Più che le trivelle è l’erosione costiera, come hanno potuto constatare i turisti arrivati nel Metapontino per le festività pasquali, il pericolo numero uno. Lo afferma il consigliere regionale Paolo Castelluccio (Fi) ricordando che di recente il fenomeno si è acutizzato a Scanzano Lido e nei tratti costieri dove non è stato ancora completato il posizionamento delle barriere. Tornano di attualità e di monito le parole del professor Franco Ortolani, ordinario di geologia all’Università “Federico II” di Napoli, per il quale il fenomeno dovrebbe estendersi nella misura di 1-1,5 metri all’anno, mentre la “risposta” adottata dalla Regione Basilicata attraverso il ripascimento della costa, non è altro che uno “sversamento di sedimenti”, perché in assenza di un’adeguata pianificazione questo tipo d’intervento può anche andare ad amplificare il problema. Intanto i programmi contro l’erosione della costa che pure lo scorso anno hanno dato qualche risultato positivo – aggiunge – non si possono considerare definitivamente conclusi. Non si deve abbassare la guardia su un fenomeno erosivo che continua a rappresentare il primo grande rischio per le imprese balneari. Inoltre, il Piano dei Lidi, unitamente alla Variante, costituisce la strumento attraverso il quale la Regione disciplina l’utilizzazione delle aree demaniali marittime, in un quadro generale di protezione ambientale e di diversificazione e qualificazione dell’offerta turistica. La situazione di stallo che perdura da diversi anni sta pregiudicando, però, gli investimenti sostenuti da numerosi operatori del settore che non sono in grado di offrire servizi turistici completi per i propri ospiti. Difatti la Regione è impossibilitata a rilasciare nuove concessioni demaniali fino all’approvazione della Variante e del suo regolamento attuativo.
I titolari degli stabilimenti balneari del Metapontino e di Maratea in attesa del pronunciamento della Corte di giustizia europea sulla contestata proroga delle concessioni balneari fino al 2020 – afferma Castelluccio – sono costretti a vivere ormai un letargo permanente: ad oggi le concessioni scadute il 31 dicembre scorso sono state prorogate al 2020, con il benestare dello Stato, ma sempre in attesa d’esame alla Corte di Giustizia Europea. La richiesta è di una proroga di trent’anni per le attuali concessioni e dell’avvio dell’evidenza pubblica solo per le nuove. A rischio l’attività di trentamila concessionari demaniali e delle rispettive famiglie. E’ in gioco una partita che non si può permettere di perdere il sistema paese, visto che sono in ballo 30mila imprese, un contributo del 65% al movimento turistico generale, lo svolgimento di funzioni di interesse pubblico, come la pulizia delle spiagge o il salvamento, esercitando una funzione sussidiaria allo Stato. Chi investe deve avere la certezza di avere il tempo per rientrare dagli investimenti effettuati per migliorare e potenziare la struttura ed il servizio offerto ai clienti. Alla Regione e al Governo si rivendica: una durata più lunga delle concessioni demaniali marittime, (minimo 30 anni), da applicare, in ossequio ai principi costituzionali di eguaglianza e parità di trattamento, anche alle imprese attualmente operanti, al fine di salvaguardare la peculiare caratteristica di gestione familiare della balneazione italiana attraverso la preminenza del fattore ‘lavoro’ su quello del ‘capitale investito’; l’alienazione con diritto di opzione in favore dei concessionari delle porzioni di demanio marittimo che, da tempo, hanno perso le caratteriste della demanialità e della destinazione ai pubblici usi del mare; il riconoscimento del ‘valore commerciale’ dell’azienda balneare da trasformarsi in ristoro a favore del concessionario nel caso di cessione coattiva in favore di terzi. Non si sottovaluti che gli stabilimenti balneari sono il ‘fiore all’occhiello’ dell’offerta turistica italiana con un contributo fatto di duro lavoro, di sacrifici, di investimenti, di vera passione, da parte di intere generazioni di imprenditori.
Pio Abiusi commenta la nota di Paolo Castelluccio.
Paolo Castelluccio, un amministratore che fa rifermento ad un geologo e non già ai portaborse di Unibas. La situazione, purtroppo, è nera. Le soluzioni sono dispendiosissime e di sicuro irrealizzabili e le barriere soffolte sono degli sgambetti alle onde che durano si e no un lustro perchè poi affondano. Bisognerebbe fare un rinascimento delle coste ampissimo trasportando a valle quanto non arriva più da monte A tutto questo sono connessi i patti per i fiumi ma poi quanto si recupera dalle operazioni definite di “officiosità” va trasportato a valle ed altrettanto dicasi per il dragaggio degli invasi.
Pio Abiusi
Ecco quanto si desume da altro intervento del Prof. Franco Ortolani.
Evoluzione dei litorali: il ruolo delle aree deltizie nei periodi in cui prevale l’erosione costiera. Il caso dei delta dei Fiumi Agri e Basento in Basilicata. Le spiagge attuali rappresentano la parte affiorante di un prisma, costituito da sedimenti sabbiosi e/o ghiaiosi, costruitosi nelle ultime migliaia di anni (Olocene) mentre stava avvenendo la risalita delle acque marine in concomitanza con la deglaciazione accentuatasi a partire da circa 15.000 anni fa. I sedimenti costieri olocenici possono avere uno spessore variabile da 15 ad oltre 30 m Ricerche multidisciplinari di geoarcheologica ambientale sono state effettuate nell’area meridionale e nell’area mediterranea per gettare luce sul significato climatico dei differenti tipi di sedimenti che si sono accumulati negli ultimi 2500 anni e che ricoprono numerosi siti archeologici, non influenzabili dagli interventi umani, in un’età compresa tra il Periodo Arcaico e il Medioevo, ubicati a diverse latitudini e in aree geografiche con differenti condizioni morfoclimatiche. I sedimenti che ricoprono le superfici antropizzate e le aree urbane delle ampie pianure alluvionali, stabili per molti secoli, indicano che in intervalli di tempo di circa 100-200 anni di durata, l’ambiente è stato caratterizzato da una marcata instabilità geomorfologica con intensi fenomeni erosivi e dissesti lungo i versanti, nonchè il trasporto e accumulo di ingenti volumi di sedimenti nelle pianure alluvionali e lungo le coste. In tal modo, grazie al consistente accumulo di sedimenti, si è determinata l’aggradazione rapida della superficie del suolo delle pianure e una marcata progradazione dei litorali sabbioso-ghiaiosi. E’ evidente che l’accumulo generalizzato di ingenti volumi di sedimenti, per uno o due secoli, nelle grandi pianure alluvionali costiere (dalle aree pedemontane alla linea di costa) al di sopra di superfici antropizzate e stabili geomorfologicamente per molti secoli, costituisce un evento eccezionale. I diversi cambiamenti ambientali sono avvenuti contemporaneamente nella parte arida e umida della zona mediterranea e si sono verificati durante brevi intervalli di tempo di durata variabile da circa 100 a circa 200 anni. Inoltre, è stato evidenziato che lo stesso tipo di variazione ambientale si è manifestato ogni 1000 anni circa; è stato anche accertato che l’impatto ambientale è variato in relazione alla latitudine. I periodi più freddi e piovosi sono stati chiamati Piccola Età Glaciale Arcaica (500-300 a.C.), Piccola Età Glaciale Altomedievale (500-700 d.C.) e Piccola Età Glaciale (1500-1750). I periodi più caldi e aridi che hanno interessato la parte centro meridionale del Mediterraneo sono stati chiamati Periodo Caldo Romano (150-350 d.C.) e Periodo Caldo Medievale (1100-1270). I periodi climatici di transizione da una piccola età glaciale al successivo periodo caldo-arido sono stati caratterizzati da condizioni ambientali favorevoli alle attività umane. La correlazione dei dati geoarcheologici evidenzia che vi è una stretta correlazione tra i periodi freddo-umidi e prolungati minimi di attività solare e tra i periodi caldo-aridi e una marcata e prolungata attività solare. I minimi significativi e prolungati di attività solare hanno determinato le Piccole Età Glaciali mentre i massimi significativi e prolungati hanno dato origine ai periodi più caldi “Romano” e “Medievale” caratterizzati da desertificazione fino a 41-42° N lungo le fasce costiere. L’ultimo periodo freddo denominato Piccola Età Glaciale (raffreddamento massimo tra il 1570 e il 1740) si inquadra in una fase di 290 anni di scarsa attività solare (circa 180 anni di minimo, complessivamente) tra il 1420 (inizio del minimo di Sporer) e il 1715 circa (fine del minimo di Maunder). Il periodo caldo medievale si è avuto in concomitanza con una fase di notevole attività solare tra il 1100 e 1270 circa che ha concluso un lungo periodo caratterizzato da un elevato numero di macchie solari, della durata complessiva di 330 anni e iniziato intorno al 920 d.C.. Gli impatti ambientali più significativi che si sono verificati nell’Area Mediterranea durante i periodi caldo-aridi sono rappresentati dalla desertificazione delle aree costiere fino a circa 41°-42° N e dall’incremento dell’accumulo delle sabbie organogene. Durante questi periodi l’Europa centro-settentrionale ha goduto di condizioni climatiche miti e favorevoli allo sviluppo dell’agricoltura. I periodi freddo-umidi (Piccole Età Glaciali) hanno determinato sensibili modificazioni ambientali contribuendo significativamente alla costruzione delle pianure alluvionali costiere e dei litorali. Le variazioni climatiche storiche hanno esercitato un impatto di notevole importanza sull’evoluzione dei litorali. La costruzione dei litorali con sabbia silicoclastica è avvenuta durante i periodi freddo-umidi, cioè durante le Piccole Età Glaciali. L’ultimo ripascimento naturale si è verificato tra il 1500 e la fine del 1800. In particolare, i litorali alimentati da corsi d’acqua appenninici ed alpini sono stati riforniti abbondantemente di sedimenti prevalentemente tra l’inizio del 1700 e la fine del 1800. A partire dall’inizio del 1900 l’alimentazione naturale è stata progressivamente sempre più scarsa e le spiagge hanno iniziato a “dimagrire” specialmente in corrispondenza degli apparati di foce dei fiumi dove si riscontrano i fenomeni erosivi più gravi che spesso hanno provocato la distruzione di oltre 1000 metri di spiaggia negli ultimi 100 anni. Gran parte delle spiagge attualmente sono solo parzialmente e insufficientemente alimentate di sabbia grazie alla erosione o cannibalizzazione dei sedimenti delle aree deltizie che sono quelle interessate da erosione molto grave. La ricostruzione delle modificazioni della fasce costiere avvenute negli ultimi millenni in relazione alle variazioni del clima consente di prevedere che, in base alla ciclicità millenaria, l’erosione che da diverse decine di anni sta interessando le spiagge con sabbia silicoclastica dell’Italia meridionale e del mediterraneo durerà almeno 100 – 150 anni. Entro alcune decine di anni, in relazione all’intensificazione dell’aumento della temperatura media, dovrebbe aumentare sensibilmente la produzione di sabbia organogena lungo le coste del Salento e della Sicilia e conseguentemente dovrebbe verificarsi una progradazione delle spiagge con sabbia organogena come avvenuto durante i periodi caldi romano e medievale. Esempi significativi dell’evoluzione geomorfologica dei litorali sabbiosi con sabbia silicoclastica sono rappresentati dalla fascia costiera del fiume Volturno e del fiume Biferno. E’ risaputo che le aree deltizie protese in mare costituiscono una riserva di sedimenti che viene cannibalizzata durante i periodi in cui gli apporti sedimentari provenienti dai bacini imbriferi diventano insufficienti a conservare la morfologia costiera costruita durante i periodi plurisecolari più piovosi. Nelle figure sono illustrate le rapide modificazioni registrate nelle zone di foce del fiume Volturno e del fiume Biferno. Lungo la costa sabbiosa del Golfo di Taranto, come è noto, da varie decine di anni si stanno verificando attivi fenomeni erosivi, particolarmente intensi nelle zone deltizie. La cannibalizzazione dei sedimenti delle zone di foce sta alimentando in parte le spiagge circostanti. Nelle zone di foce dei fiumi Agri e Basento da alcuni anni sono state realizzate strutture portuali che inevitabilmente hanno influito sulla naturale evoluzione morfologica costiera caratterizzata da erosione, trasporto e accumulo di sedimenti prevalentemente sabbiosi ad opera del moto ondoso che determina un trasporto prevalente verso sud ovest e verso nord est in relazione ai venti. Le strutture portuali spinte fino a profondità superiori a 5 m hanno inesorabilmente causato una interruzione del trasporto lungo costa proprio nella zona che maggiormente è interessata dai fenomeni erosivi. In tal modo la sorgente dei sedimenti è stata modificata dagli interventi portuali ed anche il fenomeno della cannibalizzazione della sabbia è stato modificato. Le strutture portuali dovranno continuare ad essere difese essendo state realizzate proprio nella parte più interessata dalle rapide modificazioni morfologiche. Ciò influenzerà il trasporto dei sedimenti lungo costa nei prossimi anni. Nel caso delle foci dell’Agri e del Basento l’intervento antropico realizzato nelle zone che di solito sono destinate alla cannibalizzazione ed al conseguente rifornimento di sabbia alle spiagge adiacenti ha indubbiamente creato una complicazione che può avere serie conseguenze ambientali ed economiche. Si sottolinea che la spiaggia è diventata una risorsa autoctona di significativa importanza socio-economica che ha attirato anche insediamenti e la realizzazione di manufatti vari. I fenomeni erosivi stanno costringendo gli uomini a rendersi conto che la spiaggia non rappresenta un limite immodificabile tra mare e terra emersa ma una fascia “mobile” con progressivo ed inarrestabile arretramento verso la terra emersa. Del resto la ubicazione della spiaggia tra il 1700 e l’inizio del 1900 si è continuamente spostata verso mare in relazione al consistente apporto di sedimenti fluviali; nell’attuale periodo climatico e nel prossimo futuro, invece, la spiaggia si trasferirà sempre più verso l’entroterra con conseguente erosione dei sedimenti accumulatisi negli ultimi secoli. Interventi di difesa realizzati dall’uomo possono rallentare tale fenomeno generale ed inarrestabile ma non fermarlo. L’esperienza italiana ed internazionale evidenzia che le difese costiere sono molto costose e richiedono continua manutenzione, devono essere programmate sulla base di una adeguata conoscenza del fenomeno fisico e realizzate lungo tutta la fascia costiera al fine di evitare che si inneschino locali accentuazioni dei fenomeni erosivi che possono essere molto consistenti e devastanti anche in periodi di pochi mesi in relazione alle locali condizioni fisiche naturali e modificate da interventi antropici e all’andamento delle mareggiate. Le difese costiere tipo barriere soffolte possono peggiorare la qualità delle acque costiere e modificare il paesaggio naturale, ovviamente. Gli elevati costi di tali opere rappresentano una innegabile fonte di “interessi vari”. Un intervento da considerare seriamente è rappresentato dal ripascimento delle spiagge con sedimenti simili a quelli esistenti prelevabili lungo le fasce fluviali interne dove milioni di metri cubi sono accumulati e “fossilizzati” naturalmente (o in seguito ad opere di difesa e accumulo idrico) in quanto le condizioni climatiche attuali non garantiscono le continue portate torrentizie e fluviali necessarie a trasportare i sedimenti fino al mare. E’ evidente che gli amministratori locali, regionali e nazionali devono finalmente interessarsi alla tutela e valorizzazione del bene comune chiamato spiaggia che rappresenta un bene autoctono di inestimabile valore ambientale e socio-economico. Si sottolinea che occorre pianificare l’uso, la protezione, la manutenzione con azioni continue annuali abbandonando la insostenibile indifferenza verso le spiagge per 10 mesi l’anno. E’ necessario un piano per le spiagge e le fasce costiere ricordando che le spiagge sono interessate da continua ed inarrestabile evoluzione con un progressivo loro arretramento individuando tratti da difendere e tratti in cui controllare il fenomeno erosivo. Il piano occorreva già ieri! Come la rapida evoluzione sta evidenziando, ad esempio, nel litorale metapontino dove proprio in corrispondenza di alcuni apparati deltizi che molto hanno contribuito alla costruzione del litorale negli ultimi secoli sono state realizzate strutture portuali che già hanno influito sulle modificazioni costiere e molto ancora condizioneranno la morfologia delle spiagge adiacenti.
Franco Ortolani
tralasciando tutto quello che fa parte del politichese della navigazione a vista finalmente qualcuno “terzo” che fa riferimento ad un GEOLOGO e non già ai portaborse di UNIBAS. La situazione , purtroppo, è nera.le soluzioni sono dispendiosissime e di sicuro irrealizzabili e le barriere soffolte sono degli sgambetti alle onde che durano si e no un lustro perchè poi affondano. si tratterebbe di fare un ripascimento delel coste ampissimo trasportando a valle quanto non arriva più da monte A questo sono connesi i patti per i fiumi ma poi quanto si recupare dalle operazioni definite di “officiosità” va trasportato a valle ed alòtrettanto dicasi per il dragaggio degli invasi