La proposta emersa da “Welfare in progress”, il convegno organizzato da Confcooperative e dalle due federazioni di settore impegnate nel welfare sociosanitario, Federsolidarietà e FederazioneSanità, di riorganizzare il sistema di welfare e di assistenza primaria spostando l’1% delle risorse dalla sanità al sociale e offrendo sul territorio una rete di servizi poliambulatoriali o a domicilio che da un lato decongestionino gli ospedali e dall’altro siano all’altezza delle esigenze dei cittadini utenti a parità di costo per lo Stato – è un utile approfondimento per il nostro progetto in tema di social care presentato al IV Forum di Matera (“Innovasalute”). Lo sottolinea una nota di Sanità Futura, associazione di strutture sanitarie private accreditate di Basilicata e Puglia.
Condividiamo l’analisi di Confcooperative – dice Michele Cataldi, presidente Sanità Futura- perchè il modello di welfare tradizionale rischia di crollare sotto il peso dell’andamento demografico e della sostenibilità economica. Secondo l’ISTAT gli over 65enni nel nostro paese sono passati dall’11% al 22% in poco più di 15 anni. Negli ultimi due anni 1 famiglia su 2 in Italia, secondo il CENSIS, ha rinunciato almeno una volta a visite specialistiche e approfondimenti diagnostici. È irrimandabile la necessità di organizzare una rete di assistenza primaria sul territorio dalla quale si possono ottenere tre vantaggi: rispondere meglio ai bisogni; contenere la spesa pubblica; decongestionare le strutture ospedaliere. Non si sottovaluti che un ricovero ospedaliero costa mediamente tra i 700 e gli 800 euro al giorno a persona. Con le stesse risorse si possono assistere 10 persone fuori dagli ospedali organizzando una rete di assistenza sul territorio in grado di garantire più servizi, senza per questo fare aumentare i costi, migliorando le prestazioni e creando nuova occupazione. Per questo è interessante la “via cooperativa al welfare” come soluzione che affianca il pubblico sempre più in affanno. Un modello di assistenza socio sanitaria costruito attraverso l’integrazione tra le diverse specializzazioni settoriali: cooperative sociali, medici, infermieri, farmacisti, mutue. Una molteplicità di professioni in grado di prendere in carico i bisogni delle persone, un nuovo servizio di welfare a cui il cittadino utente può fare riferimento sul territorio. Noi – dice Cataldi – pensiamo che aziende, associazioni di pazienti e professionisti, cooperative, e tutti quei soggetti che rappresentano l’humus vitale di un territorio, in ambito non solo sanitario, ma anche in termini più generali di impatto sociale, hanno bisogno di trovare le condizioni adatte per poter esprimere al meglio le proprie potenzialità, per poter crescere e operare insieme, altrimenti tutto diventa più lento e complicato, addirittura impraticabile, nonostante l’impegno individuale che ognuno può profondere nella propria attività. Anche questo è il ragionamento alla base della nostra proposta di modifica dell’attuale sistema di determinazione del fabbisogno delle prestazioni e dei tetti di spesa delle strutture sanitarie private accreditate. Si tratta – ha concluso Cataldi – di percorrere solo il “miglio finale” del percorso individuato da Giunta e Consiglio Regionali unanimemente e confermato dalla norma fortemente innovativa contenuta nel Collegato alla Legge di Stabilità Regionale 2016, ispirati dalla riduzione di sprechi ed inefficienze e non certo alla riduzione di prestazioni-servizi-diritti. Per questo alla vigilia di questa decisione chiediamo alla Giunta di rivolgersi all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per scongiurare ulteriore ricorso al contenzioso e attuare finalmente una strategia in grado di garantire una più efficiente assistenza territoriale finalizzata alla definizione di un modello di specialistica ambulatoriale che superi lo spreco di risorse e assuma valore strategico.
Apr 05