggi ciò che avrebbe dovuto fare già anni addietro, dopo aver scaricato i costi delle politiche industriali adottate sulle spalle dei contribuenti, ricorrendo alla Cig dal lontano 2004 e che non prevede di ampliare la forza lavoro in loco ma di ridimensionarla. Pertanto, le Istituzioni devono, perlomeno, pretendere che la Natuzzi Spa si impegni a non licenziare nel prossimo futuro, pena il blocco o la restituzione dei 37,2 milioni di euro stanziati in suo favore:
– l’atteggiamento accomodante da parte delle Istituzioni verso la ricollocazione esterna dei dipendenti indesiderati dalla Natuzzi, non è soltanto sbagliato in quanto appiattito sui diktat aziendali e ostile verso i lavoratori che, viceversa, rivendicano a ragion veduta il loro posto di lavoro alla Natuzzi Spa, ma è anche irrispettoso nei confronti dei disoccupati di lunga data. Quindi, chiediamo alle Istituzioni di assumere una posizione di semplice buon senso, ossia, se nuove società dovessero effettivamente insediarsi nel territorio, ad avere la priorità delle assunzioni devono essere i disoccupati, a partire da quelli che non percepiscono nessun indennizzo di sostegno al reddito e che vivono in una situazione a dir poco disperata. Mentre, i cassintegrati della Natuzzi un datore di lavoro già ce l’hanno ed è suo dovere reintegrarli in produzione i tempi rapidi.
Infine, chiediamo che il presente documento sia messo agli atti dell’odierna Cabina di regia Natuzzi.